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giovedì 9 febbraio 2023

Blonde (2022)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/02/2023 Qui - Il film è la trasposizione di un romanzo e quindi non va pesato come documento storico inoppugnabile, ma non rende un bel servizio alla figura leggendaria della Monroe, anzi. Si sapeva della sua fragilità, anche della sua leggerezza, ma qui si sguazza nel voyerismo più bieco dipingendola come una cretina quasi vicina al ritardo mentale. Va bene denunciare gli abusi subiti ed i dolori che hanno segnato la sua giovinezza (con la ricerca di una figura paterna mai assaporata e tuttavia sempre ricercata) ma due e ore e tre quarti così non si reggono (e in questo senso non ha avuto alcun senso farlo durare così tanto): si parla poco del suo lavoro, poco del suo essere un sex symbol e con la scusa di spogliare la Ana De Armas (comunque bravissima, solo quasi da Oscar) si spinge forte il pedale dell'eccesso e del torbido. Ne esce una pellicola fintamente autoriale che sembra messa lì apposta per dividere, con scelte volutamente shock e inette. Per me il miglior film di Andrew Dominik resta "L'assassinio di Jesse James", da lì in poi è andato in calando. Questo è decisamente mediocre. Voto: 5

mercoledì 23 giugno 2021

Togo - Una grande amicizia (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/06/2021 Qui - Se nel passato, il bellissimo cartoon non disneyano Balto, ci aveva emozionato, oggi ci pensa la Disney a rimettere le cose in ordine, cioè: il cane Balto, rispetto al cane Togo è robetta. Nella corsa al siero del 1925 (antitossina della difterite) di 700 miglia in condizioni climatiche più che avverse, sia per l'uomo che per i cani (bellissimi Husky), in Alaska, Balto avrebbe corso la sua parte di staffetta, tirando la slitta, solamente per le ultime 40 miglia, il vero eroe, rimasto sconosciuto fino al 2019, sarebbe stato Togo, che ne ha percorse più di 400 assieme al suo padrone Seppala (un Willem Dafoe molto calzante). Togo fin da cucciolo si è sempre mostrato tanto determinato quanto indisciplinato, rifiutato dall'addestratore stesso. Però il "cuore di un sopravvissuto" è sempre più grande di quanto si pensi e Togo saprà conquistare il suo ruolo da leader e un posto speciale nel cuore suo e di sua moglie (Julianne Nicholson). Il film scorre nel solco di Iron Will, anche se siamo sempre in casa Disney, quindi, se il film si rivolge ad un pubblico più adulto in cerca di emozioni, il prodotto è sempre sufficientemente edulcorato. Nella storia e nel coraggio di Togo, troviamo elementi emozionali che permettono di affrontare la visione con un forte senso di empatia e commozione. Abbastanza piacevole tutto sommato, nonostante non riesco a passare sopra ad alcune sequenze romanzate quasi all'eccesso e/o esagerate (la parte sul ghiaccio per esempio) e a degli effetti speciali non sempre eccellenti. Buona la combinazione di dramma, avventura e sentimento con lo sfondo degli spettacolari paesaggi ghiacciati resi al meglio da una fotografia spettacolare. Insomma un buon film per famiglie a marchio Disney tratto da una storia vera, anche se, pregevole quanto si vuole, ma rispetto a Balto comunque inferiore, certamente meno memorabile. Voto: 6,5

martedì 2 luglio 2019

Tonya (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/02/2019 Qui - Non il solito film biografico-sportivo, non assolutamente conforme al genere, poiché il suddetto film è privo fin dall'inizio di due degli aspetti principali che caratterizzano di solito il genere, la linearità del racconto e l'epica trionfale con la quale sono normalmente celebrate le gesta dei protagonisti delle pellicole biografiche, questi ultimi mediamente ritratti come supereroi tra i normali o uomini giustificabili di tutto per via del loro genio. Tonya (I, Tonya) infatti, film del 2017 diretto da Craig Gillespie, partendo da una sceneggiatura di Steven Rogers, non racconta di un eroe vincente, bensì di una sciagurata perdente e autrice, forse, di un atto spregevole. Ma la cosa più incredibile è che riesce a farlo con uno stile anticonformistico, ritmato e brillante che (quasi mai) annoia. Questo perché il regista australiano (che dopo il bellissimo esordio Lars e una ragazza tutta sua non si era più fatto apprezzare particolarmente, perché bello ma eccessivamente stereotipato era L'ultima tempesta), riesce con questa pellicola candidata agli Oscar, appunto uscendo dai soliti schemi del biopic, a costruire in modo narrativamente e tecnicamente impeccabile una dramedy moderna, originale, sgargiante e animata da una vivida estetica pop anni '90 senza mai perdere di vista l'obiettivo principale: quello di raccontare la storia di Tonya Harding (la prima pattinatrice artistica in USA ad eseguire correttamente un triplo axel e poi al centro di uno scandalo di cronaca nera che coinvolse lei e la collega Nancy Kerrigan all'alba delle Olimpiadi invernali del 1994) senza eccedere nel melodramma ma senza nemmeno sminuire o ridicolizzare la vicenda e la protagonista. Una vicenda e una protagonista, controversa, segnata da un passato pieno di abusi, un presente scintillante e promettente ma anche un epilogo altrettanto brusco, punitivo e irreversibile. Ma controverso è anche il film, che si apre con un cartello che fornisce in poche righe la chiave di lettura e il tono di tutta la storia: "Tratto da interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia con Tonya Harding e Jeff Gilooly". Infatti, la pellicola in questione racconta la vita della nota (ed ovviamente controversa) pattinatrice americana attraverso il suo punto di vista e quello delle persone che le sono state vicine, ovvero la madre, il marito Jeff e i loro amici in comune. Le opinioni e i punti di vista, naturalmente non potrebbero essere più distanti e contraddittori facendo emergere un'immagine tutt'altro che omogenea della pattinatrice.

domenica 13 gennaio 2019

Ten Thousand Saints (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/07/2016 Qui - Ten Thousand Saints (anche conosciuto con il titolo di 10,000 Saints) è un film drammatico (abbastanza anonimo e insulso) del 2015 diretto e sceneggiato dai coniugi Shari Springer Berman e Robert Pulcini, registi di American Splendor, che ottenne una candidatura come miglior sceneggiatura non originale ai premi Oscar 2004, e negli anni seguenti dirigono i film Il diario di una tata e Un perfetto gentiluomo, mentre nel 2011 ottengono numerose candidature ai premi Emmy per il film televisivo Cinema Verite. Il film, basato su un racconto di Eleanor Henderson, è quello che si dice "un film di formazione", in particolare di quella del protagonista Jude, un adolescente (problematico che vive con la madre adottiva nel Vermont), che dopo la morte per overdose del migliore amico Teddy (con cui "si fa" con qualsiasi cosa trova a portata di mano), si trasferisce a New York, dove vive il padre hippy Les. Qui incontrerà Johnny, fratellastro di Teddy, e soprattutto Eliza (caotica ragazza dei quartieri alti), una ragazzina rimasta incinta (di Tommy, incontrato poco prima di morire), figlia peraltro della donna con cui il padre di Jude ha una relazione. Corre l'anno 1987 e sullo sfondo di una città fatta di droghe, punk e adulti che non vogliono crescere, il ragazzo lotterà per costruirsi una propria identità. Il film è perciò lento e abbastanza noioso ma anche controverso e irritante che comincia negli anni 70 dove Jude è un bambino che viene a scoprire direttamente dal padre Leslie, senza alcun "filtro", che aveva messo incinta una vicina (e a causa di ciò si doveva l'ennesima sfuriata della madre che l'aveva cacciato di casa) e, per di più, nello stesso "colloquio", che lui (Jude) era stato adottato.