Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Amori inespressi, non corrisposti, agognati senza che il coraggio per esprimerli, esplicitarli, possa almeno per un attimo chiarire una inadeguatezza sentimentale che passa oltre la giovinezza e scorre lungo tutta una vita, trascorsa con umiltà ed obbedienza a servire una famiglia agiata tra le mura di una graziosa casa dal tetto rosso, quella casa perfetta, quasi affettata, artificiosa, manierata, quasi fiabesca, che appare sempre come sfondo ed ambientazione, così diversa da tutte le altre della zona. L'ottantaquattrenne instancabile regista nipponico Yoji Yamada (terzo suo film che vedo, visto dopo Tokyo Family) dirige lo struggente e sentimentale The Little House, un film di stampo tradizionalista incentrato sulla figura di una giovane cameriera di nome Taki, proveniente dalla campagna che, impiegata come domestica in una casa borghese, diviene la testimone triste e sofferente, ma anche affidabile, di una storia d'amore clandestina tra la padrona di casa ed un giovane seducente musicista di cui la giovane risulta invano innamorata. Sullo sfondo di una sanguinosa guerra come fu il secondo conflitto mondiale, La maison au toit rouge (questo il titolo dell'edizione francese) è un accorato, sentito ritratto di una figura femminile che sceglie suo malgrado di vivere per gli altri, ed è anche la storia di un riscatto tardivo rivendicato dai nipoti della donna dopo la morte di quest'ultima. Tratto dall'omonimo romanzo di Kyoko Nakajima, un melodramma fine e raffinato, forse un po' prevedibile, ma di innegabile presa. Voto: 6,5
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