Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/10/2018 Qui - Cinque anni dopo il commovente Philomena, Stephen Frears con Vittoria e Abdul (Victoria & Abdul), film del 2017 diretto dallo stesso regista britannico, porta al cinema di nuovo una storia, dopo Florence, con una donna il cui carisma accentra ogni sguardo su di se, da parte sua Frears continua a concentrarsi, più che sulla storia che circonda i protagonisti, proprio sugli stretti rapporti personali e su cosa le persone sono l'una per l'altra. E in tal senso non è la prima volta che sul grande schermo vengono realizzati film basati su rapporti tra personaggi di spicco e servitù, eppure la pellicola affascina perché è ispirata liberamente a una storia vera, tratta dai diari (ritrovati nel 2010) che la Regina Vittoria scriveva in lingua Urdu, quando era ancora in vita, grazie all'insegnamento di Abdul. Il film infatti, basato sull'omonimo libro di Shrabani Basu, che racconta una storia quasi sconosciuta, perché volutamente tenuta nascosta e venuta alla luce solo poco tempo fa, porta in scena la storia della controversa amicizia tra la regina Vittoria alla fine del suo regno e un suo attendente di origine indiana, Abdul Karim, selezionato per la sua bellezza per consegnare una moneta all'imperatrice indiana durante una delle tante cerimonie di cui è fulcro e protagonista. Istruito a dovere sui movimenti da compiere e ammonito sugli sguardi da evitare, Abdul osa però incrociare quello dell'annoiata regina, scatenando un interesse che presto si trasforma in un'amicizia dai tratti decisamente poco convenzionali che durerà molto a lungo, nonostante tutti i tentativi di farlo fallire. Vittoria e Abdul è quindi soprattutto il ritratto di una donna potente e determinata, dopotutto a Stephen Frears (che con The Program convinse ugualmente) piace raccontare le grandi Regine, e sa farlo con eleganza, grazia e perspicacia, come aveva già dimostrato nel 2006 con il bellissimo The Queen e come fa anche in questo suo nuovo film, che vede l'ennesima collaborazione tra il regista e una delle signore del teatro e del cinema inglese, Judi Dench, già protagonista in due suoi precedenti lavori, Lady Henderson presenta e appunto Philomena, ma anche di un'amicizia che ha saputo superare differenze sociali e religiose. E in tal senso il film è diviso in due fasi dal punto di vista narrativo, con una prima parte ironica e divertente con diverse scene che strappano più di una risata, e una seconda che vira invece al sentimentale e commuove, ma nell'insieme si tratta di una piacevole e irriverente commedia.
Per fare ciò è chiaro che il regista porti questa storia vera in forma molto romanzata e, quasi, ideale, ma assai piacevole a guardarsi. La storia vera sicuramente sarà stata infatti differente dal film, in quanto i pochissimi documenti trovati non possono rendere reale tutto quello che cinematograficamente il regista vuole dare, ma con una trasformazione della figura della Regina in una grottesca romanzata quasi favolistica riesce a dare un senso storico al racconto, a dare solidità allo stesso, dopotutto ciò che più preme a Frears, al di là della veridicità vera e propria, è presentare soprattutto il carattere "bizzarro" di questa regina che, sfidando le convenzioni dell'epoca e, in particolare, del suo elevato rango sociale, la portò a notare e ad apprezzare le doti naturali, unite ad alla sua indole molto affabile, dolce e soprattutto sincera, di un suo servitore indiano, sollevando, appunto, conseguenti disapprovazioni e lamentele, quando non tentativi di ostruzionismo vero e proprio, da parte dei suoi diretti collaboratori e dei suoi familiari stessi. E per fare ciò egli sovrappone tutte le disuguaglianze che un colonialismo dittatoriale imponeva, in un dolce rapporto tra due persone totalmente opposte nella gerarchia ma tremendamente attratte da una reciproca voglia di una maturazione reciproca improntata sul rispetto e la stima di ognuno (due personaggi molto diversi, opposti, ma ognuno a modo suo solo e bisognoso di ricevere il sostegno di qualcuno, un sostegno che diventa reciproco sin dall'inizio), anche se appunto, l'ostilità di tutta la corte (e questo nel film diventa molto veritiero), farà del tutto per ostacolare questa amicizia, difatti dopo la morte della sovrana cancellerà per sempre questo momento storico sicuramente interessante se documentato ufficialmente (perché purtroppo certe situazioni non consone all'etichetta reale sono quasi sempre cancellate). Non è un caso perciò che il film giochi sin dall'apertura su un'ironia sottile tipicamente british e sui contrasti tra il mondo ingessato e cerimonioso della corte inglese e quel mondo che la regina e Abdul si costruiscono, riservandosi il piacere della scoperta dell'altro, dello scambio delle rispettive culture e confidenze e causando così lo scandalo e l'ira dei propri dipendenti a palazzo. Tali scontri reggono il ritmo di una buona parte del film, creando situazioni e dialoghi brillantissimi quanto divertenti, senza mai però scadere nel kitsch o nel macchiettistico e mantenendo un buona credibilità dei personaggi.
A tal proposito interessante il tentativo di dare profondità al personaggio della regina Vittoria (che qui è una Regina ormai anziana, stanca, prigioniera di assurde regole cerimoniali, ma soprattutto una donna annoiata), trasformata dalla semplicità di un rapporto sincero con un servitore che la valorizza proprio nel suo intelletto, portandola fuori dall'algidità degli ambienti di palazzo e restituendole la gioia della scoperta e della quotidianità, non a caso il regista smitizza, in un certo senso, la figura della monarca, che all'epoca era una delle persone più potenti al mondo, mostrandola in tutta la sua umanità e debolezza emotiva, ma evidenziando anche quanto fosse mentalmente più aperta di chi le stava accanto, quasi una ribelle per i suoi tempi (e in tal senso non c'è da sorprendersi del suo carattere se si è visti The Young Victoria o la serie Victoria). E quindi il classico tema delle maschere sociali viene efficacemente declinato in tutte le sue sfaccettature, mostrando la vacuità di una costruzione artificiale basata su ritualità incomprensibili tanto alla regina quanto alla sua corte, come? per l'appunto con una certa leggerezza, anche se proprio la leggerezza con cui alcuni interessanti spunti vengono disseminati nel corso della storia (vari i riferimenti al tema del colonialismo e dell'ingabbiamento nei ruoli imposti dalla società) non permette di approfondirne alcuno. Il personaggio di Mohammed infatti, amico e compagno di Abdul e portatore di una forte drammaticità, tra la logica prevaricatrice degli inglesi e l'anima gentile e sottomessa degli indiani viene liquidato in modo un po' frettoloso con espedienti narrativi che mirano a smascherare il volto colonialista occidentale, mostrandone i reali intenti. Nella seconda parte il film (che ha comunque il merito di elevare il valore di un'amicizia sincera) sembra così perdersi in un gioco di ironie acute che alla lunga stancano e sembrano farlo ripiegare su se stesso, verso un finale forse un po' prevedibile. Ma siccome la capacità del regista di sapere raccontare storie con ironia e sagacia si fonde qui con lo straordinario talento di Judi Dench (il ruolo della regina si addice alla sua classe), che ancora una volta regala sullo schermo un'interpretazione magistrale, riuscendo a esprimere con le espressioni del volto, il portamento e il modo di muoversi i diversi stati d'animo che attraversano Vittoria e la sua forte personalità, taluni difetti passano in secondo piano di fronte ad un film che vuole solo far divertire ed anche solo emozionare che invece far riflettere.
D'altronde uno dei punti di forza di Victoria & Abdul sta nella potenza della narrazione, caratterizzata da un andamento lento, che però permette di godere di ogni singola sfumatura senza mai risultare pesante o annoiare. La sceneggiatura inoltre è abbastanza solida e contiene dialoghi diretti, accattivanti, ma soprattutto intelligenti e colmi di ironia, la stessa che traspare da alcuni atteggiamenti che troviamo nel rapporto di reciproca stima tra la Regina Vittoria (una donna anziana ma tosta, che però deve governare l'intero Paese senza l'aiuto di nessuno e, a parte i suoi consiglieri e il figlio, non ha mai avuto qualcuno con cui confidarsi) e il servo indiano (la cui famiglia è rimasta in India, nella sua città natale). Non solo azioni esilaranti e visivamente emozionanti, ma anche mimica facciale e gioco di sguardi contribuiscono a rendere questo "amore", in senso lato, più vero e intimo di quanto si possa immaginare. Una complicità che a lungo andare emoziona sempre di più per quanta fiducia esista ancora in questo mondo, o meglio esisteva ai tempi del regno dell'Imperatrice d'India. Una fiducia che non ha mai vacillato, nonostante alcune incomprensioni emerse nel corso degli anni passati insieme. Ma non è da dimenticare la mirata e mirabile regia di Stephen Frears, che è studiata nei minimi particolari, ogni inquadratura è infatti volta a sottolineare la forza dell'amicizia tra i due personaggi e a coglierne ogni piccola sfumatura, anche quella che agli occhi del pubblico potrebbe sembrare insignificante. Inoltre, è evidente un'impeccabile cura dei dettagli per quanto riguarda l'ambientazione e i costumi (quest'ultimi non a caso candidati agli ultimi premi Oscar), entrambi tipici del tempo in cui governava la Regina Vittoria d'Inghilterra. I protagonisti di Vittoria e Abdul sono Judi Dench e Ali Fazal, i quali si sono dimostrati all'altezza della situazione. Lei (che seppur in vesti stanche, in sovrappeso e con l'età che inesorabilmente avanza splende), gioca molto sulla mimica facciale e gli sguardi, risultando estremamente espressiva in ogni scena, lui, emoziona con le sue parole sagge e i gesti, contribuendo a far (seppur in scarsa parte) riflettere lo spettatore e a raccontare la sua realtà. E insomma, registicamente ben diretto e ben interpretato, a tratti persino sottilmente ironico e ben riprodotto dal punto di vista dei costumi dell'epoca (anche se ciò non è bastato a vincere il premio grosso) Vittoria e Abdul risulta un perfetto (seppure in superficie) "quadro" di un'epoca remota e fastosa ormai non più vigente ma sempre gradevole a guardarsi. Perché certo, il film non rimarrà certo nella storia (come non lo è rimasta l'amicizia tra la Regina e l'umile servitore indiano), e in verità ha più difetti che pregi, però un'ottima Dench riesce a strappare la sufficienza (e qualcosa in più) e fa si che la visione non sia proprio inutile. Voto: 6,5