giovedì 13 giugno 2019

Tonya (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/02/2019 Qui - Non il solito film biografico-sportivo, non assolutamente conforme al genere, poiché il suddetto film è privo fin dall'inizio di due degli aspetti principali che caratterizzano di solito il genere, la linearità del racconto e l'epica trionfale con la quale sono normalmente celebrate le gesta dei protagonisti delle pellicole biografiche, questi ultimi mediamente ritratti come supereroi tra i normali o uomini giustificabili di tutto per via del loro genio. Tonya (I, Tonya) infatti, film del 2017 diretto da Craig Gillespie, partendo da una sceneggiatura di Steven Rogers, non racconta di un eroe vincente, bensì di una sciagurata perdente e autrice, forse, di un atto spregevole. Ma la cosa più incredibile è che riesce a farlo con uno stile anticonformistico, ritmato e brillante che (quasi mai) annoia. Questo perché il regista australiano (che dopo il bellissimo esordio Lars e una ragazza tutta sua non si era più fatto apprezzare particolarmente, perché bello ma eccessivamente stereotipato era L'ultima tempesta), riesce con questa pellicola candidata agli Oscar, appunto uscendo dai soliti schemi del biopic, a costruire in modo narrativamente e tecnicamente impeccabile una dramedy moderna, originale, sgargiante e animata da una vivida estetica pop anni '90 senza mai perdere di vista l'obiettivo principale: quello di raccontare la storia di Tonya Harding (la prima pattinatrice artistica in USA ad eseguire correttamente un triplo axel e poi al centro di uno scandalo di cronaca nera che coinvolse lei e la collega Nancy Kerrigan all'alba delle Olimpiadi invernali del 1994) senza eccedere nel melodramma ma senza nemmeno sminuire o ridicolizzare la vicenda e la protagonista. Una vicenda e una protagonista, controversa, segnata da un passato pieno di abusi, un presente scintillante e promettente ma anche un epilogo altrettanto brusco, punitivo e irreversibile. Ma controverso è anche il film, che si apre con un cartello che fornisce in poche righe la chiave di lettura e il tono di tutta la storia: "Tratto da interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia con Tonya Harding e Jeff Gilooly". Infatti, la pellicola in questione racconta la vita della nota (ed ovviamente controversa) pattinatrice americana attraverso il suo punto di vista e quello delle persone che le sono state vicine, ovvero la madre, il marito Jeff e i loro amici in comune. Le opinioni e i punti di vista, naturalmente non potrebbero essere più distanti e contraddittori facendo emergere un'immagine tutt'altro che omogenea della pattinatrice.
A questo punto è doveroso notare come il regista riesca nell'intento di mantenere acceso l'interesse degli spettatori, mediante l'utilizzo di diverse tecniche narrative che spezzano la linearità della trama, scongiurando la monotonia e mantenendo una verve di freschezza nella pellicola: dall'uso dello stile mockumentary, qui presente sotto forma di finte interviste dei protagonisti (in realtà fornite sempre dagli attori) alle sequenze nelle quali i protagonisti si rivolgono direttamente al pubblico, guardando dritti nella cinepresa. Ne deriva un film originale e moderno (spettacolare il giusto), una commedia scorretta, adrenalinica ed estremamente divertente, dopotutto lo scopo primario del film è ritrarre lo spassoso ensemble di un gruppo di disadattati redneck che finiscono per rovinare l'unica possibilità che il caso ha offerto loro di uscire fuori dall'oblio della dura provincia americana dove sono cresciuti, ossia il talento di Tonya, puntualmente attentato, sciupato e rovinato da questo manipolo di personaggi impresentabili, violenti ed approfittatori, grazie appunto all'ottima regia (numerosi stacchi e movimenti di macchina) e a una notevole colonna sonora, con brani di musica classica affiancati da "pezzi" moderni. Craig Gillespie ricrea infatti un effervescente mix tra commedia nera, dramma e biopic ripercorrendo la vita di Tonya come lei l'ha raccontata agli altri. Dall'infanzia difficile, all'insegna di una madre severa, austera, inflessibile e fredda totalmente incapace di amare, che spinge la figlia ad abbracciare lo sport del pattinaggio artistico e farne l'unico scopo di vita, all'adolescenza sempre segnata dall'ossessione della madre e dai suoi scatti anche violenti che porteranno Tonya a cercare amore e affetto tra le braccia di Jeff, destinato a diventare suo marito. Le cose purtroppo per lei non miglioreranno e Tonya diventerà vittima di violenza domestica per mano del coniuge. E tuttavia mentre la vita personale va a rotoli, quella professionale prosegue a gonfie vele e la vede partecipare e vincere molti campionati nazionali guadagnandosi le simpatie del pubblico e le antipatie dei giudici. Colpa del suo carattere anticonformista, spigoloso e arrogante. Ciò nonostante mostrerà il pregio di restare fedele a se stessa, senza mai provare ad allinearsi agli standard delle giurie, di chi la vorrebbe più fine, elegante ed educata. Tonya anche quando arriva in vetta resta la ragazza di provincia, di quell'America maleducata e gretta, ma attira comunque l'interesse mediatico per via delle sue indiscusse capacità agonistiche. Peccato che tutto è destinato a finire e far crollare il mito nascente di Tonya quando l'ormai ex marito, Jeff, organizza un piano per mettere fuori gioco la rivale numero uno della Harding, l'atleta Nancy Kerrigan, in vista delle Olimpiadi Invernali di Lillehammer in Norvegia. Col beneplacito di Tonya e con l'aiuto logistico e materiale del suo migliore amico, Jeff riuscirà a portare a termine il piano, aggredendo la Kerrigan e distruggendo definitivamente tutto quello che Tonya era riuscita a crearsi con anni di sacrifici e duro impegno. E quello che verrà dopo sarà anche peggio.
Ci si diverte tantissimo a vedere questa dramedy nera dove non c'è alcun giudizio morale sulle azioni di ogni personaggio. Dalle molestie della madre perfida Lavona su Tonya, alle violenze del marito di Tonya Jeff e fino al racconto della scorrettezza della pattinatrice stessa, non pesano interpretazioni moralistiche o giustificatorie. Al contrario, è proprio l'assurdità di una vita così anomala l'aspetto principale sul quale insistono il regista e lo sceneggiatore. L'unico rimprovero che viene accennato sullo sfondo non è alla fine rivolto ai personaggi, ma verso il tritacarne mediatico che finisce per travolgere Tonya. Giacché l'evidente tono da comedy senza impegno non impedisce ad I, Tonya di lanciare comunque un messaggio critico tutt'altro che velato alla società americana e a tutto il carrozzone mediatico che ne soddisfa la vorace fame di storie usa e getta. Perché vittima o no delle dure e difficili circostanze nelle quali è vissuta, perché artefice o no della sua stessa rovina, quello che è certo, che il film mette in evidenza, è che lei è stata indubbiamente vittima di un sistema (quello mediatico) e di una mentalità (quella americana) che ti inghiottisce troppo in fretta, rendendoti dapprima una star amata da tutti e ricoperta di elogi, ma l'attimo dopo ti getta in rovina, ti distrugge e ti annienta. Il sogno americano è sempre vivo ma anche pronto a sgretolarsi dentro le proprie mani quando le cose vanno storte. Non critiche alle persone insomma, ma al sistema, alla forza della moltitudine che opprime e giudica. Proprio la critica al sistema mediatico e al suo atteggiamento sullo scandalo Harding, rappresentano la considerazione maggiormente banale di un film altrimenti sempre divertente, per nulla prevedibile e che non fa rimpiangere la qualità delle produzioni ad alto budget. Un film molto leggero che si lascia seguire con un sorriso sulle labbra pronto ad aprirsi a tratti in un riso gustoso, ma anche sciogliersi in una empatia imprevista. Perché Tonya verrà ricordata sempre come una sabotatrice ma il film riesce indubbiamente a farti entrare in empatia col suo personaggio dalle mille sfaccettature, da vittima a carnefice, da fragile ed insicura ragazza di periferia ad arrogante e avida arrivista senza scrupoli. Merito di personaggi scritti bene e interpretati con convinzione da un cast (tra cui da segnalare sono Bobby Cannavale, Julianne Nicholson e Mckenna Grace) che accetta di mettersi in gioco calandosi in ruoli non convenzionali. Sorprende Margot Robbie che riesce ad annacquare il suo fascino unico per restituire la normalità ordinaria di una ragazza che non si preoccupa di essere ammirata, ma vuole essere amata per quel che è e non per quello che potrebbe essere. Molto bene anche Sebastian Stan nei panni di un timido che diventa violento perché non sa come farsi ascoltare e che è pronto a pentirsi nello stesso istante in cui sta sbagliando salvo poi tornare a sbagliare ancora perché proprio non sa come altro comportarsi.
Vera rivelazione è comunque Allison Janey (non a caso candidata e poi vincitrice di un Oscar come attrice non protagonista) che interpreta la madre anaffettiva di Tonya disegnando un personaggio dal modo di pensare odioso e inaccettabile, ma i cui modi sfrontati e il sarcasmo costante muovono troppo spesso al sorriso per renderla davvero imperdonabile. E quindi questo film, un film spiazzante e apparentemente ambiguo, che a qualcuno è apparso troppo "innocentista" o giustificazionista, e che invece ha un grande merito non puntando sulla facile stigmatizzazione di un "mostro", ma preferendo sondare l'insondabile, ovvero indagare l'umanità assurda e contraddittoria di persone senza arte né parte, uomini e donne vere, persone talora anche buffe (uno su tutti chi assoldò l'esecutore materiale, ovvero il sedicente "bodyguard" di Tonya, che sembra un personaggio inventato, e invece...) che più desiderano uscire dai propri angusti orizzonti e più ricadono (a volte in modo tragicomico) nel buio dei propri errori, comunicando così allo spettatore più sensibile non la facile indignazione, ma una doverosa pietas, incorniciato da una sgargiante soundtrack pop anni '80/'90 e da un'estetica nineties pop molto nostalgica e retrò, è sicuramente uno dei biopic più interessanti che spicca per la sua originalità, per le ottime interpretazioni e per la buona stesura dello script e per l'abbondanza di umorismo nero, elementi che riescono sempre a mantenere vivo l'interesse dello spettatore. Una parabola di ascesa e caduta di un talento bruciato troppo in fretta e caduto in quella voragine mediatica senza scrupoli né pietà. Tonya è la rappresentazione perfetta della mediocrità umana che prova a tutti i costi a crearsi un futuro migliore e sfondare nel mondo dello sport, oltremodo competitivo e corrosivo, fallendo miseramente con tutti riflettori puntati addosso. Un film pungente, amaro, ironico e dissacrante, indubbiamente a tratti divertente ed esplosivo che merita assolutamente di essere visionato. Anche perché poi francamente il film è anche una boccata d'aria in un momento storico (quello dominato dallo scandalo Weinstein) nel quale il tema della violenza sulle donne è trattato attraverso una prospettiva che ha tutte le "pesantezze" (per quanto giustificate) di una lettura puramente ideologica. Qui di dottrinale sul tema c'è poco e nulla. Infatti si ride dimenticando per un po' l'orrore di una vita difficile come quella di Tonya e godendo del grande spettacolo esagerato che il regista mette su per noi. Uno spettacolo che dimostra che il cinema a stelle e strisce sa essere anche altro dalla pura spettacolarità di cinecomics e action movies o dalla intensa drammaticità di pellicole profonde ma sostanzialmente di nicchia. Una terza via è possibile ed è quella di intrattenere insegnando. Di parlare di favole anomale che non hanno il classico lieto fine, ma che dopotutto non lo cercavano neanche. E va bene così. Perché anche se a tratti diventa noioso smarrendo la fluidità del racconto, il film è altamente godibile, ma soprattutto grandioso è il finale, di un film non eccezionale ma riuscitissimo ed imperdibile. Voto: 7