mercoledì 31 marzo 2021

Candyman - Terrore dietro lo specchio (1992)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - Un film riuscito e ben confezionato, ma che aveva la possibilità di trasformarsi in qualcosa di più incisivo (dall'ultima volta che l'ho visto non è certo migliorato, anzi). Certi elementi della trama vengono lasciati un po' troppo in sospeso e non spiegati adeguatamente, oppure trattati superficialmente, specie nel climax finale (che non convince appieno, mai convinto, seppur ambiguamente conferma l'interrogativo iniziale). Peccato perché l'idea di partenza era buona (anche originale all'epoca, un mostro che può venire evocato ripetendo per cinque volte davanti a uno specchio il nome appunto di "Candyman", a costo però di sacrificare la propria vita), ma il film perde spesso qualche colpo per strada. Come dialoghi e linearità dei fatti non si pone certo al top, ma interpretandolo più come una favola che un puro horror (ancora) funziona. Comunque gli sporchi ambienti metropolitani sono ottimi, la protagonista Virginia Madsen è brava e gnocca a volte si a volte no, Tony Todd dà vita al "suo" boogeyman e lo fa benissimo. Qualche tocco splatter e la discreta colonna sonora di Philip Glass fanno il resto. Buona la regia di Bernard Rose, ben fatte tutte le scene con le api. Non molta paura, ma tensione e storia alimentano il buon ritmo del film (che si basa ricordiamo su un racconto di Clive Barker). Un cult minore sì, ma meritevole sempre d'esser visto almeno una volta. Voto: 6,5

Era mio figlio (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - Ricevuto l'incarico di occuparsi della pratica per far ottenere la Medaglia d'onore ad un soldato morto nella guerra del Vietnam per salvare i suoi compagni, un funzionario della Difesa raccoglie le testimonianze del padre e dei suoi ex commilitoni. Sono proprio questi colloqui, che vedono in scena pezzi da 90 del cinema USA, a costituire i momenti migliori di un film per il resto piuttosto retorico e convenzionale le cui scene belliche sembrano estratte di peso dalla Battaglia di Hacksaw Ridge. Anche la critica verso le alte gerarchie militari è troppo blanda per incidere davvero. Forse l'obiettivo di questo film è tenere viva la memoria di una guerra dolorosa, evitando la rimozione di un avvenimento cruciale per la storia americana, il protagonista stesso è inizialmente disinteressato ad un capitolo del passato, chiuso e sepolto, però la sceneggiatura avrebbe dovuto evitare una certa retorica un tanto al chilo che il film riesce a propinare. Senza di questo sarebbe stato più "digeribile". Ovvio che il cast di attori salva un po' la baracca, anzi, grazie a loro il film è meritevole di visione. William Hurt, Samuel L. Jackson, Ed Harris, Christopher Plummer, Peter Fonda (quest'ultimi alla loro un'ultima interpretazione) sanno il fatto loro, però non basta a farmi (troppo) considerare un film (alquanto modesto che tuttavia emozionare fa) che non sottolinea mai una volta quanto fosse sporca quella guerra. Voto: 5,5

Emma. (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - A differenza di altre eroine dei romanzi di Jane Austen (questa comunque la terza volta che lo si presta all'adattamento cinematografico), Emma non è solo graziosa ed intelligente ma anche molto ricca e quindi può permettersi il lusso di progettare i matrimoni altrui senza preoccuparsi del proprio, anche se l'uomo ideale si trova a portata di mano. Ritratto di una impicciona presuntuosa, salvata solo dalla propria ingenuità, più vivace nel primo tempo, ma tutta l'opera è allietata dalla presenza in scena della Anya Taylor-Joy (e di altri bravi attori, tra cui l'inossidabile Bill Nighy), dalla meraviglia tecnica di fotografia e arredi, la messa in scena è infatti e decisamente sfarzosa ed elegante, curati i costumi (e non poteva essere diversamente, candidatura all'Oscar puntualmente ricevuta), punteggiata da una colonna sonora deliziosa anche se a tratti un po' invadente, da una regia (ad opera di Autumn de Wilde) che, seppur non brilli per originalità, ricerca comunque l'eleganza e si pone al servizio della storia. In alcuni momenti prevale la leziosità sul contenuto ma nel complesso si tratta di una pellicola godibile. Con aspettative alte o serie si può rimanere delusi, meglio considerarlo invece come la raffigurazione di un'Albione meno algida del solito e più incline al frivolo e al colorato, e forse in quel caso non solo i fan della scrittrice potrebbero apprezzare tanto spirito old-british. Voto: 6+

Edison - L'uomo che illuminò il mondo (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - Delude il film, verboso e didascalico, delude il regista, quello del bel Quel fantastico peggior anno della mia vita. Una regia impersonale per una pellicola che non si cementerà nella memoria, facendosi celermente dimenticare. Il film di Alfonso Gomez-Rejon più che focalizzarsi solo su Thomas Edison che inventò la lampadina elettrica, riguarda la lotta tra 2 personalità dell'epoca (George Westinghouse e Nikola Tesla). Più consono il titolo originale The Current War. La guerra dell'elettricità in forma di bignami con avvenimenti che si susseguono nel quadro di un conflitto che non risparmia colpi bassi, ma proprio per questa semplice successioni di avvenimenti, poco coinvolgente nei personaggi. Il film infatti, che esce nel 2019 per le vicende legate al suo produttore Harvey Weinstein, pur disponendo di ingenti mezzi e grandi attori, Benedict Cumberbatch, Tom Holland, Michael Shannon, Nicholas Hoult, purtroppo scivola via senza emozionare. Non so di chi sia la colpa, forse della sceneggiatura di Michael Mitnick. Il problema infatti di questa storia è che sin dall'inizio lo spettatore capisce che, per il bene di tutti, i tre geni dovrebbero collaborare tra di loro, senza arrivare a sputtanarsi a vicenda, perché l'unione fa la forza. In Prestige del 2006 Christopher Nolan mise in scena la lotta tra due illusionisti (un ruolo lo ebbe anche Tesla) e riuscì da par suo ad emozionarci. Qui lo stesso momento topico di Manhattan che prende luce scorre via come un documentario. Con un cast del genere si poteva e si doveva fare di più, così c'è solo la freddezza del racconto e l'impeccabilità di un'ottima ricostruzione scenografica. Un film elegante ma senza una vera e propria anima. Voto: 5+

First Reformed - La creazione a rischio (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - Confessioni di un parroco riformato che guida una sparuta comunità di fedeli e in più fa la guida turistica della sua antica chiesa. Niente di nuovo sotto questo cielo: tematiche ecologiste di sapore terroristico, lotte interiori di un uomo in preda ai sensi di colpa e in cerca di "autore". Ethan Hawke, uno dei belli della penultima generazione, non convince del tutto e si limita a mostrarsi pensieroso e basta. Ma tutta la sarabanda segue lo stesso trend (Amanda Seyfried sprecata). Egli si fa carico di una narrazione densa di significati ma volutamente portata avanti con programmatica lentezza e introspezione non sempre convincente. Personalmente questo va a scapito dei passaggi drammatici che propone e non prepara a dovere l'esito finale (un finale che mi ha lasciato basito). Anche l'aggancio con la questione ambientalista, possibile metafora di come l'uomo possa rovinare anche la concezione spirituale del mondo in cui vive, non pare nelle corde del personaggio principale. Personalmente non mi è piaciuto granché, molto asettico nella messa in scena. Non mi spiego la candidatura per la migliore sceneggiatura originale a Paul Schrader, anche regista di questo noioso film. Voto: 5

A Taxi Driver (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - Un film sicuramente molto interessante che racconta una storia che merita di essere conosciuta soprattutto da persone come me che, di questo importante momento e segno indelebile nella storia coreana, sapevano poco o nulla. Drammatica storia vera incentrata sulla violenta repressione della rivolta di Gwanju da parte della dittatura sudcoreana nei primi anni '80. Protagonisti un reporter tedesco e il suo autista coreano (un tassista scapestrato che non può che non ricordare Alberto Sordi), la cui missione è mostrare al mondo intero i crimini che avvengono nella regione. Certo il film non è perfetto, ci sono alcuni problemi relativi alla sceneggiatura che presenta qualche forzatura e  dei dialoghi non sempre scritti nella migliore delle maniere, però riesce, attraverso pochi e semplici elementi, a coinvolgere lo spettatore grazie ad una regia caparbia (quella di Jang Hoon) e delle interpretazioni notevoli, in primis quella dell'inossidabile Song Kang-ho (non solo attore feticcio di Bong Joon-ho), che dall'inizio alla fine risulta assolutamente magistrale. Ho trovato singolare e coraggiosa la scelta di presentarlo nella prima mezz'ora quasi come se fosse una commedia e ciò ha reso ancor più emozionante e tosto il passaggio da una tranquilla parte iniziale ad una seconda ben più seria e triste. È ormai noto, e questa è l'ennesima conferma, che i coreani con il cinema ci sappiano fare e anche piuttosto bene, sono davvero parecchi i film da loro prodotti che meritano di essere visti e questo si inserisce in questa lunga lista. Perché malgrado anche un finale dove la retorica straborda in maniera eccessiva, il film non è niente male ed ha il merito di far conoscere un aspetto importante ma poco conosciuto della storia coreana. Voto: 7+

Ashfall - The Final Countdown (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - A causa di una violenta eruzione vulcanica, le due Coree sono sconvolte da un devastante terremoto. Per scongiurare un imminente evento vulcanico ancora più catastrofico il governo Sud Coreano mette in atto un piano rischioso che potrebbe compromettere i rapporti diplomatici con gli USA e il processo di denuclearizzazione della Corea del Nord. Anche i coreani ci provano, il risultato non è eccezionale ma soddisfacente, meglio sicuramente di quelli Z made in USA, Ashfall di Kim Byung-seo e Lee Hae-jun, è difatti lo spettacolare esempio di un cinema ad alto budget realizzato fuori dai confini americani ma che non riesce comunque a separarsene creandosi una propria identità. Se escludiamo infatti il contesto socio politico che ruota intorno alle vicende narrata (il pericoloso triangolo tra le due Coree e gli Stati Uniti) Ashfall è quanto di più assimilabile al tipico disaster movie americano, inclusa la ricercata spettacolarità nelle sequenze di distruzione (ma che sa inevitabilmente di già visto) e la struttura narrativa corale che divide i protagonisti tra la "mente" e il "braccio". Eppure a  colpire nel segno è proprio e soprattutto lo stile ibrido del blockbuster, il pedale dell'azione premuto a tavoletta e i sotto-testi politici ("cattivi" a stelle e strisce inclusi) di cui è pieno il film. Le perplessità sono invece legate alla scarsa coerenza narrativa, al mancato sviluppo dei personaggi di contorno e alla durata eccessiva, pari a 130 minuti. Funziona però l'inedita coppia Lee Byung-hun (attivo anche nel cinema statunitense dopo quello coreano) e Ha Jung-woo (nel cast anche Ma Dong-seok, era in The Flu). In conclusione, due ore di mero intrattenimento e poco più, e va bene così. Voto: 6

Atto di fede (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - Se non fosse stato candidato agli Oscar 2020, candidatura ricevuta nella categoria miglior canzone per I'm Standing With You, scritta da Diane Warren (a conti fatti indubbiamente meritata, è non a caso molto bella), non l'avrei certamente visto, sta di fatto che inizialmente l'avessi pure scartato, ma l'ho visionato e posso sicuramente affermare di non essermi troppo pentito. John è un adolescente che fa disperare i genitori adottivi, che comunque lo amano. Un incidente fa precipitare la situazione, ma la fede in Dio della madre saprà fare la differenza. Film leggero e strappalacrime ma con un suo perché molto chiaro nel messaggio che vuole trasmettere: la fede (e l'amore) muove le montagne (e che Dio fa miracoli, quando vuole). E nella disgrazia tornerà in discussione una serie di rapporti poco chiari. Su tutti si elevano Chrissy Metz e Dennis Haysbert in due ruoli chiave, mentre il resto del cast così come la regia (ad opera di Roxann Dawson, al debutto come regista) fanno il compitino. E va bene che purtroppo e troppo spesso si varchi il confine della retorica forzata, in particolare quando entra in scena il Pastore, davvero il più insopportabile di tutti, ma Atto di fede (in originale Breakthrough), basato sul libro The Impossible: The Miraculous Story of a Mother's Faith and Her Child's Resurrection di Joyce Smith, libro a sua volta basato su di una (incredibile) storia vera, non è inguardabile. Voto: 6

Bad Boys for Life (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - I cattivi ragazzi sono tornati, Mike e Marcus riappaiono, invecchiati e imbolsiti, ma ancora affiatati. Terza parte delle avventure con protagonisti i due sbirri di Miami, amici fraterni Will Smith e Martin Lawrence. Storiella semplice e che scorre linearmente, trascinandosi dietro un nuovo gruppetto di coprotagonisti (abbastanza noti) che sarebbe interessante vedere alle prese in un film tutto per loro (avranno occasione forse nel nuovo capitolo già confermato). Come da tradizione della saga niente di che dal lato villain, con un cattivo che serve solo a innestare la sotto-trama del passato di Mike. Nota dolente finale, l'abbandono in cabina di regia di Michael Bay (gli subentrano gli emergenti Adil El Arbi e Bilall Fallah). Non che egli avesse fatto due capolavori con i film precedenti ma sinceramente riportare in vita questi due personaggi non credo sia stata una grande idea. Per la gran parte del film i due protagonisti appaiono stanchi, ingrassati, sfasciati, senza voglia. Un terzo capitolo molto "seduto" rispetto ai primi due che erano per lo più un concentrato di azione non-stop. Eccessivo e poco credibile l'uso della tecnologia, riprese panoramiche della città a mo' di videocartolina e poche le scene che fanno davvero sorridere. Una storia di passaggio che sullo sfondo di Miami lascia sì nelle orecchie dello spettatore la canzone tema della serie, ma che si fa dimenticare in fretta. Voto: 5,5

5 cm al secondo (2007)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - Al secondo lungometraggio anime, Makoto Shinkai prosegue, con questo film ad episodi interconnessi, la sua personale poetica riguardante la separazione e la distanza tra gli individui, narrando più che di una storia d'amore, di un sentimento d'amore che si protrae per lunghissimo tempo e che il protagonista, non riuscirà a superare neanche dopo anni e anni di, appunto, separazione e che lo renderà così incapace di costruirsi una vita sentimentale. La storia è dunque di una semplicità disarmante, ma sottintende una complessità di temi ed emozioni che sono rese con indubbia efficacia. Il film, inoltre, si afferma come una evoluzione nel percorso artistico del regista, e non solo sul piano estetico: se Oltre le nuvole, il luogo promessoci era alla fin fine una storia di riconciliazione, sulla possibilità di ristabilire un legame ormai dimenticato, questo nuovo film, come si evince dal finale, riguarda, invece, in definitiva, il riuscire ad andare avanti, il proseguire nella propria vita e tentare di essere felici nel presente, piuttosto che rimanere schiacciati dalla nostalgia per il tempo passato. Detto questo, bisogna però ammettere che talvolta l'anime, nonostante la breve durata (solo 60 minuti), la tira un po' per le lunghe e che, nonostante gli indubbi miglioramenti rispetto al primo film, il character design lascia ancora alquanto a desiderare. Vi è, al contrario, una cura minuziosa nella resa di ambienti e sfondi, con una ricchezza del dettaglio che raggiunge ottimi livelli, grazie soprattutto ad un budget finalmente più sostanzioso. Cinque centimetri al secondo è la velocità con cui i petali di ciliegio cadono al suolo, è un film breve ma traboccante di emozioni, con un finale di melanconico realismo che strugge il cuore. Voto: 7

Le verità (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - La famiglia continua ad essere il fulcro pulsante del cinema di Hirokazu Kore'eda, anche se in questo caso (nel caso di un film che sviscera temi quali appunto rapporto genitori-figli, allorché discorso metafilmico sull'arte, riflessioni sul potere della parola e sulla natura ingannevole della memoria) il regista emoziona e coinvolge infinitamente meno che in altre occasioni (non c'è confronto per esempio con il bellissimo Un affare di famiglia). Forse "paga" l'ambientazione europea o il fatto di aver battuto sentieri già noti. Anche le parti metacinematografiche non restano nella memoria. Si ha una sensazione di freddezza ed eccessivo controllo del tutto che non giova sul piano emozionale. La Catherine Deneuve e la Juliette Binoche sono brave (Manon Clavel "bella" sorpresa), il personaggio di Ethan Hawke non si capisce bene che funzione abbia. Buon film ma, visto il nome del regista, un po' deludente. Voto: 6

La casa del terrore (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - La struttura della storia richiama (abbastanza palesemente) Il tunnel dell'orrore di Tobe Hooper, anche se in fondo è sempre la solita medesima storia già narrata in altri millemila horror. L'originalità bisogna cercarla da un'altra parte. Gli do la sufficienza, anche se minima, principalmente per due motivi. Il primo è che la carne da macello, che rimane comunque tale, ha un tasso di idiozia collettivo molto contenuto rispetto alla media, di conseguenza non ti metti nei panni degli assassini per ammazzarli nel modo più doloroso possibile. Il secondo motivo è la location, scenograficamente efficace (tipo Hell Fest, per intenderci) e con trappole ben congegnate. Positivo anche il fatto che non ci sono (almeno in questo specifico caso) inutili spiegoni sui villain, ammazzano, punto. Il fattore gore è discreto, la regia se la cava dignitosamente, così come il cast che fa il suo senza grosse incertezze. La coppia di registi Scott Beck/Bryan Woods (sceneggiatori del sorprendente A quiet place) omaggia con successo e umiltà certo horror retrò, senza pensare di realizzare qualcosa di innovativo. Il non voler strafare ma limitarsi a regalare uno spettacolo degno del puro intrattenimento si rivela carta vincente. Non resterà negli annali ma diverte, nonostante un finale non proprio memorabile e una tormentata love story che poco si amalgama con il racconto principale. Vedibile senza sforzi. Voto: 6

Zack Snyder's Justice League (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2021 Qui - Un film di cui si è parlato abbastanza, ma la mia versione devo dare lo stesso. Quello che posso dire è che rispetto alla versione "originale", che tra l'altro mi risultò un pochino indigesta (qui), è migliore, ma non per questo più bella. Che poi migliore non tanto tecnicamente (e quel formato 4:3 io non l'ho capito) quanto per l'attenzione al dettaglio, miglioramenti che effettivamente migliorano l'esperienza di visione, di una pellicola che tuttavia non risulta più impattante di quello che era, non bastano minuti in più, suddivisioni di capitoli e migliaia di rallenty ad aggiustare un prodotto di base già difettato e squilibrato di suo. Al massimo mezzo voto in più (aggiunto a 5) a questo sopravvalutato lavoro, un lavoro che meritava sì d'esser concluso ma pure d'esser dimenticato. La DC deve assolutamente cambiare passo, perché così (personalmente parlando) non va bene. Voto: 5,5

lunedì 22 marzo 2021

Riti, magie nere e segrete orge nel trecento (1973)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Incomparabile horror che viaggia allegramente tra l'assurdo e l'inverosimile senza soluzione di continuità. Coloracci sparati in faccia, deliranti giochi di luce, una trama incomprensibile fra reincarnazioni e vampirismo, attori che passano vistosamente da un ruolo a un altro, passaggi dal giorno alla notte come se nulla fosse, dialoghi allucinanti, recitazione fuori controllo. Se poi ci si vuol aggiungere che ogni tanto appare qualche personaggio dal nulla e senza motivo il quadro è bello che pronto, grande capolavoro trash, completamente delirante. La pellicola non è ambientata nel trecento come fa supporre il titolo ma ai giorni nostri, ed è piena zeppa di gente che fa cose a caso senza che si riesca a capire perché, con scene erotiche inserite a casaccio, e per di più in alcuni punti fanno capolino delle scene ridicole che non si capisce se sono volontarie o no, insomma un delirio puro. Sinceramente non riesco a dire nulla sulla sulla regia, è maledettamente (e non proprio in senso buono) psichedelica (di Renato Polselli primo film visto e probabilmente anche l'ultimo), la fotografia invece è mediocre così come la recitazione (ma chi se ne frega in questo caso contano solo le tette). Si stendi poi un velo pietoso sugli effetti speciali che riescono a mandare all'aria anche quel poco di sadico si potrebbe trovare nell'opera. Per concludere devo ammettere che dare un voto ad un film del genere è veramente difficile e ha poco senso, un film che si può consigliare unicamente all'amante degli esperimenti poco riusciti, e a chi è interessato a scoprire un certo cinema che (purtroppo?) non esiste più. Eppure l'avrei salvato se avesse avuto un po' ritmo, neanche quello ha, l'unica cosa che mi è piaciuta oltre alla notevole "presenza" femminile è la bizzarra colonna sonora, il resto insalvabile. Voto: 3

Via col vento (1939)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Commento questo film alla mia seconda visione di questo lavoro, la prima risale a moltissimi anni fa. Gone with the wind è la rappresentazione per antonomasia del "polpettone", pellicola dalle dimensioni "monstre" in tutto e per tutto che è entrata prepotentemente a far parte dell'immaginario collettivo per i suoi personaggi, per la colonna sonora, per frasi senza tempo ed altro ancora. La guerra di secessione sconvolge l'esistenza di un intero popolo ed anche quella di Rossella O'Hara (Vivien Leigh), che si ritrova a dover ripartire da zero dopo aver perso la ricchezza di famiglia ed il marito in guerra. Sulla sua strada ritornano l'amore del tempo passato e Rhett Butler (Clark Gable) uomo affascinante che non le farà mancare il suo aiuto (e non solo). Melodramma sterminato, ma anche affresco storico elegante (in tal senso la fotografia ha un gran peso), firmato a più mani (ma il regista è Victor Fleming) è la massima rappresentazione del cinema classico hollywoodiano e non solo per i notevoli mezzi a disposizione (che per esempio risultano lampanti durante il lungo assedio di Atlanta). Una storia sterminata (quattro ore la durata) che come tale non può mantenersi sempre interessante a 360°, ma che dispone su schermo una gran varietà di eventi e mutazioni di scenario anche totali. Su tutto la principale cifra caratteristica è offerta dall'infinito, e mutevole, rapporto tra Rossella (va detto, a tratti il personaggio è fin troppo egocentrico) e Rhett (sogno delle donne e invidiato dagli uomini), questo anche (se non soprattutto) grazie a due interpreti di spessore (Clark Gable è eccezionale per la parte), anche se durante l'estenuante capitolo conclusivo, tirato davvero per le lunghe (e con tinte drammatiche a volte sopra le righe), perde un po' di fiato (impossibile non menzionare tuttavia, e soprattutto, Hattie McDaniel, prima afroamericana a vincere un Premio Oscar ed esser nominata, e Olivia de Havilland, recentemente scomparsa e recentemente madrina dell'annuale Beauty Awards). Nota a parte "merita" l'intollerabile doppiaggio italiano attribuito ai personaggi neri, decisamente retrogrado e faticosamente sopportabile (non che gli "americani" li trattino meglio, anzi, ma su questo evito di fare polemica, è bastata quella già fatta mesi fa, bisogna comunque tener conto dell'età). Un film che è entrato prepotentemente nella storia del cinema, e per una pellicola "fiume" sono fioccati un mare di Oscar, ben otto nella più classica delle decisioni dell'Academy da sempre affezionata a questa tipologia di prodotto. A suo modo immortale anche se non esente da imperfezioni quali lungaggini, approssimazioni e salti troppo repentini. Nella storia. Voto: 8

Lost in Translation - L'amore tradotto (2003)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Gli alberghi sono i luoghi tipici della solitudine e questo film racconta proprio l'incontro di due solitudini molto diverse fra loro. Da una parte abbiamo un attore in crisi di mezza età e annoiato dalla vita, dall'altra una giovane ragazza, sposata da poco e molto indecisa riguardo al suo futuro. Sullo sfondo Tokyo, città piena di persone, traffico, insegne colorate, sale giochi in cui è facile sentirsi soli e alienati. Il breve ma intenso incontro fra Bob (un meraviglioso Bill Murray) e Charlotte (giovane e bellissima Scarlett Johansson) darà vita a una fugace storia d'amore, una parentesi dalle loro vite stanche e confuse che infonderà loro un po' di gioia e serenità. Sofia Coppola (che a seguito di 4 nomination all'Oscar ne vinse uno proprio per la sua sceneggiatura originale, che già dimostrava notevoli doti registiche, poi affinate ulteriormente nei successivi rilevanti film) dirige questo film con un tocco leggero, creando un'atmosfera sfumata ma in cui i due protagonisti sono ben definiti e i dialoghi scritti bene. E' vero il ritmo procede lento, ma la fluidità del racconto scorre sinuosa avvolgendo lo spettatore e portandolo verso un finale sospeso e toccante. Uno dei pregi del film è la presenza del sempre grandissimo Bill Murray, con quel suo sguardo cinico sul mondo e quell'ironia venata da malinconici sorrisi. Lost in Translation (uno dei film più premiati a livello mondiale non a caso) è un film poetico sulla solitudine, sull'impossibilità di comunicare che può far sorridere nel caso di traduzioni da una lingua a un'altra, ma che fa soffrire quando due persone che parlano la stessa lingua non riescono a capirsi. Bel film davvero, che ho rivisto con grande piacere. Voto: 7+

From Beyond - Terrore dall'ignoto (1986)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Dopo il più che soddisfacente Re-Animator, Stuart Gordon ci riprovò subito mantenendo le caratteristiche di base dell'esordio, e quindi l'amico Brian Yuzna alla produzione e lo spunto preso da un racconto di H. P. Lovercraft. Questa volta però non tutto funziona a dovere, anche se nel complesso un'opera da vedere, un calderone ripieno di vari elementi horror che malgrado i difetti ha tutt'ora qualcosa da dire. A ridimensionare parzialmente il titolo abbiamo una sceneggiatura fin troppo confusa (troppo infarcita di dialoghi e dettagli tecnici che non interessano a nessuno), con il regista che ad un certo punto sembra farsi prendere un po' troppo la mano dimenticando la logica. Malgrado questo, la storia (che è quella del classico scienziato che inventa una stupefacente macchina, in questo caso un meccanismo che gli permetta di entrare in contatto con un'ignota dimensione, che si ritorce inevitabilmente contro) riesce comunque a catturare l'attenzione dello spettatore dall'inizio alla fine. Le buone intenzioni ci sono, l'atmosfera pure, e la messa in scena, alla fine, appare più che dignitosa, specie per quanto riguarda la "gustosa" girandola di effetti speciali, trucchi e splatter (tutta roba presente in abbondanza). E poi Jeffrey Combs nel ruolo dello scienziato pazzo ormai è una garanzia, come una garanzia nel ruolo di gnocca lo è Barbara Crampton. Insomma, un buon horror/fantasy, divertente, ben realizzato e poco pretenzioso. Non siamo ai livelli di Re-Animator, ma ci siamo vicini. Voto: 6,5

Relic (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Il lungometraggio di esordio della regista australiana Natalie Erika James, prodotto da nomi noti come Jake Gyllenhall e i fratelli Russo, si presenta come un horror d'atmosfera piuttosto interessante (che non abusa di Jumpscare un tanto al chilo, ed è un merito), in grado innanzi tutto di soffermarsi in modo serio e per nulla facilone od ingenuo su una problematica scottante e comune a tutti, inerente l'inevitabile processo di invecchiamento che colpisce tutti noi, ed i nostri cari, fino a renderci incapaci di gestirci, influenzati, se non proprio succubi, degli scherzi che una mente resa instabile dall'invecchiamento di cellule e neuroni, ci presenta come una sorta di beffarda resa dei conti, con la complicità (perché no) di un intervento maligno e controverso proveniente dagli spiriti di chi ci ha preceduto nel raggiungere il traguardo oltre la vita. Ed è proprio da questo spunto realistico purtroppo molto comune che il film trae la sua capacità di coinvolgere e suggestionare anche al di là dei suoi effettivi meriti. Ambizioso ed imperfetto, questo è indubbio, però ha un suo perché, meritevole di una visione. In ogni caso la storia funziona abbastanza bene, la scenografia regala momenti di inquietudine piuttosto convincenti, e la prova delle tre interpreti protagoniste, Emily Mortimer, Bella Heathcote, e la bravissima Robyn Niven nei panni stralunati e inquietanti di nonna Edna, contribuisce a rendere il prodotto finito dignitoso. Un prodotto, che si inserisce nella scia di opere come Babadook ed Hereditary, pur senza possederne la stessa forza. Voto: 6+

I duellanti (1977)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Grande esordio "in costume" per il talentuoso Ridley Scott che un paio d'anni dopo sfornò due perle della fantascienza, da non credere sia lo stesso regista che racconta questa amara storia d'onore (o presunto tale) e rivalità, un eterno scontro nato praticamente per nulla che coinvolge due militari e li accompagna oltre il tempo e le guerre. Egli infatti fa capolino sulla scena cinematografica con una pellicola dall'indubbia bellezza formale, che incornicia immagini splendide e le mette al servizio di un racconto dal ritmo lento ma incalzante, grazie anche alla narrazione fuori campo. Mostrando appunto e fin da subito una grande padronanza della camera (specie nelle tenzoni all'arma bianca, seguite a mano) ed una propensione all'utilizzo di una grande fotografia (qui di Lyndoniana memoria, con il dovuto rispetto). La storia del duello senza fine è affascinante e fa pensare alla sostanziale stupidità sia del valore dell'onore (prettamente testosteronico) sia delle guerre che si protraggono infinite (non a caso il tutto è ambientato nel quindicennio della guerre sans fin napoleonica). Una storia lenta, anche fredda (risentendo forse dell'ispirazione letteraria, da Joseph Conrad), ma piacevole perché racconta qualcosa di diverso e con un occhio, anche un po' critico, verso quel periodo storico travagliato (nonostante tutto è un gran film). Nervoso e senza requie Harvey Keitel, elegante Keith Carradine. Esordio col botto, dunque, per un autore che, da quel momento in poi, ci avrebbe abituato (quasi esclusivamente) a film altrettanto (ognuno a modo suo) interessanti. Voto: 7

American Graffiti (1973)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Iniziatore, nonché capolavoro insuperato del filone nostalgico-giovanilista, questo è American Graffiti, che ha il merito appunto di aver dato il via a una serie di copie più o meno riuscite, il caso più eclatante quello di Stand By Me, simile nei contenuti, differente il target (l'adolescenza), ma ugualmente efficace nel far sognare cinematograficamente una certa età (diventando il manifesto del cambiamento di una generazione) e nel permettere l'immedesimazione nostalgica (paradossale che proprio Richard Dreyfuss sia in entrambi e faccia da "tramite"). In questo caso non solo (i sessantenni di oggi), perché capace di coinvolgere enormemente chi, come me, quei tempi non li ha vissuti (e comunque tutte le generazioni continuano a guardarlo e a sognare, nonostante passino gli anni). George Lucas racconta l'ultima notte da liceali di quattro amici nell'estate del '62 con uno stile episodico e frammentato che ha come unico filo conduttore l'ininterrotta serie di hits pop-rock trasmesse alla radio dal mitico Wolfman Jack (i personaggi sono in ogni caso tutti ben costruiti, il ritmo è sfrenato, le interpretazioni sono di alto livello e tutti gli episodi sono interessanti). Ma dietro l'apparente spensieratezza si nasconde una più amara riflessione sulla fine della giovinezza (e del sogno americano) e l'iniziazione alla vita adulta che per alcuni, come rivelato dalle didascalie finali, non sarà così lieta. Però, e non a caso, George Lucas (che con questa pellicola dà inizio alla sua carriera, mostrando di essere in grado di  rappresentare, attraverso musiche, ambientazioni e carismatici personaggi, una delle rumorose notti brave americane di quegli anni, i quattro amici, diversi per temperamento gli uni dagli altri, vivono le loro esperienze che li condurranno a cercare di far colpo sulle ragazze e a conoscere tanta gente a caso) racconta qui le speranze e le paure dei giovani che si accingono ad affacciarsi al mondo reale di quegli anni. In tal senso è chiaro come American Graffiti sia a tutti gli effetti, anche e soprattutto, un omaggio ai costumi e alle musiche del tempo, quest'ultime di gran livello e qualità (mitici Beach Boys). Ormai considerato un vero e proprio cult movie, è un film che mette in luce tutte le qualità registiche di Lucas che in seguito si darà alla saga di "Guerre stellari". Da segnalare la partecipazione di Harrison Ford in un ruolo minore ma che sarà determinante per la sua carriera, lanciando la fortunata collaborazione con il regista californiano. Per concludere, un film (scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti) che dipinge un quadro dell'epoca al contempo divertente e malinconico (ancora con un filo di speranza), una commedia pregevole, leggera, arguta, intelligente e gradevolissima che ha il pregio di mostrarci il costume ed il pensiero dei giovani americani degli anni '60. Voto: 8

Creature del cielo (1994)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Un film che non avrei mai affiancato ad un Peter Jackson, specie considerando anche i suoi primi lavori. Un'opera elegante e raffinata ma allo stesso tempo inquietante e permeata da un alone malinconico e mistico. Una storia di amicizia morbosa (e nel frattempo una storia che parla di alcuni temi specifici: adolescenza, turbolenta, omosessualità, sogni infantili, follia, direi che offre una lettura interessante della sinergia che esiste tra questi fattori), gli improvvisi spazi paradisiaci e quella fanciullezza spensierata e "innocente" tra farfalle e uccellini che si trasformerà in un bagno di sangue. Tutti i requisiti per una macabra favola horror, il film però è ispirato ad una storia vera (il film non a caso è sostanzialmente una cronaca, piuttosto diluita, di un fatto realmente accaduto). Agghiacciante la parte iniziale e quella dell'omicidio, tuttavia rimane un film che dopo due giorni si dimentica. In ogni caso molto brave le due giovani attrici (nonostante gli overacting), con Kate Winslet alla sua prima apparizione sul grande schermo, e buon film. Voto: 6,5

Speed Racer (2008)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - Cosa si fa per amicizia (seppur virtuale, tra blogger), per amore del Cinema e soprattutto di Christina Ricci? Si rivede un film che mai avresti voluto rivedere, perché la prima volta che lo vedesti ti sconvolse, e in negativo. Dieci anni (e poco più) dopo, rivedendolo ti rendi conto che forse l'effetto cartoonesco era voluto, dopotutto era la trasposizione cinematografica della serie animata giapponese Superauto Mach 5 (nota negli Stati Uniti proprio come Speed Racer) degli anni sessanta (ma tu all'epoca non lo sapevi), però non sarebbe stato meglio se ne avessero fatto di questo progetto (nato dalla mente dei fratelli, ora sorelle, Wachowski, quelli/e di Matrix ma che tu ricordi soprattutto per essere stati gli sceneggiatori di V per Vendetta) un film d'animazione? Anche perché in quel caso, e più probabilmente, non avresti storto gli occhi e il naso di fronte ad uno spettacolo (visivamente e narrativamente) sfarzoso e carnevalesco decisamente estremo e sconclusionato come quello che Speed Racer (purtroppo) ti regala. Spettacolo che in parte poteva anche essere giustificato, con la scusa del voler appunto ricalcare il cartone originale, ma c'è modo e modo di realizzare una pellicola. Va da sé che il target fosse originariamente per bambini (e vederlo in età adulta comporta certamente un certo rischio), però ciò non giustifica una grafica da attacco epilettico che dura per tutta la pellicola né una storia banale e assurda (la parte moralistica dove, tanto per citarne una, si parla spasmodicamente della morte, vera o presunta che sia, del fratello del protagonista ma nessuno batte ciglia per gli altri venti o trenta incidenti mortali del film), nonché noiosa (la durata, piuttosto importante, non gioca certo a suo favore). Meravigliosa come sempre Christina Ricci, ma a prescindere, e non aiuta il film. Un film stupido, visto a cervello spento che, mai più rivedrò. Voto: 4

Il cinema richiesto da Voi

Post pubblicato su Pietro Saba World il 22/03/2021 Qui - C'è voluto un po' di tempo, tempo per cercare e trovare, e tempo per vedere, ma alla fine sono riuscito a soddisfare le richieste di alcuni di voi alla visione e conseguente recensione di un titolo a scelta. Tra questi anche alcuni che avevo già visto, ma per rispetto e dovere (nonché piacere) ho rivisto. Tutto cominciò in occasione del quinto compleanno del blog a luglio scorso, e dopo averne il tutto inserito nella Promessa cinematografica di quest'anno, ecco venirne finalmente espletata. Una richiesta appunto contenente 9 pellicole come da Banner, e per rinfrescarvi la memoria eccovi richiedente e conseguente richiesta cinematografica. Max mi aveva chiesto Terrore dall'ignoto (From Beyond) di Stuart Gordon, Franco Battaglia invece I duellanti, opera prima di Ridley Scott, Obsidian M viceversa Riti, magie nere e segrete orge nel Trecento, la Bolla mi richiedeva Creature dal cielo. Mariella ecco richiedermi, ed anche se l'avessi già visto non ho rinunciato, American Graffiti, stessa cosa per Vanessa VariniLost in Translation di Sofia Coppola, per Madame VerdurinSpeed Racer del 2008, nonché per Nella CrosigliaVia col vento. Infine l'unica richiesta di film recenti quella di In The Mood For Cinema per Relic. Tutte richieste appunto esaudite, e vorrei ringraziare ulteriormente per la vostra partecipazione. Detto ciò, e senza ulteriori indugi, vi lascio alla lettura delle mie personali recensioni.
 

mercoledì 17 marzo 2021

Millennium Actress (2001)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Come è stile di Satoshi Kon (ho visto solo Perfect Blue ma ormai riconoscibile), anche in questo film si mischia il reale e l'irreale, nello specifico i ricordi di una vecchia attrice si fondono con le trame dei suoi film e con la realtà del presente per narrare la vita di lei, dalla giovinezza, alla guerra, al successo degli anni '50 fino alla sua decisione di abbandonare le scene. La capacità del regista nel compiere questi lavori di fusione non si discutono è riescono spesso nell'obiettivo, solo alcune scene risultano troppo decontestualizzate per apprezzarle sopratutto in un'unica visione. Il finale invece è perfetto nell'enfatizzare una filosofia di vita che si può appoggiare come no, ma che sicuramente qui risulta valorizzata al suo massimo. Millenium Actress è la storia d'amore appassionata vissuta attraverso la chiave del ricordo, vissuto anch'esso interagendo all'interno del racconto, attraverso i vari generi cinematografici. Una storia universale di un sogno impossibile, un inseguimento che diventa esso stesso l'essenza dell'amore, divenuto ormai idealizzato e mitico come solo le immagini del cinema possono raffigurare. Un film d'animazione/i affascinante e visionario che rivela un certo gusto citazionista dello stesso regista giapponese attraverso quest'eroina d'altri tempi, dal cuore puro e fedele a quel sogno anche quando ne percepisce la sua fine. Bello e a tratti anche sinceramente commovente. Tuttavia la struttura narrativa risulta essere al contempo punto di debolezza e di forza. Nella trama infatti lirismo e noia, sostanza ed inconsistenza. Per questo motivo il mio voto è un 7 sofferto, con la speranza di un lieto fine per i miei prossimi "incontri ravvicinati" con un maestro che, al di là di questo piccolo inciampo, ho ancora ragione di ritenere più che degno di stupore e tremori. Voto: 7-

The Void - Il vuoto (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Godibile horror vecchio stile con svariate strizzate d'occhio ai film di John Carpenter, in particolare "La Cosa" (le creature) e "Distretto 13: le brigate della morte" (l'assedio), e a tanti altri grandi nomi del passato. Devo dire che non mancano i difetti: qualche attore non mi è sembrato all'altezza (in particolare Aaron Poole), certi dialoghi veramente banali e a volte la regia pecca di poca esperienza, però The Void nel suo complesso si fa apprezzare perché riesce a mantenere un certo alone di mistero, per l'atmosfera sinistra e per le scene gore/splatter, realizzate senza l'aiuto della CGI, nel tipico stile dei film anni '70 e '80 (il look dei mostri è di quelli che colpiscono nel segno). The Void, con una maggiore dovizia dei particolari (la trama nel suo voler essere continuamente imprevedibile e nel suo accumulare misteri finisce per risultare troppo criptica, risultando a tratti anche un pochino incoerente e senza soffermarsi molto sulla caratterizzazione dei personaggi), poteva entrare tra i cult dell'horror degli ultimi anni, invece rimane un discreto omaggio, a basso budget, alle pellicole che hanno fatto la storia nel genere, senza riuscire ad elevarsi in maniera netta. Manca infatti quel quid per renderlo davvero memorabile, tuttavia questo omaggio ha il grande merito di riportare alla luce un certo modo di concepire e fare il cinema horror, bello dal punto di vista visivo deludente da quello narrativo, si poteva fare di meglio certo, ma alla fine non si può non apprezzare il coraggio e lo stile dei due registi (spesso insieme), Steven Kostanski (era in The ABCs of Death 2) e Jeremy Gillespie. Buon horror, un'opera altamente intrigante e dannatamente nostalgica ideale per chi vuole vedere un buon film di genere. Voto: 6,5

The Tunnel: Trappola nel buio (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Sorta di "Daylight" norvegese, The Tunnel è un prodotto apprezzabile in grado di sfidare senza problemi (e nuovamente) i corrispettivi disaster movie americani, che ultimamente risultano spesso deludenti. Dopo il riuscito ed apprezzabilissimo The Wave la Norvegia sfida infatti un'altra volta la sorte con un nuovo lungometraggio (il risultato non è lo stesso, ma sempre meglio di certi), che però si differenzia da quel film. The Tunnel difatti, diretto da Pål Øie, cambia le carte in tavola e modifica la formula che aveva garantito discreti risultati. Dai pericoli della natura si passa agli spazi chiusi di un tunnel, che si trasforma in una trappola mortale a seguito di un incidente stradale. Con un'ambientazione tipicamente claustrofobica, il film possedeva già in partenza un elemento vincente. Tuttavia non si arriva pienamente soddisfatti al termine della visione, anche se si è di fronte ad un prodotto accettabile e nella media. Una maggiore cura dei presupposti di base avrebbe infatti permesso al film di essere migliore. Una riflessione approfondita sull'autosoccorso e la costruzione di un'atmosfera claustrofobica efficace avrebbero difatti garantito al film una migliore riuscita. Regia e comparto tecnico sono comunque buoni, insieme a una recitazione abbastanza capace ma sicuramente non eccezionale. E nonostante i problemi in termini di scrittura il film può essere comunque salvato. Sicuramente apprezzabile è il maggiore realismo che sostituisce la piena spettacolarità (anche se qualche scivolone non manca). Si lascia guardare, non male dai. Voto: 6

Ralph spacca Internet (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Buon sequel del film del 2012 che porta nella storia una naturale evoluzione, la sala giochi si connette ad internet e Ralph esplora questo nuovo mondo vasto fino all'inverosimile (non originale come cosa, già vista in Futurama, però riuscita). Se nel primo film uno dei punti di forza erano le dinamiche dei videogame, qui si riesce a replicare mostrando le dinamiche da social, fatta di like, followers, haters, pubblicità aggressiva senza dimenticare le dinamiche dei videogiochi online, ovviamente. Anche qui le intuizioni visive non mancano, come gli omini che rappresentano gli avatar delle persone online che navigano, il rappresentare Amazon come un grosso centro commerciale etc, ma ovviamente il pezzo forte è il sito disney, con citazioni dal mondo Marvel e di Guerre stellari e dove vivono le principesse che qui invertono la tendenza che spesso gli viene (ingiustamente) contestata, ovvero quello di essere solo damigelle in pericolo (simpatici anche gli easter egg dello stesso mondo Disney). Qua la morale è più banalotta rispetto al precedente, ma la vera falla che rende questo film inferiore al suo predecessore è lo sviluppo finale, davvero stupido secondo me, sicuramente atto a rendere meglio la presa di coscienza del protagonista ma sembra che gli sceneggiatori e i registi (gli stessi del precedente) non si siano sbattuti più di tanto ed è un peccato. Rimane comunque un buon film che intrattiene, diverte e non annoia, che forse nella cinquina per l'Oscar ai cartoni animati poteva anche non starci, non cambiava nulla. Voto: 6+

Young Ones - L'ultima generazione (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - In un futuro prossimo in cui le risorse idriche sono al lumicino, un agricoltore resta tenacemente attaccato alla propria terra, un tempo fertile ed ora trasformata in un deserto arido. Attingendo molto dall'immaginario western, il film mette in scena una distopia credibile nelle premesse, ma confusa ed a tratti incomprensibile nei suoi sviluppi, tanto che quello che si preannuncia come il fulcro del racconto (la mancanza d'acqua) diventa solo un fattore secondario in una storia di vendetta familiare di modesto interesse. Nonostante interpreti quali Michael ShannonNicholas Hoult ed Elle Fanning (quest'ultima non propriamente al centro di questa storia tutta al maschile su come assumere il proprio ruolo, spodestando anche con la forza), di Young Ones si aspetta la fine come i personaggi aspettano la pioggia: un bisogno fisico e mentale che sembra non sopraggiungere mai, ma che assolve dai peccati alla prima goccia e al primo minuto di nero dopo i titoli di coda. Peccato perché le intenzioni all'inizio erano buone, ma via via si perdono, in certi frangenti sembra non esserci un filo logico. Buona la regia, discreta la colonna sonora, ma tanta noia, nonostante qualche buona scena. Voto: 4,5

Charlie's Angels (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Visto essenzialmente per gli angeli in azione, una più bella dell'altra (Kristen StewartNaomi ScottElla Balinska, che non se la cavano affatto male in verità nella loro funzionalità/direzione action), perché dal film in questione non m'aspettavo che la mediocrità fatta a persona, e infatti ecco qui un film certamente apprezzabile visivamente ma privo di originalità e abbastanza forzato in alcune situazioni, che si guarda senza problemi e lo si dimentica con rapidità estrema. Comunque non fa schifo, anzi, complessivamente più o meno diverte e bisogna riconoscere alla Elizabeth Banks (qui sceneggiatrice, regista ed attrice) di saper imprimere un certo ritmo alla vicenda e di dirigere piuttosto bene le parti action, purtroppo la storia è troppo infantile e pecca di semplicità (dialoghi banali, il colpo di scena è abbastanza prevedibile, sprecati gli attori coinvolti in ruoli di secondaria importanza), facendo storcere più di una volta il naso (tutto questo girl power forzato è davvero irritabile, non è così che si porta avanti una lotta). E così questo sequel travestito da reboot per il rilancio del franchise, forse era meglio neanche girare, anche perché destinato al dimenticatoio, meglio i vecchi angeli. Voto: 5

Le cose che non ti ho detto (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Il regista e anche scrittore William Nicholson si trova molto a suo agio nel raccontare una storia, basata su una sua vicenda autobiografica. Il regista non inventa nulla, non c'è niente di nuovo, ne capitano a migliaia di storie cosi e ognuno può riconoscersi e identificarsi in ciascuno dei protagonisti o anche in tutti e due, a seconda delle esperienze che ha avuto. Tuttavia anche se la storia è comune (la fine di una vita di coppia), il film possiede un suo garbo e una sua forza espressiva (anche se un po' prolisso e scontato), grazie anche ad un'interpretazione misurata ed equilibrata di entrambi i personaggi (Annette Bening e Bill Nighy), il paesaggio e l'ambientazione, sono una efficace cornice per questi eventi e ne amplificano l'effetto angosciante. Un film forse a tratti verboso, ma che inevitabilmente fa riflettere sulle scelte di vita che ognuno di noi fa a prescindere dalla vita matrimoniale. Voto: 6-

Il meglio deve ancora venire (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Una dramedy bella e delicata, che parte da un equivoco simpatico quanto triste per mettere in scena una storia già vista (due amici trentennali: uno ha il cancro, ma per un equivoco pensa sia il suo amico ad averlo) ma raccontata con garbo e semplicità, in un modo che conquista lo spettatore fin dall'inizio. Molto bravi i due protagonisti (Fabrice Luchini e Patrick Bruel), affiatati e a loro agio sia nei momenti drammatici che in quelli più tristi. In alcuni momenti si ride di gusto, verso la fine ci si commuove fino alla lacrime in un film che attraversa vari stati d'animo e lo fa nel modo migliore. Non c'è niente da fare, i francesi da diverso tempo ci sanno proprio fare con le commedie, anche quando il tema è più da film drammatico. I produttori e i due registi sono gli stessi del buon Cena tra amici (Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte), ma qui l'incedere è decisamente più sommesso, sebbene qualche situazione comica non manchi. A tenere su il film, quindi, è il rapporto di amicizia virile tra i due protagonisti, che procede a ritmo forsennato fino al triste epilogo, lasciandoci però un divertito sorriso. Notevole, forse un po' arruffone ma anche spudoratamente travolgente. Voto: 6,5

L'uomo del labirinto (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - A pochi anni di distanza dal non certo memorabile La ragazza nella nebbiaDonato Carrisi ci riprova, ma il risultato è ancor più sconfortante della sua opera prima: la trama, solo in apparenza complicata, è alquanto esile, il ritmo è da subito soporifero e la tensione, che dovrebbe essere essenziale in un thriller, latita totalmente, trascinandosi stancamente per le due ore abbondanti (ed estenuanti) della durata. Lo scrittore, regista e sceneggiatore ha ambizioni alte, poiché si passa con grande disinvoltura dalla letteratura (con "Alice nel paese delle meraviglie") alla mitologia (il labirinto e il minotauro) per giungere al cinema, da cui egli attinge a piene mani con citazioni risibili da "Inland Empire", frullato con "Donnie Darko", con il ripresentarsi più volte di un sedicente coniglio, e si presume l'inarrivabile "Il silenzio degli innocenti", ma il tutto provoca una sensazione di pretenziosità e vacuità sconsolanti (manco il piccolo colpo di scena finale risolleva le sorti di questo film). All'esito infelice de L'uomo del labirinto contribuisce un Toni Servillo ancora una volta manierato, mentre se c'è qualcosa da salvare va ricercato nella prova quantomeno misurata di Dustin Hoffman come co-protagonista, nonostante il ruolo sia anch'esso al limite del ridicolo e, ad un occhio avvezzo al genere, subito comprensibile dova va a parare il suo personaggio. Un passo indietro per il regista insomma, che pur mostrando discrete capacità dietro la macchina da presa, mostra ancora limiti nel tradurre la sua stessa opera in qualcosa che sia equilibrato sia nella narrazione che dal punto di vista visivo. E non è un limite da poco, considerando che la materia in questione sono i suoi stessi romanzi. Voto: 4,5

Roma (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Buono ma sopravvalutato film di Alfonso Cuarón (apprezzato regista di Gravity). Si segue, tra drammi e rinascite, la storia di una famiglia borghese messicana (vivono nel quartiere chiamato Roma) all'inizio dei Settanta. La tecnica del regista è sicuramente buona ed i movimenti di macchina sono ampi e, per fortuna, poco frenetici: ciò si addice alla storia che racconta ed ai suoi ritmi. Narrativamente parlando però non si assiste a nulla di nuovo: è una storia familiare con tanto di disgregazione e "rinascita" finale (bello comunque il personaggio di Cleo, serva di famiglia). In più una piccola spruzzatina di politica messa lì quasi a caso. Il film è emozionante (almeno in certi intensi frangenti) ma non riesce a toccare corde profonde, sembra restare sospeso in superficie. Film (prodotto da Netflix) umano e umanista, un'opera neorealista dalla regia leziosa (la scelta del b/n aumenta l'effetto drammatico e del ricordo ed è azzeccata, ma fino ad un certo punto) e forte di alcune sequenze davvero notevoli (quella al cinema, quella della sommossa urbana, quella del parto), ma pesante e a tratti terribilmente flemmatica (dal quale pare celarsi non poca furbizia, quella che si respira purtroppo dietro tante, troppe, operazioni che ad ogni minuto che passa paiono sempre più studiate a tavolino per far breccia nel contesto altolocato dei Festival, l'intento è riuscitissimo, scroscio di applausi al Lido, Leone d'Oro al Miglior Film, tre premi Oscar vinti a fronte di dieci candidature, ma viene da chiedersi quanto il film sia onesto). Generalmente sopravvalutato, ma non sconsigliabile. Voto: 6

Una notte di 12 anni (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - Di tutte le dittature sorte in Sudamerica quella Uruguagia è tra le meno note ma non per questo la meno dispotica (stupisce il quasi disinteresse delle altre nazioni nei confronti di una repressione tanto cruenta). Il film di Álvaro Brechner analizza dodici anni di vita, anzi di non vita di tre Tupamaros catturati e segregati nelle fatiscenti prigioni del regime, tra torture e indicibili sofferenze. La quasi assenza di dialoghi costringe il regista a usare espedienti visivi per accentuare il senso dell'orrore: i primi piani dei tre sventurati per esempio, ma anche l'esasperazione di dettagli come il cunicolo angusto o l'altezza della cella, quasi a voler fare entrare anche lo spettatore. L'unica consolazione che il film ci propone è che dalle peggiori avversità possono risorgere i soggetti migliori. La parabola di Pepe Mujica, come Nelson Mandela, sta lì a rappresentarlo. Un film (basato sul libro Memorie dal calabozo. 13 anni sottoterra) schietto e intenso (momenti di grande impatto emotivo che culminano in un finale liberatorio), grazie anche al valido apporto dei tre protagonisti, tra cui spicca per notorietà Antonio de la Torre, coadiuvato dai validi Alfonso Tort e da Chino Darin (figlio di Ricardo). Una pellicola che ha il merito di aprire la mente e di raccontarci o ricordarci l'ennesima vergogna perpetrata da un regime assolutista degenerato, perverso, assassino delle più legittime individualità personali. Una pellicola solo un po' eccessivamente sbilanciata nella sua esageratamente lunga parte conclusiva, ma meritevole di attenzione e nota. Voto: 6,5

Richard Jewell (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - E' curioso come il buon Clint Eastwood, dopo una carriera di attore quasi sempre in ruoli vincenti, abbia scelto, nella sua non lunga ma prolifica "seconda vita" di regista, di dedicarsi a protagonisti sostanzialmente perdenti o quantomeno ai margini, dalla ragazza pugile con un passato (e soprattutto un futuro) difficile, all'ultimo bianco rimasto a vivere in un quartiere di ispanici ed asiatici, fino al florovivaista fallito che si ricicla come corriere di droga ottuagenario (per citarne solo alcuni). Anche in questo valido film riesce con capacità e verosimiglianza a raccontarci le vicende di un pingue bonaccione che, amante della polizia ed ex vice-sceriffo declassato a guardia privata, sventa un attentato durante le olimpiadi di Atlanta '96 salvo poi essere accusato, in maniera quanto meno superficiale, di esserne l'artefice. L'ottimo protagonista (Paul Walter Hauser, già apprezzato in Tonya, dove paradossalmente era ugualmente "impacciato", è perfettamente calato nel ruolo, notevole anche la somiglianza fisica) vive così una sorta di vicenda kafkiana dove tutto sembra remare contro di lui, aumentandone l'angoscia per non riuscire a dimostrare la propria innocenza. Solo l'aiuto di un avvocato determinato (un Sam Rockwell pazzesco che non sbaglia un colpo) e la pochezza delle prove raccolte riporteranno indietro le lancette dell'orologio a quando era stato acclamato come un eroe per aver salvato numerose vite umane. Ispirato ad una vicenda vera, il film si svolge su due piani narrativi ben distinti, quello delle rocambolesche traversie del buon Richard (e della brava Kathy Bates nella parte della madre) e quello dei tentativi di scoop della giornalista in cerca di carriera (Olivia Wilde), una delle cause del precipitare degli eventi, in grado di sconvolgere l'esistenza anche del più mite cittadino. Un buon film d'impatto visivo ed emozionale, recitato ottimamente da tutto il cast e supportato da una regia nitida, sicura e consolidata che nella mani del regista texano diventa un'esperienza indimenticabile. Tuttavia anche se ottimamente girato ed interpretato dai protagonisti, manca forse un po' di quel misto di cattiveria e poesia di altri film di Clint Eastwood, tutto è fin troppo didascalico e prevedibile, ma al di là di ciò, e come se ce ne fosse il bisogno di dirlo, egli sforna il suo ennesimo grande film su una triste storia americana, sulla falsa riga del suo Sully, la cui morale comune è che gli eroi, oggi, non piacciono a nessuno, a differenza dei colpevoli ad ogni costo. Un po' prolisso ma vedibile senza affanni. Voto: 7

La vita invisibile di Eurídice Gusmão (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - La storia di due sorelle che tentano di emanciparsi, ognuno a suo modo, in una società fortemente maschilista e patriarcale. Diretto da Karim Aïnouz e sceneggiato da Murilio Hauser, il film infatti, film premiato a Cannes, basato sull'omonimo romanzo del 2016 di Martha Batalha, ambientato nella Rio de Janeiro del 1950, racconta la storia di due sfortunate sorelle che per colpa di un padre padrone, prepotente e burbero, sono costrette a separarsi e a non rivedersi (presumibilmente, anche se non rinunceranno mai all'idea di ritrovarsi un giorno) mai più. La fotografia e le ambientazioni son bellissime e catturano fin dai primi minuti. Il film però mi è sembrato girare un po' a vuoto per una buona ora, poi, finalmente, ha una svolta che lo rende più interessante, procede poi per alti e bassi fino al finale, toccante ed intenso ma che, secondo me, solleva solo in parte le sorti del film. Un film che dura parecchio, forse troppo, i suoi 140 minuti si fanno sentire. Buona la recitazione delle due giovani che risultano davvero credibili e, anche se alle prime esperienze, sono ben dirette, la pellicola è certamente utile per diffondere socialmente e intellettualmente consapevolezza sulla castrazione pluri secolare che le donne hanno dovuto inutilmente subire da parte della violenza, arroganza e inutilità di molti uomini insicuri e pestilenziali, ma non si eleva (non resta impresso) come era lecito aspettarsi. Rappresentò il Brasile nella corsa agli Oscar, ma non finì nella cinquina finale, un motivo ci sarà. Comunque buon melodramma. Voto: 6+

giovedì 4 marzo 2021

The ABCs of Death 2.5 (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/03/2021 Qui - Stesso copione, stesse regole, 26 (nuovi) registi provenienti da ogni parte del mondo realizzano, con la più piena libertà possibile, un cortometraggio che abbia a che fare con una delle lettere dell'alfabeto e con la morte. Questo The ABCs Of Death 2.5 è però particolare rispetto agli altri due, la lettera di "partenza" è soltanto una: la M. Semplicemente perché il terzo capitolo è stato realizzato scegliendo, mediante una votazione, i migliori corti "finalisti" che avevano concorso ad un evento nel quale, il vincitore, avrebbe visto il proprio cortometraggio inserito all'interno del secondo capitolo, quello uscito nel 2014. Perciò possiamo dire che questo 2.5 racchiude gli "scarti" migliori. Tutto ciò dovrebbe anche un pochino far capire che non si è di fronte alla qualità offerta dai precedenti episodi (anche perché di registi noti nessuno a parte Carles Torrens, regista di Apartment 143 e Pet, il suo corto Mom non per caso si salva) ma, visto che alcuni corti meritano, è giusto dire/scriverci qualcosa. Come i primi due film, abbiamo un po' di tutto, e tutti o quasi venati da una miscela sperimentale. Ci sono quei corti che fanno un grande uso dei loro budget bassi e quelli che lo buttano tutto nel cesso. Tanto che, come un maiale che annusa i tartufi, per trovare qualcosa d'interessante e/o riuscito. Ci sono alcuni pezzi davvero divertenti, e sono buoni davvero, e poi ci sono corti che semplicemente sconcertano. Corti con uomini che defecano dall'ombelico, donne che accoltellano i loro bambini dallo stomaco e una mezza dozzina di altri atti di violenza che dovrebbero scioccare ma (che stavolta) non lo fanno, perché progettati per dare un brivido unico che tuttavia scompare dalla memoria non appena finisce. Invece quelli che hanno una svolta (anche sussurrata), una trama, si distinguono, e questi sono quelli che si fanno ricordare, se non tutti, alcuni almeno. In ogni caso partiamo dai migliori, che sono Mailbox di Dante Vescio and Rodrigo Gasparini, Malnutrition di Peter Czikrai, Mariachi di Eric Pennycoff, Matador di Gigi Saul Guerrero e Mormon Missionaries di Peter Podgursky. Nel mezzo invece troviamo Maieusiophobia di Christopher Younes, Manure di Michael Schwartz, Meat di Wolfgang Matzl, Miracle di Álvaro Núñez, Mobile di Baris Erdogan e Muff di Mia Kate Russell. Tra i peggiori "modesti" ecco Magnetic Tape di Tim Rutherford and Cody Kennedy, Make Believe di Summer Johnson, Marauder di Steve Daniels, Marriage di Todd E. Freeman, Martyr di Jeff Stewart, Mermaid di Ama Lea, Merry Christmas di Joe and Lloyd Stas, Messiah di Nicholas Humphries, Mind Meld di BC Glassberg, Moonstruck di Travis Betz, Mother di Ryan Bosworth (in questo corto l'unica faccia nota, quella di Anastasija Baranova di Z Nation) e Mutant di Stuart Simpson. Tra i peggiori "insulsi" ecco Munging di Jason Koch and Clint Kelly e soprattutto Mess di Carlos Faria, il corto più brutto di questo film e dell'intera trilogia. Complessivamente, nonostante alcune cose, questo secondo capitolo e mezzo risulta notevolmente inferiore ai primi due, troppi episodi mal realizzati per meritare una (prima o seconda che sia) visione. M sta per mediocre, forse. Voto: 5,5