lunedì 7 gennaio 2019

Dove eravamo rimasti (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/07/2016 Qui - Dove eravamo rimasti (Ricki and the Flash) è una drammatica commedia musicale del 2015 diretta da Jonathan Demme, premio Oscar nel 1992 per Il silenzio degli innocenti. Per questo suo film il regista si avvale di altri due premi Oscar, il sempreverde Kevin Kline, nel 1989 vincitore dell'Oscar come miglior attore non protagonista per Un pesce di nome Wanda, e sfruttando anche la sua amicizia e la passione in comune per la musica (nel caso della pellicola rock), della straordinaria regina e primatista di nomination all'Oscar (19), Meryl Streep, vincitrice comunque di ben 3 premi Oscar, l'ultimo nel 2011 (The Iron Lady). La pellicola racconta di Ricky Randazzo (vero nome Linda Brummel, ovvero la Streep), cassiera di un supermercato con un'enorme passione per la musica rock, tanto da aver fondato un complesso, chiamato The Flash (che non ha niente a che vedere con il supereroe della DC Comics o la serie tv), col quale suona cover di artisti musicali statunitensi in un affollato locale della California. Ma Linda, dietro le apparenze di una chitarrista rock energica e spregiudicata, nasconde anche una storia famigliare molto complessa e travagliata, ha infatti avuto tre figli, due maschi e una femmina, dal marito Pete (Kevin Kline), con cui ha successivamente divorziato, e si è sempre mostrata una madre inconcludente e irresponsabile. Intenzionata a recuperare l'affetto dei figli e, inconsapevolmente, se non l'amore, almeno la stima di Pete, decide di ricomparire per una settimana nella vita della sua famiglia per fare un disperato tentativo nel quale nemmeno lei crede poi fino in fondo. Scopre che la complessata e sciatta figlia Julie, preda degli psicofarmaci e aspirante suicida, ha appena concluso un devastante matrimonio con un ragazzo ben poco raccomandabile, che il figlio maggiore Joshua sta a sua volta per convolare a nozze con una bella e simpatica fidanzata e che l'ultimogenito Adam è omosessuale. È troppo, Linda preferisce la vita disinteressata della rockstar, lontano dagli impegni sentimentali e immersa in quell'alone impenetrabile di divertimento fine a sé stesso e successo a portata di mano. Ma non per questo rinuncerà a mostrare ai famigliari la sua tenacia nel volersi ritagliare un posto all'interno di un gruppo che l'ha sempre screditata per il suo consueto comportamento scriteriato, e lo farà esibendosi con la sua band (della quale fa parte anche il fascinoso chitarrista Greg, suo attuale compagno, interpretato dal rocker australiano Rick Springfield) al matrimonio di Joshua, regalando a tutti quanti il miglior dono che potevano sperare da lei.
E' innegabile che la vicenda proposta in questa pellicola (è stata già vista innumerevoli volte sullo schermo) e per come è stato concepito il film il regista non aveva sicuramente l'intenzione di creare un capolavoro eppure, anche grazie ad uno script insufficiente e indefinito di Diablo Cody, sceneggiatrice di Juno e Young Adult tra gli altri, che si è ispirata alla propria suocera, che nella realtà era la front woman di un complesso che faceva serate nei country club californiani, riesce ugualmente ad infondere a questa commedia dai risvolti agrodolci un'iniezione di simpatica originalità, dovuta soprattutto all'abituale e infallibile bravura della Streep, la quale lascia perdere i suoi sessantasei anni e sa vestire con una giovialità che non invecchia mai i panni di una cantante a cui sembra interessare soltanto la musica e i suoi aspetti meno impegnativi, ma che in verità, se si scava più in profondità nel suo contraddittorio personaggio, cerca costantemente un appiglio per aggrapparsi alle speranze di un'esistenza normale, in cui la normalità va di pari passo con la serenità e, possibilmente, la contentezza delle persone che ha messo al mondo. La sceneggiatura infatti rovescia il senso e la riuscita del film sull'interpretazione degli attori e sulla regia di un Demme felicemente disimpegnato e divertito dopo tanti grandi film, che si conferma ottimo professionista riuscendo a tirar fuori da una storia abbastanza scontata il meglio possibile con una conduzione tecnicamente impeccabile. Certo non qualcosa di così eccezionale, ma qualcosa di gradevole, con un inizio scoppiettante (che poi un po' si adagia) e una bella parte musicale che non permette di annoiarci (almeno per un po') poiché la musica la fa da padrona, quasi come in un musical. I brani poi (tra cui quelli di Bruce Springsteen e Lady Gaga) sono eseguiti per intero, live. La Streep addirittura, da perfezionista qual è, ha imparato a suonare la chitarra e a cantare il rock, dopo varie esperienze musicali (come il country di Radio America di AltmanLa musica del cuoreMamma mia!) e si è anche fatta conciare con un look di treccine, make-up marcato, anelli a tonnellate, pantaloni aderenti e stivali adatti ad una rockstar, comunque forse troppo in effetti.
Rimanendo in ambito musicale però non tutto è perfetto, anzi, a parte qualche stonatura di qualche canzone anche per quanto concerne la dimensione della traduzione in immagini della musica, non è tutto particolarmente costruito e curato nei minimi dettagli, ma quasi in modo farsesco. Qui però sembra avere più importanza la parte umana e la complessità dei rapporti, che anche se vista in superficie e con molte volute ellissi narrative, è il fulcro della narrazione. Qui infatti una morale tutt'altro che favolistica veicola un significato che sa colpire al cuore un problema millenario (la crescita dei figli da parte di genitori che vedono nel compito paterno o materno un ostacolo quasi inaffrontabile) e soprattutto abbinabile agli ambiti più svariati. Soprattutto per lei che viene letteralmente divorata dalla passione per la musica rock che vent'anni prima l'aveva spinta ad abbandonare tre figli piccoli e il marito (Kevin Klein, opportunamente gigionesco, a tratti un po' sopra le righe, la scena di lui strafatto è inquietante, leggermente troppo finta), che aveva poi visto sporadicamente, mentre lui si era risposato con la efficiente ed egocentrica Maureen (abbastanza irritante come protagonista a mio modo di vedere). E' durante un'assenza di quest'ultima che egli chiama Ricki per aiutare la figlia Julia (Mamie Gummer, vera figlia della Streep, da notare la somiglianza, uguale proprio), straziata fino a tentare il suicidio per l'abbandono del neo-marito. Da Los Angeles vola difatti in Indiana, nella ricca casa dell'ex marito, così com'è, con sensi di colpa, imbarazzo, senso di esclusione, ma anche orgoglio, passione, spontaneità che in un certo modo la fanno (fortunatamente e giustamente) riconoscere dai figli come madre. In conclusione quindi, gli attori sono tutti bravi e perlomeno simpatici, naturalmente ed ovviamente Meryl Streep è una spanna sopra gli altri e non è una novità. La novità è che, malgrado il film non sia un capolavoro lei sembra più brava e più nella parte che non in altri film più ambiziosi dove però le sue interpretazioni erano segnate da una certa dose di retorica e forse da un eccesso di mestiere. Comunque nonostante una seconda parte più convenzionale ed il finale prevedibile, la scena finale con una musica trionfante e coinvolgente riempie di allegria lo spettatore, che senza particolari aspettative si troverà di fronte ad un'evasione registica di tutto rispetto che andrebbe amata e accettata così com'è, perché ci offre 100 minuti di musica e una storia sì, vista tante volte, ma che la magia di Meryl Streep però rende diversa e coinvolgente per quanto è possibile. In definitiva quindi, nota di merito alle canzoni, di demerito invece a certi cliché o situazioni che chissà perché sembrano troppo forzate e abusate ormai in tutti i film americani. Un film quindi, non brutto e non bellissimo, non intrigante e neanche tanto interessante, ma piacevole e perché no anche divertente. Voto: 6+

Nessun commento:

Posta un commento