Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/03/2018 Qui - Guardando il trailer del film la prima cosa che pensi (anche a distanza di un anno e più dalla sua uscita) è che ti ritroverai alla fine del film in una valle di lacrime, ed è stato per larga parte davvero così anche per me. La storia effettivamente è da lacrime. E infatti i miei occhi erano pieni di lacrime a causa della eccezionale narrazione, le fantastiche riprese, e le sbalorditive interpretazioni insieme a un finale mozzafiato. Giacché Lion: La strada verso casa (Lion), film del 2016 diretto dall'esordiente all'epoca Garth Davis, ora al cinema con Maria Maddalena, è veramente un film eccezionale. L'emozione che trasuda, la colonna sonora, la regia, le scenografie, e una sceneggiatura azzeccata, sono tutti aspetti che rendono Lion (candidato a ben sei Premi Oscar all'89esima edizione, vincendone però nessuno) un film basato su una storia vera fantastica. Ovvero la storia di Saroo, un bambino di cinque anni che va in giro a procurarsi cibo e beni (anche rubando) da scambiare o vendere per sostenere la famiglia con il fratello maggiore Guddu, ma che per pura fatalità si ritrova da solo e, spaventato e confuso, si ritrova dopo un lungo viaggio in treno nella caotica Calcutta, lontano un migliaio di miglia da casa. Cercando di sopravvivere alla vita di strada, finisce per essere adottato da una coppia di australiani che lo cresce con amore a Hobart. Non volendo ferire i sentimenti dei genitori adottivi, Saroo seppellisce il suo passato e il desiderio di ritrovare la madre e il fratello biologici. Un incontro casuale però (e grazie all'aiuto di un nuovissimo mezzo tecnologico come Google Earth può essere) riporterà a galla il suo sogno, facendolo imbarcare in una delle più grandi avventure della sua vita, anche se trovare quella stazione, quei luoghi, sembra una ricerca impossibile, e infatti i suoi umori e i suoi equilibri saranno messi a dura prova, almeno fino alla risoluzione del "giallo".
Sì perché a volte la realtà supera ogni fantasia, è il caso di dirlo anche per questo film in cui il regista australiano si prefigge l'arduo compito di narrare una storia tanto crudele ed emozionante quanto reale, attraverso un cast eccezionale, con nomi come Dev Patel, Rooney Mara (in una bella prova simile a Carol e decisamente migliore che in Pan: Viaggio sull'Isola che non c'è) e Nicole Kidman, senza dimenticare David Wenham (conosciuto soprattutto per i due 300). Anche perché partendo dal presupposto che l'Odissea indiana del piccolo Saroo, affrontata da una stazione di Calcutta sulla strada verso casa (che dura effettivamente vent'anni, proprio come l'eroe omerico), è una storia vera e tratta dal libro che il Saroo vero ha scritto (La lunga strada per tornare a casa), quello che il regista ci offre è una rappresentazione cruda, sincera, tragica dell'India e delle insidie che le sue megalopoli tendono ai deboli, ai bambini. Il film infatti, scevro comunque di qualsiasi sentimentalismo o tentativo di provocare la lacrima a tutti i costi, rivela un'India matrigna, dove migliaia di bambini sono le vittime più innocenti e indifese, che finiscono quotidianamente nelle mani di uomini depravati. L'indifferenza e il male aleggiano dovunque. Nella sua innocenza di bimbo, Saroo riesce comunque a sfuggire alle situazioni più infami. Adottato poi da una coppia australiana che gli appare l'unica ancora di salvezza, Saroo pare allontanato per sempre dalla sua famiglia e dal suo paese. In realtà, il filo che continua a legarlo alla sua terra e alle sue radici si fa sempre più forte e, dopo venticinque anni, lo porterà a tornare, finalmente, a casa, e a ritrovare la propria famiglia (o quello che ne rimane).
Una famiglia che non ha mai smesso di cercarlo, come al contrario lui non ha mai smesso di cercarli da quando il suo pellegrinaggio alla ricerca della madre e del fratello iniziò a Calcutta, da dove il regista ci mostra la miseria, la solitudine e brutalità della strada. Dopotutto il film, grazie soprattutto ai girati nelle realtà indiane e la natura australiana, e sfruttando una suggestiva fotografia, affronta e delinea diversi temi importanti, differenti tematiche, la povertà a Calcutta, l'autolesionismo, adozione, rapporto tra madre e figlio adottato. Inoltre il film offre ampi spunti di riflessione, soprattutto su come possiamo guardare a paesi come l'India, per noi così distanti e diversi da apparire inaccettabili, e ancor di più pone interrogativi sull'importanza (perché arriva un momento che occorre fare luce sulla propria storia e tentare di dare risposte alle domande che questo pone, solo in questo modo è difatti possibile dare un significato pieno alla vita attuale e futura) delle proprie radici. Tema che appunto, insieme ad il dramma della povertà e della tratta dei bambini, a il tema dell'adozione e il tema della ricerca delle proprie origini, diventano il tema portante di un film, di una storia sbalorditiva, dove la regia è capace, secca, profonda ma soprattutto non melodrammatica. Perché cruda è la descrizione dell'infanzia del piccolo Saroo, misurata e drammatica è la rappresentazione dell'angoscia del giovane Saroo, emozionante e toccante la scena finale. Questo è proprio il dramma che non fa piangere, è il dramma che da speranza, perché la strada verso casa è lunga, ma non è infinita.
Proprio perché Lion, che riesce a trasportare il pubblico nelle atmosfere esotiche e sognanti dell'India, è una storia commovente ed autentica, raccontata con delicatezza e originalità, il film infatti non si sbilancia mai nell'essere troppo crudo e violento o troppo sentimentale, e questo lo rende leggero e scorrevole. E nonostante per questo non sia mai troppo estremo, anzi sia quasi al limite della censura nel raccontare la tragedia della strada, degli orfanotrofi e della pedofilia, riesce ad essere commovente e profondo. Poiché il regista riesce a raccontare le sensazioni, le paure e le gioie dei personaggi attraverso i loro gesti, i loro occhi e i loro volti, più che le loro parole, e in questo spicca particolarmente la figura del protagonista Saroo. Infatti è l'incredibile interpretazione del piccolo Saroo a trasmettere l'angoscia, e la paura di un bambino che si ritrova su un treno dal quale non riesce a scendere, la speranza di ritrovare la sua famiglia e i ricordi che lo perseguitano. Gli occhi carichi di espressività del piccolo Saroo sono il veicolo con cui il film costruisce le sue inquadrature più drammatiche. Alcune scene sono prive della colonna sonora, e il silenzio con i soli rumori di strada caricano le inquadrature di angoscia e attesa, rendendo facile l'immedesimazione con il protagonista. Ma non finisce qui, perché la seconda parte del film si apre in Australia, e il ruolo di Saroo cresciuto viene affidato a Dev Patel, e ancora una volta il regista sceglie di dare spazio alle emozioni attraverso il volto e i gesti del personaggio. Quando il protagonista è in Australia sono i flashback a riportarlo vicino al fratello perduto e alla madre, il ricordo limpido dei gesti quotidiani dell'infanzia felice con la madre si sovrappongono a un presente vuoto e doloroso.
Non a caso come nella realtà e grazie a tutte le caratteristiche del film, aggiunte alle tematiche ed insieme alle inquadrature e alle riprese quasi del tutto in esterni e soprattutto la scelta di girare tutta la prima parte del film in lingua originale (hindu) sottotitolato, rendono il film vicino al realismo più vero. E infatti la prima parte del film è quasi silenziosa, i dialoghi sono pochi e sono invece i gesti, gli sguardi e i paesaggi a parlare, sono i silenzi, i rumori della natura e la leggera colonna sonora, a comunicare con noi spettatori. Perché sono proprio questi i dettagli che amplificano la componente emotiva e il senso di solidarietà e speranza che accompagna lo spettatore dall'inizio del film alla fine. Un film che con una sceneggiatura così intensa (non per caso Luke Davies ha ricevuto la candidatura alla miglior sceneggiatura non originale) emoziona e commuove. Ma grazie alla fotografia (anch'essa candidata e di Greig Fraser), la forza del film non è data solo dalle sue forti emozioni ma anche dai magnifici paesaggi indiani (e australiani), senza dimenticare il bel montaggio alternato con scene di ricordi e reali (vita di bambino e di giovane) e la bellissima colonna sonora (anche quest'ultima con Dustin O'Halloran e Hauschka ha ricevuto una candidatura). Tuttavia il film diretto da Garth Davis ha certamente i pregi di tante opere analoghe, ma anche i difetti, la storia vera e incredibile emoziona senza dubbio (oltre tutto il piccolo Sunny Pawar, che interpreta Saroo da piccolo, strappa il cuore), ma ogni tanto il rischio del "ricatto" emotivo (anche se non c'è) incombe.
Come detto però, se il protagonista (da grande) Dev Patel (che meritatamente ha ricevuto una candidatura all'Oscar come miglior attore non protagonista e che offre un'interpretazione certamente migliore che in Humandroid e Ritorno al Marigold Hotel) sembra abbonato a certe produzioni "edificanti" (da The Millionaire, che era peraltro un ottimo film, a L'uomo che vide l'infinito, storicamente interessante ma leggermente e cinematograficamente più piatto) la storia è irresistibile, prende da subito lo spettatore e non lo molla più. D'altronde ci sono, molti aspetti sicuramente (e certamente) sinceri, la descrizione realistica della povertà del contesto in cui è nato Saroo, il suo sguardo smarrito e impaurito, la bella famiglia che lo accoglie (bravissima Nicole Kidman, in una delle sue prove più toccanti, decisamente migliore che nei suoi ultimi tre film visti ovvero Strangerland, Il segreto dei suoi occhi e La Famiglia Fang, grazie a un personaggio di madre ben scritto e davvero indimenticabile, che nonostante non abbia un ruolo di primo piano nel film, si è dimostrata capace di impersonificarsi nella difficile interpretazione di una madre di due figli adottivi, che ha dovuto adottare anche "il loro difficile passato", come le ricorda Saroo, ricevendo anche una candidatura all'oscar come miglior attrice non protagonista), le differenze con l'altro fratello adottato che non riesce a vivere con serenità la sua vita. Nella parte australiana il film usa però qualche convenzione di troppo (anche se in verità tutto il film è disseminato di piccoli "trucchi"), a cominciare da una storia d'amore (con Rooney Mara nella parte della dolce fidanzata del protagonista, che oscilla tra entusiasmi e disillusione) non particolarmente originale.
Il finale però, seppur preparato da una svolta brusca e poco credibile per come ci viene mostrata, chiude il cerchio in modo bello e vero, davvero toccante grazie anche agli inserti dei "veri" personaggi della storia (come sempre più spesso si usa). Questo per dire che probabilmente non è un capolavoro, ma un'ottimo film "tradizionale" come quelli di una volta, che racconta (seppur comunque con qualche cedimento retorico) una storia incredibile e che è bello aver scoperto. Con il tocco di classe di svelare alla fine il significato del titolo, fino a quel momento enigmatico. Perché in conclusione Lion, una storia autentica e commovente, convincente praticamente (ma non eccellentemente sempre) da ogni punto di vista, da quello fotografico alla brillante interpretazione degli attori, in particolare del piccolo Sunny Pawar, fondamentale alla riuscita del film, specie nella primissima parte del film, soprattutto se si tiene conto che è stato scoperto in una scuola per bambini svantaggiati di Mumbai, lontanissimo, dunque, dal ruolo di attore, che in realtà gli calza a pennello e pare la sua vera vocazione. Meritano un plauso, comunque ed ovviamente, anche gli altri interpreti, così come la scenografia, perché senza Lion non sarebbe il film che è, e che è diventato per me, un film bellissimo, emozionante e commovente, che mi è piaciuto un sacco (non solo perché mi ha davvero commosso, come raramente in verità succede, anche se ultimamente è diventato più facile e non so perché) e che vi consiglio di vedere. Un film che forse avrebbe meritato più considerazione all'Oscar date le sue sei candidature (anche per quella per il miglior film) e il suo straordinario risultato in termini di credibilità, umanità e verosimiglianza, ma tant'è rimane negli occhi la bellissima (altresì tragica) storia di un bambino, di un'odissea suggestiva, incredibile e difficile da dimenticare. Voto: 8