domenica 9 giugno 2019

Assassinio sull'Orient Express (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2018 Qui - Mettiamo in chiaro subito una cosa, in questa recensione privilegerò il confronto con la pellicola del 1974, che a mio parere è doveroso, proprio quell'adattamento (davvero ottimo) è per me infatti il migliore per conoscere Agatha Christie (almeno cinematograficamente), certo, questo nuovo rifacimento difatti (più o meno fedele al precedente) risulta comunque interessante e se ne consiglia una visione (anche perché seppur diversa, in fin dei conti è un'esperienza piacevole), ma un'eccellente confezione, bellissime e superbe riprese e una regia solida e di mestiere non bastano a fare di questo film, Assassinio sull'Orient Express (Murder on the Orient Express), film del 2017 diretto, co-prodotto e interpretato da Kenneth Branagh, un'opera di un certo livello. Purtroppo il problema è nella (nuova) sceneggiatura e (di conseguenza) nell'impianto narrativo del romanzo (qui effettivamente non incisivo come nel precedente, perché se geniale è la risoluzione del giallo, non tanto giustificabile la scelta finale). Complessivamente è un film discreto ma senza spessore e senza personalità. Un remake algido nell'esecuzione e sontuoso nella fotografia e nelle ottime riprese. E tuttavia, pur non essendo una pellicola originale ed eccezionale in sé, essa possiede tutte le carte in regola per venire pienamente apprezzata, anche se alcuni dettagli alla fine non convincono in questo film che in realtà sarebbe potuto essere assai peggiore. Il film infatti cerca una propria strada, che trova solo in parte, lasciando l'amaro in bocca, non solo per il finale troppo triste. Perché certo, confrontarsi con la scrittrice di gialli più famosa al mondo è sempre difficile, e fare un remake di un'opera che è quasi un capolavoro (sto parlando appunto ed ovviamente del film omonimo del 1974, diretto da Sidney Lumet) lo è ancor di più, ma la non del tutta efficace attualizzazione dell'opera da parte del regista avviene non senza negative conseguenze. Tra queste l'atmosfera del film, che cambia radicalmente, se nel film del 1974 c'era un clima in fin dei conti allegro, con un Poirot sicuro di sé che dava peraltro spazio a godibilissimi siparietti comici, troviamo in questa pellicola un Poirot triste e tormentato, quasi "dannato" per questa sua caratteristica di vedere il mondo diviso in due. L'atmosfera è quindi (troppo) cupa e pesante in confronto a quella speranzosa e gioviale dell'originale.
A proposito di Poirot, qui, come appena detto, è profondamente diverso e non lavora solo con le sue cellule grigie, bensì anche "fisicamente": sale in cima al treno bloccato su un viadotto, insegue criminali e via dicendo. Anche i baffi sono diversi da come potremmo pensare: ad essi facciamo rapidamente l'abitudine, tuttavia ciò proprio non convince fino in fondo. Certo, alcune di queste idee potevano essere interessanti, e in verità il potenziale di sorprendere c'era, ma il regista, mirando in alto, fallisce in parte l'obiettivo. Proprio perché col remake di Assassinio sull'Orient Express, Kenneth Branagh (che viene dal solo passabile nuovo adattamento di Cenerentola) tenta un'impresa ambiziosa, ma non del tutto riuscita. Il film di Sidney Lumet infatti, seppe rielaborare con intelligenza il materiale "pulp" della scrittrice in una chiave retro che aveva un'eleganza visiva insuperata e una capacità di trarre il massimo anche dagli attori caratteristi, tutti utilizzati al meglio delle loro possibilità. Il film di Branagh rispetta la fonte letteraria ma alla fin fine non aggiunge granché di nuovo, se non una ricerca di originalità nella costruzione delle immagini con lunghe carrellate che accompagnano i personaggi nei loro spostamenti, inquadrature dall'alto dal sapore barocco, qualche tocco (inevitabile?) di computer graphics. Non che questi effetti risultano fini a se stessi, però non alterano la sostanza di un murder mystery che non offre più sorprese per chi conosce già la spiegazione dell'enigma, e non bastano (a parer mio) ad appassionare chi si avvicina per la prima volta all'universo della giallista britannica. Branagh è meticoloso nel "camerawork" ma non riesce a dare spessore ai personaggi, e a parte il suo Poirot che occupa sempre il centro della scena, spreca in buona parte un cast degno di migliori occasioni: infatti, sono pochi gli interpreti che riescono a ritagliarsi uno spazio emotivo nella memoria dello spettatore (forse solo Michelle Pfeiffer e Daisy Ridley), mentre star del calibro di Penelope Cruz, Judi Dench, Johnny Depp e Willem Defoe non lasciano alcun segno, si limitano ad un compitino al minimo sindacale che non può non lasciare un po' l'amaro in bocca (Ingrid Bergman vinse un Oscar interpretando lo stesso ruolo della Cruz con ben altra ricchezza espressiva, nonostante la brevità della parte anche nella prima versione).
Insomma ci si poteva aspettare qualcosa in più, anche perché oltre alla maestria, il carisma e il mestiere del fuoriclasse britannico, Assassinio sull'Orient Express aveva un compositore di grande caratura come Patrick Doyle (Carlito's Way, Gosford Park e un Harry Potter all'attivo) per la colonna sonora (curata ma "anonima", è molto facile ricordarsi il motivetto del film del 1974, quello del 2017 è invece uno come tanti altri), i costumi (qui però poco appariscenti) di Alexandra Byrne (una delle più brave del mondo, con un Oscar e 4 candidature in carriera) e soprattutto un cast a dir poco strepitoso (così tanto che desta un po' di perplessità l'utilizzo di un numero così alto di star planetarie per un film dove, in fin dei conti, non è che fosse così necessaria la presenza di divi di questo calibro, perché d'accordo il voler attirare il pubblico ma vedere personaggi del calibro di Depp, Dafoe e Cruz in film di questo tipo, che ne tarpano anche solo parzialmente le ali, desta una perplessità che non trova alcuna giustificazione plausibile se non, appunto, il porre un'esca davanti al pubblico), e invece, è questo intrattenimento popolare senza troppe pretese intellettuali, ma meno inventivo rispetto a Lumet anche nell'uso del flashback e anche un po' troppo verboso, con certe scene iper dialogate che finiscono per stancare. Tanto che in verità sarebbe sufficienza di stima per un film che aggiorna il materiale della Christie con tocchi moderni a tratti azzeccati, ma che manca nel complesso di una maggiore incisività nel tratteggio dei caratteri (tra questi quelli interpretati da Josh Gad e Olivia Colman) e nel ritmo, se non fosse che il materiale originale rimanga uno dei gialli più belli e geniali mai scritti. Ambientato quasi esclusivamente a bordo del Simplon Orient Express che da Instanbul muove alla volta di Trieste e Calais, il dramma coinvolge il celeberrimo investigatore belga, che si vede costretto a mettere alla prova il suo ingegno ed il suo intuito per trovare il colpevole di un feroce delitto, commesso a bordo della lussuosa carrozza dove alloggia il nostro eroe. La vittima, un certo Ratchett, era tutto tranne che un individuo che ispirasse fiducia verso il prossimo, cionondimeno Poirot è deciso a trovare l'assassino, ma la soluzione non sarà né indolore né semplice, soprattutto per il baffuto, elegante e razionale protagonista.
A proposito di quest'ultimo, fedele più nell'idea che nel contenuto vero e proprio, il Poirot diretto e interpretato da Kenneth Branagh troverà molti più consensi presso chi si avvicina per la prima volta alla storia. Se raffrontata al sempre attuale e affascinante film omonimo del 1974 infatti (con un Albert Finney da Oscar, nel ruolo dell'investigatore belga), la versione di Branagh si mostra chiaramente indirizzata a un pubblico contemporaneo, questo perché il regista, nonostante la certosina messa in scena dal sapore teatrale (croce e delizia della filmografia del poliedrico artista britannico), decide di lavorare molto di più sul personaggio di Poirot, invece di addentrarsi nei dettagli dell'indagine o nella stessa psicologia dei dodici sospettati. La resa finale, più di pancia che di testa, avvicina indubbiamente la figura di Poirot allo spettatore, trasformandolo in un eroe moderno, con la presente pellicola che funge quasi da origin story per il personaggio (come nel caso dell'eroe di un cinefumetto). In tal senso, è chiaro che vedremo l'evoluzione di Poirot nei film successivi: il diretto invito da parte della polizia a recarsi in Egitto, infatti, lascia ben poco spazio all'immaginazione, con Fox che ha da poco confermato un sequel. Questo aspetto grava parecchio sul lavoro finale, non tanto per una fedeltà stilistica mantenuta solo in parte, quanto perché è evidente un accomodamento narrativo che favorisce più un'idea squisitamente produttiva che il piacere dello spettatore. Anche per quanto concerne la risoluzione del caso, comunque fedele al materiale originale, la vicenda si svolge con troppa fretta e senza la giusta audacia, e così alcuni passaggi rimangono poco chiari. Anche taluni passeggeri (con l'obiettivo, come già detto in precedenza, puntato su Poirot) perdono di importanza, rivelandosi macchiette poco approfondite, di cui tendiamo a scordarci, cosa che, considerato l'enorme cast impiegato (da non dimenticare Derek Jacobi, Manuel Garcia-Rulfo e Tom Bateman), rattrista non poco.
Come se non bastasse il montaggio è sicuramente di poco aiuto, visto il suo confezionare un prodotto finale che più che sorprendere positivamente lo spettatore lo confonde, lo fa perdere (e non in senso positivo) dentro un treno che rimane freddo, sterile, non parte integrante di un dramma si labirintico ma anche pregno di significati. Ma il difetto più grave è l'utilizzo massiccio e ingiustificato della computer grafica, non molto ben riuscita e ancora meno giustificata, in un racconto dove sicuramente il naturalismo di forma avrebbe giovato molto di più all'insieme. Non dimenticando i bruttissimi i riferimenti pittorici ed artistici creati durante il film, che appaiono a dir poco fuori luogo e mal riusciti. E tuttavia, al netto di tutto ciò, che può spingerci comunque con curiosità a recuperare l'omonimo romanzo o a visionare il meglio riuscito film di Lumet, Assassinio sull'Orient Express rimane un notevolissimo esercizio di stile, ben girato e concretizzato, con alcune sequenze di rara bellezza nella loro ricercata perfezione (la fotografia è molto buona). La stessa vicenda, che si dipana tutta sull'Orient Express, non restituisce mai un'angusta sensazione claustrofobica, ma rende quei vagoni un microcosmo necessario in cui prospera la mente brillante del detective, che non trascurerà neanche il più piccolo dei dettagli. In ultima analisi però Assassinio sull'Orient Express ha energia, mal distribuita e mal gestita certo, ma dona qualcosa allo spettatore, e pur con tutti i suoi difetti merita di essere visto, con la speranza che il prossimo Assassinio sul Nilo (sempre con Branagh come protagonista e regista) sia creato con maggior creatività e coraggio. Certo sapere che la sceneggiatura (modesta e poco coraggiosa) sarà ancora dello stesso sceneggiatore di questo adattamento (giacché è proprio la sceneggiatura il vero tallone d'Achille di un film che poteva e doveva osare di più) non fa ben sperare. Nel frattempo, anche se in questo film c'è comunque buon materiale di base per scoprire e riscoprire le gesta di uno degli investigatori più famosi, insieme a Sherlock Holmes (già reimmaginato da Guy Ritchie), della letteratura mondiale, accontentiamoci. Voto: 6+