Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/03/2021 Qui - Un lungo, sporco e irriverente collage dell'orrore e della follia, umana ma non solo, questo è The ABCs of Death, che nasce con i crismi della raccolta antologica, apparendo pretenzioso e al tempo stesso affascinante nell'assunto, ma catturando l'interesse già in partenza per via della qualità di alcuni dei nomi coinvolti, tutti per lo più giovani gravitanti nell'orbita indipendente e talvolta con alle spalle almeno un'opera di buon livello o di successo. The ABCs of Death presenta tutto ed il suo contrario. Un'opera altalenante e discontinua per concetto (nata dallo sforzo comune di Magnet Releasing, Drafthouse Films e Timpson Films Productions), nella quale non si può non sottolineare l'abisso che separa la pochezza e la grossolanità del maggior numero degli episodi, alcuni dei quali meriterebbero lo skip preventivo (G is for Gravity di Andrew Traucki, K is for Klutz di Anders Morgenthaler, S is for Speed di Jake West, ma anche W is for WTF! di Jon Schnepp), dall'elevato livello di una netta minoranza di altri che si ergono per distacco (D is for Dogfight di Marcel Sarmiento, era in V/H/S: Viral, L is for Libido di Timo Tjahjanto, P is for Pressure di Simon Rumley, regista di The Living and the Dead, T is for Toilet di Lee Hardcastle, questo con D i due migliori in assoluto, Y is for Youngbuck di Jason Eisener, insieme a Tjahjanto era in V/H/S 2). Come detto la qualità non è elevata, ma cose buone, altre cose buone ci sono, in tal senso non deludono alcuni nomi di spicco (oltre ad alcuni nominati già precedentemente), mentre altri lo fanno. Tra i primi B is for Bigfoot di Adrian Garcia Bogliano (Here Comes the Devil), Q is for Quack di Adam Wingard e Simon Barrett (note le loro collaborazioni in film come The Guest), U is for Unearthed di Ben Wheatley (Free Fire) e X is for XXL di Xavier Gens (Crucifixion), tra i secondi A is for Apocalypse di Nacho Vigalondo (Colossal), C is for Cycle di Ernesto Diaz Espinoza (Bring Me the Head of the Machine Gun Woman) e M is for Miscarriage di Ti West (V/H/S ma non solo). Tra i nomi meno famosi (almeno personalmente), i migliori o quelli almeno sufficienti, E is for Exterminate di Angela Bettis, H is for Hydro-Electric Diffusion di Thomas Malling, N is for Nuptials di Banjong Pisanthanakun, R is for Removed di Srdjan Spasojevic e V is for Vagitus di Kaare Andrews, i peggiori o quelli decisamente mediocri, I is for Ingrown di Jorge Michel Grau e O is for Orgasm di Bruno Forzani ed Hélène Cattet. Discorso diverso per i registi giapponesi presenti, uno più folle dell'altro, con corti pazzi ed assurdi, e solo uno raggiunge la sufficienza, il più stravagante (trash), F is for Fart di Noboru Iguchi (regista, sceneggiatore e attore di film folli), perché sia J is for Jidai-geki di Yûdai Yamaguchi che Z is for Zetsumetsu di Yoshihiro Nishimura convincono poco. Tirando le somme, il voto complessivo è 6. Non ho fatto una media precisa precisa (sì l'ho fatta), la mia sufficienza è comunque motivata dal fatto che ci sono 4 o 5 corti che restano impressi, ma il resto viaggia in alto mare. Perché abbiamo corti divertenti, corti ottimamente diretti, corti metacinematografici ma anche corti inutili, corti diretti male e corti davvero brutti. Qualche lampo di genio, altrettante cadute rovinose, per il resto un mix di idee eterogenee sviluppate più o meno bene. Nel complesso non c'è troppo da lamentarsi. Voto: 6
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