Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/03/2018 Qui - Una storia ironica e molto divertente che ci restituisce un personaggio (poco conosciuto) che ha vissuto per il teatro e la musica e che sognava di potersi esibire sul palcoscenico nonostante l'evidente carenza di intonazione, questo è Florence (Florence Foster Jenkins), film del 2016 diretto da Stephen Frears. Il film infatti, tratto da una storia vera, come fu per il controverso ma discreto The Program e come spesso è insito nella filmografia del regista britannico, che non stupisce di certo per l'interpretazione di Meryl Streep, che già aveva dato mostra delle sue doti nell'interpretare la vecchiaia e la malattia, racconta la storia del soprano statunitense priva di doti canore, che aveva ispirato anche Marguerite di Xavier Giannoli (uscito l'anno prima e che ultimamente ho scartato), che riuscì ad esaudire il sogno di esibirsi in pubblico, nientemeno che al Carnegie Hall. La storia difatti e il film stesso (che nell'eleganza e nella struttura scenica e interpretativa è assolutamente riuscito), che sebbene sembri surreale nella sua trama nonostante riporti una storia vera, ci restituisce l'incredibile e grottesca biografia di una donna dal cuore d'oro, che cantava col cuore. Ottimista, malgrado la sventura di un primo matrimonio fallimentare, che le aveva lasciato come "regalo" solo la "sifilide" causa di danni articolari gravi, che le impedirono di coltivare la sua prima passione per il piano (e di avere figli), si dedicò quindi, alla morte del padre, che le aveva lasciato un ingente eredità, al canto lirico. E nonostante Florence sia completamente stonata e inadeguata, riesce a conquistare tutti con la sua passione che rende l'impossibile possibile. Lei infatti, nonostante i piccoli inganni del marito che a sua insaputa "compra" il pubblico e grazie all'approdo fortunoso del suo disco alla radio, allietando i militari che cercano distrazione in teatro durante le loro "pause" dalla guerra e dalla tragedia, conquisterà tutti, critici compresi, con un memorabile ultimo concerto.
E' chiaro quindi che con una struttura narrativa tutto sommato esile e fragile (perché in verità la storia è tutta qui, anche perché il regista sceglie sapientemente, seppur non sempre rischiando qualcosa in più, di non prendere strade impreviste e di mantenersi in una tranquilla e fedele ricostruzione d'epoca), non facile era farci una pellicola interessante e piacevole a vedersi per 100 minuti. Invece, la storia di questo stravagante personaggio, è ben raccontata dal regista Stephen Frears, il quale svolge un attento lavoro, inserendo la sua biografia all'interno di un preciso contesto storico e geografico. Giacché la ricostruzione filologica dell'epoca e del contesto offre valore aggiunto a tutto il film. Un film che attorno a questo "debole" soggetto costruisce una sceneggiatura robusta e convincente, anche perché uno dei meriti del regista è quello di avere estrapolato una delicata commedia che non scade mai nell'esibizionismo caricaturale (aiutato spesso dalle ottime interpretazioni di tutti) o nel pietismo. Florence infatti, è brillante e alterna momenti di schietto umorismo a momenti più commoventi specialmente quando tratta della malattia della protagonista. Protagonista che interpretata magistralmente da Meryl Streep (che, a differenza di Dove eravamo rimasti, offre una performance canora volutamente inascoltabile, e non credo sarà stato poi così facile) e che grazie proprio all'attrice, crea dei siparietti comico-tragici soprattutto durante il concerto, cercando anche di restituire (riuscendoci discretamente bene) il clima dell'epoca attraverso gli spettacoli di Broadway.
Questo perché Stephen Frears mette in atto una regia giovane ma rielaborata per rendere l'idea del periodo storico, con una fotografia molto calda per gli interni e per le scene con la protagonista mentre una più fredda per l'esterno e gli altri personaggi. Unico rammarico le poche scene a riproduzione degli esterni e quindi poche scenografie che invece sarebbero state utili a far comprendere maggiormente come si viveva in America durante la Seconda Guerra Mondiale. Perfette le riproduzioni dei costumi che invece, come il film lascia trapelare, sono riproduzioni ispirate agli abiti effettivamente utilizzati dalla reale Florence, non a caso una delle due candidature all'Oscar nel 2017 viene proprio dai costumi di Consolata Boyle, al suo terzo film con il regista britannico dopo il discreto The Queen e l'ultimo Victoria & Abdul. La pellicola infatti, come ci ha già abituati il regista nei suoi precedenti lavori, trasuda eleganza e attenzione nei dettagli. Un piacere visivo dunque le scene e la fotografia. Punte comiche, ironiche, malinconiche, romantiche colpiscono lo spettatore. Un film ricco di elementi interessanti, ben confezionato, recitato alla perfezione che fa sognare in un'atmosfera molto chic. D'altronde anche qui come in Lady Henderson presenta, Stephen Frears punta sullo stesso (raffinato) fulcro narrativo, il teatro, lo spettacolo, gli artisti possono divertire, dar speranza e sollievo al pubblico anche in situazioni difficili. L'importanza dell'intrattenimento, la determinazione e la speranza sono elementi comuni ad entrambi i film. Le due eroine sono due donne coraggiose che non hanno esperienza nei loro mestieri ma che sono determinate, ognuno a modo suo, a portare avanti un sogno, un progetto innovativo di successo.
Tuttavia non tutto è perfetto, dopotutto Florence è sicuramente un cinema sapientemente costruito ma senza nessun volo, tranne quello improvviso della protagonista vestita come un angelo, è soprattutto attento a disegnare il rapporto tra moglie e marito che si nasconde in una doppia vita ma cerca di fare sempre da scudo protettore a Florence soprattutto quando cerca di nasconderle la stroncatura feroce del Post. Ed è forse questo elemento quello più interessante mentre resta sulla superficie la figura del pianista che ha accompagnato le esibizioni canore della donna. Inoltre non propriamente bello è stato veder ridotti a ridicole macchiette il grande Arturo Toscanini e il geniale Cole Porter, si poteva evitare. A tal proposito buona è la colonna sonora non originale affiancata da pezzi scritti per l'occasione dall'ormai internazionale premio Oscar, il compositore francese Alexandre Desplat. Ma più di tutto ciò che attribuisce qualità all'opera oltre alle buone caratterizzazioni dei protagonisti ben definiti, e che nella trama vengono ben accompagnati da personaggi secondari che rendono il tutto più interessante e che evidenziano la distinzione tra un certo tipo di spettacolo, fine a se stesso fatto di ostentazione ed esagerazione, e quello di una semplice donna appassionata di canto, con un sogno nel cassetto (anche se la bella Rebecca Ferguson è poco sfruttata, come in parte fu meno in Life: Non oltrepassare il limite e più in La ragazza del treno), è la straordinaria interpretazione dei protagonisti, primi tra tutti Meryl Streep, grandissima attrice dal talento indiscusso che ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, stupisce per la sua versatilità, e non stupisce che ogni anno è sempre candidata, e ogni volta meritatamente, all'Oscar, come per questo film e per il suo ultimo (neanche a farlo apposta) The Post.
Ma la Streep, che non sfiorisce mai e ha il merito di non sbagliare quasi mai un colpo nei film che sceglie di interpretare, e che altresì si diverte a recitare e si nota anche in questa pellicola, non è l'unica. Lei è infatti affiancata da un maturo (bravo ed impeccabile) Hugh Grant più conscio delle sue capacità attoriali, lui che lasciate le vesti del romanticone di Notting Hill si misura con un ruolo che valorizza (più che in Operazione U.N.C.L.E.) la sua esperienza. L'attore difatti, che comunque non si presenta al massimo della forma (invecchiato, temo per lui non solo per motivi di copione), dando un strano senso di allontanamento dall'epoca che invece doveva interpretare, la smette di fare il piacione ammiccante e offre una prova d'attore talentuosa. Se notevole è l'istrionico personaggio del marito interpretato dall'attore britannico, notevole è anche l'interpretazione del pianista Simon Helberg (che senz'altro dimostra di essere maturo per ruoli ancora più significativi, dato che è conosciuto al vasto pubblico solo per la serie The Big Bang Theory) alle prese con una committente davvero particolare ma che per questo fa di lui il personaggio più ironico e più scettico del film, senza dimenticare anche alcuni personaggi di contorno davvero non male. Tuttavia Florence non è affatto un capolavoro, ma un film medio, un film delicato, reso divertente dal personaggio del pianista (che per questo strappa qualche risata), ma anche drammatico. Grazie soprattutto al regista, anche dell'emozionante e bellissimo Philomena, Stephen Frears che, dosa ciò in maniera brillantemente convincente e divertente. Anche se in verità il film è soprattutto amaro, se vogliamo anche un po' triste, ma la vitalità della protagonista, la sua purezza, la sua capacità di sognare rendono la pellicola, un gradevolissimo film di intrattenimento che ci mostra come a volte ciò che sembra impossibile può diventare possibile, assai godibile e piacevole. Voto: 7-