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mercoledì 17 marzo 2021

L'uomo del labirinto (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2021 Qui - A pochi anni di distanza dal non certo memorabile La ragazza nella nebbiaDonato Carrisi ci riprova, ma il risultato è ancor più sconfortante della sua opera prima: la trama, solo in apparenza complicata, è alquanto esile, il ritmo è da subito soporifero e la tensione, che dovrebbe essere essenziale in un thriller, latita totalmente, trascinandosi stancamente per le due ore abbondanti (ed estenuanti) della durata. Lo scrittore, regista e sceneggiatore ha ambizioni alte, poiché si passa con grande disinvoltura dalla letteratura (con "Alice nel paese delle meraviglie") alla mitologia (il labirinto e il minotauro) per giungere al cinema, da cui egli attinge a piene mani con citazioni risibili da "Inland Empire", frullato con "Donnie Darko", con il ripresentarsi più volte di un sedicente coniglio, e si presume l'inarrivabile "Il silenzio degli innocenti", ma il tutto provoca una sensazione di pretenziosità e vacuità sconsolanti (manco il piccolo colpo di scena finale risolleva le sorti di questo film). All'esito infelice de L'uomo del labirinto contribuisce un Toni Servillo ancora una volta manierato, mentre se c'è qualcosa da salvare va ricercato nella prova quantomeno misurata di Dustin Hoffman come co-protagonista, nonostante il ruolo sia anch'esso al limite del ridicolo e, ad un occhio avvezzo al genere, subito comprensibile dove va a parare il suo personaggio. Un passo indietro per il regista insomma, che pur mostrando discrete capacità dietro la macchina da presa, mostra ancora limiti nel tradurre la sua stessa opera in qualcosa che sia equilibrato sia nella narrazione che dal punto di vista visivo. E non è un limite da poco, considerando che la materia in questione sono i suoi stessi romanzi. Voto: 4,5

sabato 4 maggio 2019

Mr Cobbler e la bottega magica (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2018 Qui - Da un'idea di base semplice e apparentemente fine a se stessa, nasce una storia simpatica, gradevole e spiritosa quanto basta per non annoiare ed intrattenere senza danni, offrendo anche spunti da commedia nera. Giacché Mr Cobbler e la bottega magica (The Cobbler), film del 2014 diretto da Thomas McCarthy, reso celebre successivamente dall'ottimo Il caso Spotlight, pur mantenendo una costante falsariga fiabesca, si addentra in un copione avvincente che fa dell'alternarsi di sequenze riflessive ad altre più dinamiche, un ulteriore punto di forza di una trama già di per se estremamente originale. Adam Sandler infatti, propone il consueto volto da "bamboccione" malinconico che ben si presta per questa fantasiosa commedia agrodolce dove un mite calzolaio si ritroverà ad usare una vecchio attrezzo da lavoro dai seducenti poteri magici che daranno, grazie alla capacità di vivere la vita dei suoi clienti dopo aver indossato le loro scarpe, un'improvvisa scossa alla sua apatica esistenza e che faranno altresì prendere una piega quasi "Disneyana" ad un film gradevole alla visione che, sorretto da un cast di prim'ordine (Dustin Hoffman e Steve Buscemi) e con una venatura di tristezza, delicato, mai volgare, semplice nella realizzazione ma denso nei sentimentalismi, si fa amabilmente apprezzare. Tanto che proprio non capisco tanta cattiveria nei confronti di un filmetto non così orribile che dalla critica nazionale e internazionale è stato massacrato, anche dal pubblico. Intanto comincerei col difendere (almeno parzialmente) Adam Sandler, che a me è sempre oltretutto piaciuto, perché le sue commedie sono sempre alquanto convincenti, niente di eccezionale però certamente niente di volgare, simpaticissime al punto giusto e con gag davvero divertenti, anche perché le sue trovate in questi generi di film sono impeccabili.

mercoledì 27 febbraio 2019

Kung Fu Panda 3 (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/02/2017 Qui - Nel terzo capitolo della saga del simpaticissimo e irresistibile Panda Po, Kung Fu Panda 3, film d'animazione action del 2016 prodotto dalla DreamWorks Animation e diretto da Jennifer Yuh e Alessandro Carloni, si continua a raccontare le vicende del simpatico e ed un poco pasticcione protagonista. Il cosiddetto Guerriero Dragone, che questa volta dovrà diventare "Master of Chi" ovvero Maestro della Forza Interiore (quasi come la 'forza' di Star Wars) per sconfiggere Kai, l'ex fratello in armi di Oogway da lui punito e mandato nel Regno degli Spiriti. Non solo, Po avrà modo di incontrare il suo padre naturale e di visitare con lui il villaggio nascosto dei panda. Come fu per i precedenti anche questo Kung Fu Panda 3, sequel del film del 2011 Kung Fu Panda 2 e a sua volta sequel di Kung Fu Panda del 2008, non delude, perché come per gli episodi precedenti il film si sviluppa con un ritmo perfetto ed intercalato da continui spunti comici, ma ben più importante affronta concetti quali la lealtà, il valore di ogni singola individualità, ma anche l'importanza della famiglia e della forza di un gruppo affiatato per superare insieme gli ostacoli della vita, quindi in maniera soft questo film come i precedenti ha un messaggio educativo per gli spettatori più piccoli, collegandosi in maniera armoniosa con i due precedenti. La trama, qui sintetizzata infatti, ma come si intuisce, ha però tanta carne al fuoco, addirittura può sembrare e risultare complicata, ma l'ora e mezza di narrazione filmica riesca a rendere Kung Fu Panda 3 comprensibile anche ai più piccoli attraverso quella reiterazione variegata ma sistematica che sta alla base di ogni insegnamento efficace, come la tematica del ritrovamento del padre naturale e pertanto della ricostruzione dei legami affettivi, che altresì pone in evidenza anche quella molto interessante e delicata della differenza e dell'importanza o meno nella vita di un essere vivente del genitore naturale e di quello che invece si è preso cura e lo ha allevato, facendo intuire allo spettatore l'importanza di entrambi.

sabato 9 febbraio 2019

The Program (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 26/11/2016 Qui - Premettendo che sono stato sempre convinto che Lance Armstrong si dopasse, ho visto con qualche perplessità The Program, film biografico del 2015 diretto da Stephen Frears sulla vita di questo famoso ciclista, perché la sua incredibile storia è una ferita ancora tanto aperta e tanto dolorosa per chi ha vissuto quei momenti, momenti che hanno per sempre macchiato uno sport così nobile come il ciclismo. La sua vicenda infatti è stata forse quella che più ha sconvolto gli appassionati di ciclismo e dello sport in generale. Perciò non era facile per il regista anche solo immaginare di fare un film del genere, in più raccontare storie vere è diventato sempre più difficile, non solo perché spesso si conosce il finale, fatto che altera in qualche modo la percezione della trama, ma perché essere imparziale è arduo compito. Ma mai come in questo caso nonostante la natura (sconcertante) della storia (che quasi tutti conoscono) e la bravura del regista inglese, il risultato è più che soddisfacente, il regista difatti riesce nel compito a lui assegnato, quello di ripercorrere le tappe della vita del ciclista statunitense Lance Armstrong, dai successi sportivi alla lotta contro il cancro, fino all'ammissione di doping, in modo discreto e senza eccessi. Stephen Frears infatti, partendo dal libro-verità del giornalista sportivo David Walsh 'Seven Deadly Sins', porta in scena le gesta (truccate) del campione texano, e lo fa con grande maestria da un punto di vista tecnico (con inquadrature e soprattutto effetti sonori che rispecchiano bene le corse in bici e con la rappresentazione di un personaggio talmente "vittima" del suo ego che, nella sua abitazione, è sempre solo) e soprattutto senza cadere nella trappola dei film sportivi tipo, quelli che si risolvono cioè nel rimontaggio di materiale di gara già esistente. Gira invece ad hoc poche ma eccellenti scene, talmente accattivanti da far quasi venir voglia di prendere la bici ed andare a scalare qualunque vetta. Sceglie poi con gran cura una colonna sonora decisamente azzeccata, e ciliegina sulla torta, punta il grosso delle sue fiches su Ben Foster (visto recentemente in Lone Survivor), attore che probabilmente non offriva le migliori garanzie e che invece si rivela per l'occasione capace non solo di interpretare ma addirittura di trasformarsi in Lance Armstrong (la somiglianza dell'attore è davvero sorprendente, soprattutto nel pedalare e nei caratteri somatici) grazie a un lavoro lungo e intenso da vero perfezionista dell'arte attoriale. In ogni caso, gli appassionati di ciclismo non si aspettino grandi emozioni sportive, impervie salite o volate storiche, poiché solo piccoli flash amarcord introducono la pellicola di Frears basata sul marciume legato al doping e sull'inchiesta di un bravo giornalista che mantiene la schiena dritta e non si fa piegare da nessuno.