Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/02/2019 Qui - Ispirandosi all'omonima fiaba di Giambattista Basile (contenuta ne Lo Cunto de li Cunti, stessa fonte che utilizzò qualche anno fa anche Matteo Garrone) e all'opera teatrale di Roberto De Simone, il regista Alessandro Rak e i suoi collaboratori (Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone), si servono di entrambe queste matrici per connotare (ed innestare sul terreno vagamente cyberpunk) una narrazione con toni fiabeschi e intermezzi musicali una interessante variazione della famosa favola, una variazione in salsa napoletana, grondante di sangue e malaffare. Una trasposizione moderna, capace di rendersi coinvolgente e appagante anche sotto il profilo visivo, con una grafica forse non eccelsa ma decisamente funzionante. Si segue bene, le canzoni non infastidiscono poiché sono accompagnate da immagini integrative, il ritmo è sciolto, il doppiaggio funziona nonostante l'intercalare partenopeo presente nei dialoghi, e tutto sembra andare in un'unica direzione che conduce a una discreta riuscita. Gatta Cenerentola infatti, film d'animazione del 2017 presentato alla 74a Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia 2017 (nella sezione Orizzonti), che comunque presenta una storia del tutto diversa (che prende una piega diversa) da quella classica, è quello che si chiama innovazione, sia per la tecnica adottata nel realizzare personaggi e luoghi, sia per la forte caratterizzazione di tutte le sue componenti. Un buon prodotto, anche se poco adatto ai bambini visto la forza visiva di alcuni momenti e i temi trattati, che si avvale dell'uso di ologrammi fantascientifici, stilizzazioni ben fatte e architetture ispirate all'art déco. Ambientata in una Napoli cupa (i toni del film infatti sono prevalentemente freddi e "dark"), la storia, come già detto, è ben lontana da quella del classico Disney, nonostante piccoli riferimenti legati alle sorellastre e alla matrigna che sfrutta la protagonista, c'è ben poco di quella Cenerentola a cui ci hanno abituati sin da piccoli, eppure la pellicola non delude affatto, grazie all'ondata di freschezza che sembra aver portato nel cinema italiano dell'animazione e non, affrontando temi che difficilmente ci si aspetta dall'animazione (a parte alcuni).
Coraggio, determinazione, speranza, la voglia di cambiare, il bisogno di salvarsi e di vivere la propria vita nei migliori dei modi, senza alcuna costrizione. La forza di una ragazza che dalla vita ha avuto poco e nonostante questo cerca un modo per "riprendersi tutto quello che è suo". Inganni, tradimenti, amori di convenienza, sotterfugi, segreti, rivincita. C'è tutto in questo film che si nutre di letteratura e realtà contemporanea: i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi. C'è l'invidia, la volgarità e la pusillanimità che sono mostrate per quello che sono. E c'è anche la generosità che non smette mai di generare speranza nel futuro. Viviamo tutto questo in Gatta Cenerentola, composto da un cast vocale che comprende Maria Pia Calzone (la matrigna), Alessandro Gassmann (Primo Gemito), Massimiliano Gallo (Salvatore Lo Giusto, il cattivo di turno) e Renato Carpentieri (il comandante della nave), tutti molto bravi a rendere al meglio il carattere e il punto di vista dei loro personaggi, la cui costruzione in parte ricorda molto la fisionomia degli attori stessi. In tal senso, pur non potendo disporre del budget e dei mezzi di colossi dell'animazione come Disney, Pixar, Dreamworks o Studio Ghibli, Gatta Cenerentola stupisce con una tecnica di disegno semplice ma efficace, che esalta dei personaggi ben costruiti e soprattutto lo scenario di Napoli, dipinta realisticamente e schiettamente sia nei suoi gravi problemi sia nella sua incrollabile fiducia. Ma Napoli in realtà, come luogo fisico, è completamente assente, dal momento che la principale protagonista del racconto è la Megaride, un'immensa nave progettata dal ricco ricercatore e filantropo Vittorio Basile. L'imbarcazione staziona nel porto della città (come simbolo di speranza e progresso tecnologico) e possiede la facoltà di registrare gli eventi accaduti al suo interno per poi riprodurli sotto forma di ologramma. Questa è l'intuizione più felice del film, capace di realizzare uno dei propositi dei registi: lavorare sull'atmosfera elevandola a matrice primaria di senso. La Megaride ospita uno spazio rarefatto, costantemente invaso da pulviscolo galleggiante e immagini che si trasfigurano in ricordi, fantasmi, maledizioni e assorbe come una spugna le memorie e i desideri dei passeggeri (in questo ritrovo una certa similitudine con Blade Runner e il videogame BioShock). Napoli e i suoi abitanti vengono così rappresentati di rimbalzo in questo illimitato archivio digitale: si specchiano nella nave e decidono la sua progressiva decadenza.
Un archivio che, in una Napoli appunto sospesa fra tradizione e modernità (con un tocco di cupa distopia), diventa lo scenario perfetto per l'incontro-scontro fra miseria e nobiltà, fra crimine e amore, fra ricatti e famiglia, sintomatico di una terra perennemente divisa fra la sua anima pura e appassionata e il cancro della malavita organizzata che continua a divorarla dall'interno. A tal proposito, diventano assolutamente fondamentali, quasi un personaggio a se stante del film, i profondi testi delle variopinte musiche di parecchi artisti che hanno collaborato, che toccano in maniera esplicita e pungente nervi scoperti della contemporaneità partenopea. Dopotutto Gatta Cenerentola è anche una storia di mafia. Nella parte iniziale del film (e in tal senso non svelo niente di clamoroso), Salvatore Lo Giusto (detto 'O Re) e la compagna Angelica uccidono Basile e deformano i suoi progetti visionari in un racket di droga. Sua figlia Mia (ecco Cenerentola) viene adottata dalla donna ed è costretta a subire le violenze delle numerose sorelle acquisite. Gatta cova però in silenzio la vendetta: uccidere Salvatore 'O Re e liberare per sempre se stessa e la sua città. A tal proposito tuttavia, l'intreccio criminale è la parte più trascurata (anche la componente futuristica in realtà si risolve esclusivamente nella nave) dato che i meccanismi dell'impresa mafiosa sono completamente oscuri, così come i dettagli riguardanti l'investigazione poliziesca, più in generale Alessandro Rak non riesce a traslare gli archetipi della fiaba in maniera sempre efficace e alcuni parallelismi risultano a tratti goffi (come la scarpetta composta di cocaina invece che di cristallo). Però in vista di un'evoluzione (si spera) della produzione italiana in termini di risorse e attenzione artistica, queste stonature sono accettabili. Anche perché il team affiatato di registi, sceneggiatori, animatori e compositori, realizza una pellicola (che mostra le capacità degli autori coinvolti nel progetto, abili nell'animare una storia originale e a suo modo evocativa) intensa e agrodolce, pellicola dalla messa in scena fiabesca ma con lo spirito del cinema di denuncia e d'inchiesta, davvero bella ed interessante. Una pellicola caratterizzata da un ritmo incalzante, in cui i dialoghi (oltre ad essere freschi, anche se talvolta banali) sono in dialetto napoletano.
Ecco, su quest'ultimo punto difficile è seguire a pieno questa pellicola animata, soprattutto se non si conosce (perfettamente) il napoletano (fortunatamente i sottotitoli in italiano aiutano parecchio in tal senso), ma è comunque qualcosa di nuovo, originale, dove sono stati inseriti un po' tutti i cliché, a partire dal personaggio trans. Un vero minestrone di idee che però funziona, in quanto tutti gli elementi sono amalgamati in maniera equilibrata, senza che la pellicola risulti mai pesante nel complesso. Questo grazie anche alle musiche (cantate) e dalle scene d'azione presenti nel film, che vi faranno ridere spesso, se non altro per il dialetto napoletano, talvolta volgare ma non troppo (alcune espressioni adottare suscitano qualche sorriso). Ma soprattutto un doveroso plauso, anche se si è ancora lontani dai vertici orientali ed europei (sebbene la costruzione di personaggi visivamente spigolosi e ibridati con movimenti scattosi da grafica 3D siano probabilmente una scelta registica), al reparto tecnico, capace di creare un'ampia e variegata gamma di personaggi e location. Buono (come già detto) anche l'apporto dei doppiatori tutti, capaci di donare profondità e inflessione locale ai propri personaggi, risultando per questo leggermente più comprensibili anche a chi non mastica il dialetto napoletano. E insomma, nel panorama italiano dell'animazione, che quasi mai ha raggiunto vette altissime, è una bella notizia la produzione di Gatta Cenerentola. Non più film per bambini o per ragazzine (si ricorda il successo internazionale delle Winx, nate anni fa in una piccola casa di produzione con sede a Loreto) ma film che nascono per il pubblico adulto e che dimostrano come le fiabe, questa volta dark, con le loro animazioni perfette e le musiche travolgenti e piene di energia, possono tornare ad avere un posto nel nostro immaginario. Perché in definitiva, Gatta Cenerentola rappresenta una scommessa nobile, coraggiosa e originale all'interno del troppo spesso omologato panorama cinematografico nostrano. Una pellicola genuina e sincera, che cerca e trova nel fiabesco uno strumento per raccontare i vizi e le virtù della nostra società. Una piccola grande opera fatta con cuore, dedizione e temerarietà, ennesimo segnale confortante della vitalità e della freschezza del sottobosco cinematografico italiano. Voto: 7
Coraggio, determinazione, speranza, la voglia di cambiare, il bisogno di salvarsi e di vivere la propria vita nei migliori dei modi, senza alcuna costrizione. La forza di una ragazza che dalla vita ha avuto poco e nonostante questo cerca un modo per "riprendersi tutto quello che è suo". Inganni, tradimenti, amori di convenienza, sotterfugi, segreti, rivincita. C'è tutto in questo film che si nutre di letteratura e realtà contemporanea: i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi. C'è l'invidia, la volgarità e la pusillanimità che sono mostrate per quello che sono. E c'è anche la generosità che non smette mai di generare speranza nel futuro. Viviamo tutto questo in Gatta Cenerentola, composto da un cast vocale che comprende Maria Pia Calzone (la matrigna), Alessandro Gassmann (Primo Gemito), Massimiliano Gallo (Salvatore Lo Giusto, il cattivo di turno) e Renato Carpentieri (il comandante della nave), tutti molto bravi a rendere al meglio il carattere e il punto di vista dei loro personaggi, la cui costruzione in parte ricorda molto la fisionomia degli attori stessi. In tal senso, pur non potendo disporre del budget e dei mezzi di colossi dell'animazione come Disney, Pixar, Dreamworks o Studio Ghibli, Gatta Cenerentola stupisce con una tecnica di disegno semplice ma efficace, che esalta dei personaggi ben costruiti e soprattutto lo scenario di Napoli, dipinta realisticamente e schiettamente sia nei suoi gravi problemi sia nella sua incrollabile fiducia. Ma Napoli in realtà, come luogo fisico, è completamente assente, dal momento che la principale protagonista del racconto è la Megaride, un'immensa nave progettata dal ricco ricercatore e filantropo Vittorio Basile. L'imbarcazione staziona nel porto della città (come simbolo di speranza e progresso tecnologico) e possiede la facoltà di registrare gli eventi accaduti al suo interno per poi riprodurli sotto forma di ologramma. Questa è l'intuizione più felice del film, capace di realizzare uno dei propositi dei registi: lavorare sull'atmosfera elevandola a matrice primaria di senso. La Megaride ospita uno spazio rarefatto, costantemente invaso da pulviscolo galleggiante e immagini che si trasfigurano in ricordi, fantasmi, maledizioni e assorbe come una spugna le memorie e i desideri dei passeggeri (in questo ritrovo una certa similitudine con Blade Runner e il videogame BioShock). Napoli e i suoi abitanti vengono così rappresentati di rimbalzo in questo illimitato archivio digitale: si specchiano nella nave e decidono la sua progressiva decadenza.
Un archivio che, in una Napoli appunto sospesa fra tradizione e modernità (con un tocco di cupa distopia), diventa lo scenario perfetto per l'incontro-scontro fra miseria e nobiltà, fra crimine e amore, fra ricatti e famiglia, sintomatico di una terra perennemente divisa fra la sua anima pura e appassionata e il cancro della malavita organizzata che continua a divorarla dall'interno. A tal proposito, diventano assolutamente fondamentali, quasi un personaggio a se stante del film, i profondi testi delle variopinte musiche di parecchi artisti che hanno collaborato, che toccano in maniera esplicita e pungente nervi scoperti della contemporaneità partenopea. Dopotutto Gatta Cenerentola è anche una storia di mafia. Nella parte iniziale del film (e in tal senso non svelo niente di clamoroso), Salvatore Lo Giusto (detto 'O Re) e la compagna Angelica uccidono Basile e deformano i suoi progetti visionari in un racket di droga. Sua figlia Mia (ecco Cenerentola) viene adottata dalla donna ed è costretta a subire le violenze delle numerose sorelle acquisite. Gatta cova però in silenzio la vendetta: uccidere Salvatore 'O Re e liberare per sempre se stessa e la sua città. A tal proposito tuttavia, l'intreccio criminale è la parte più trascurata (anche la componente futuristica in realtà si risolve esclusivamente nella nave) dato che i meccanismi dell'impresa mafiosa sono completamente oscuri, così come i dettagli riguardanti l'investigazione poliziesca, più in generale Alessandro Rak non riesce a traslare gli archetipi della fiaba in maniera sempre efficace e alcuni parallelismi risultano a tratti goffi (come la scarpetta composta di cocaina invece che di cristallo). Però in vista di un'evoluzione (si spera) della produzione italiana in termini di risorse e attenzione artistica, queste stonature sono accettabili. Anche perché il team affiatato di registi, sceneggiatori, animatori e compositori, realizza una pellicola (che mostra le capacità degli autori coinvolti nel progetto, abili nell'animare una storia originale e a suo modo evocativa) intensa e agrodolce, pellicola dalla messa in scena fiabesca ma con lo spirito del cinema di denuncia e d'inchiesta, davvero bella ed interessante. Una pellicola caratterizzata da un ritmo incalzante, in cui i dialoghi (oltre ad essere freschi, anche se talvolta banali) sono in dialetto napoletano.
Ecco, su quest'ultimo punto difficile è seguire a pieno questa pellicola animata, soprattutto se non si conosce (perfettamente) il napoletano (fortunatamente i sottotitoli in italiano aiutano parecchio in tal senso), ma è comunque qualcosa di nuovo, originale, dove sono stati inseriti un po' tutti i cliché, a partire dal personaggio trans. Un vero minestrone di idee che però funziona, in quanto tutti gli elementi sono amalgamati in maniera equilibrata, senza che la pellicola risulti mai pesante nel complesso. Questo grazie anche alle musiche (cantate) e dalle scene d'azione presenti nel film, che vi faranno ridere spesso, se non altro per il dialetto napoletano, talvolta volgare ma non troppo (alcune espressioni adottare suscitano qualche sorriso). Ma soprattutto un doveroso plauso, anche se si è ancora lontani dai vertici orientali ed europei (sebbene la costruzione di personaggi visivamente spigolosi e ibridati con movimenti scattosi da grafica 3D siano probabilmente una scelta registica), al reparto tecnico, capace di creare un'ampia e variegata gamma di personaggi e location. Buono (come già detto) anche l'apporto dei doppiatori tutti, capaci di donare profondità e inflessione locale ai propri personaggi, risultando per questo leggermente più comprensibili anche a chi non mastica il dialetto napoletano. E insomma, nel panorama italiano dell'animazione, che quasi mai ha raggiunto vette altissime, è una bella notizia la produzione di Gatta Cenerentola. Non più film per bambini o per ragazzine (si ricorda il successo internazionale delle Winx, nate anni fa in una piccola casa di produzione con sede a Loreto) ma film che nascono per il pubblico adulto e che dimostrano come le fiabe, questa volta dark, con le loro animazioni perfette e le musiche travolgenti e piene di energia, possono tornare ad avere un posto nel nostro immaginario. Perché in definitiva, Gatta Cenerentola rappresenta una scommessa nobile, coraggiosa e originale all'interno del troppo spesso omologato panorama cinematografico nostrano. Una pellicola genuina e sincera, che cerca e trova nel fiabesco uno strumento per raccontare i vizi e le virtù della nostra società. Una piccola grande opera fatta con cuore, dedizione e temerarietà, ennesimo segnale confortante della vitalità e della freschezza del sottobosco cinematografico italiano. Voto: 7