lunedì 31 agosto 2020

Tutte le mie notti (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Un film, un thriller drammatico (dallo stampo marcatamente teatrale), che manca di troppe cose, prima di tutto di un cuore (l'ambiente è freddo e impersonale). La protagonista è una giovane prostituta di cui avremmo voluto sapere qualcosa in più su umori, amori, motivazioni. Invece tutto ciò che riesce a dire sul perché lo fa è, ovviamente, "i soldi", e solo in risposta a una domanda precisa. Per il resto ci sono molti cliché già visti, soprattutto sessisti. Alla fine il messaggio è che in un gran porco mondo qual'è quello del sesso a pagamento, le donne hanno pur sempre più cuore e dignità degli uomini. I ritmi sono esageratamente lenti e la storia è nel suo complesso davvero troppo povera (finale abbastanza scontato, si poteva fare di più). Le scene più apprezzabili sono quelle nel bosco della grande villa. Attori (che sono tre e tre di numero, Barbora BobulovaAlessio Boni e Benedetta Porcaroli) bravini e nulla più. Un esordio insomma (con qualche manierismo registico di troppo) non proprio brillante per Manfredi Lucibello. Voto: 5 [Qui Scheda]

Gattaca - La porta dell'universo (1997)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Un film di fantascienza decisamente atipico, dai tempi dilatati e dal fascino non comune. La storia interessa per come si trattano diversi importanti temi, alcuni un po' sullo sfondo, come ad esempio la rivalità fra due fratelli (quello più rilevante però il tema della selezione genetica, ma sarebbe meglio parlare di eugenetica). E' profondamente pessimista nella rappresentazione della società, ma paradossalmente trasmette un messaggio di speranza sul superamento dei propri limiti. Decisamente originale nel suo sviluppo, non ha lo scopo di intrattenere lo spettatore, bensì di farlo riflettere ed emozionare. Direi che ci riesce, anche se sul finale qualcosa sembra incompiuto, ma si rimane soddisfatti, perché è proprio sul finale che il messaggio conclusivo esplode in tutta la sua bellezza. Fantascienza etica ed esistenziale per un film che, seppur dalla sceneggiatura claudicante (piena di forzature più o meno grosse atte a mantenere in piedi la vicenda), pone domande e ci da le sue risposte in modo dirompente (non un capolavoro ma un bel film). Ma sarà vero che il nostro destino è scritto nel DNA? Come si può vivere sapendo di essere degli "esseri inferiori" con una speranza di vita breve? La forza di volontà potrà bastare per rompere questa barriera? Nonostante sia a basso budget, a livello scenografico e registico fa il suo. La fotografia ha una tonalità sul giallo, quasi a dare un senso di marcio ai luoghi. La colonna sonora invece, a volte è un po' invadente, tuttavia è efficace, anche se ripetitiva. Buona, se pur non esaltante, la prova del cast (con alcuni future stelle), dalla coppia protagonista Ethan Hawke-Uma Thurman, ai comprimari Alan Arkin e Jude Law. In conclusione apprezzabile il debutto alla regia del neozelandese Andrew Niccol (peraltro anche abilissimo sceneggiatore, The Truman Show per fare un esempio, suo anche il soggetto per The Terminal) che, con questa discreta opera fantascientifica, segna il suo interessante debutto sul grande schermo. Voto: 7 [Qui Scheda]

Il cardellino (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Non ho letto il libro e quindi non posso fare paragoni con l'opera letteraria da cui è tratto (a quanto pare un romanzo, di Donna Tartt, vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa nel 2014). Partendo da un senso di colpa che lo accompagnerà nel corso dei suoi anni, il film si snoda fra due narrazioni parallele che offrono al film quel carattere di opera di formazione e quel senso di malinconia ben sottolineata dalla fotografia di Roger Deakins (quello di Blade Runner 2049 per intenderci). Ho avuto l'impressione che l'opera letteraria sia molto complessa. Infatti la sceneggiatura sembra accumulare gli accadimenti e talvolta c'è la netta impressione di qualche "taglio" forse necessario per la sua trasposizione su grande schermo, ma di cui se ne intuisce la mancanza. Un cast pregevole con buone interpretazioni (Jeffrey Wright su tutti), tecnicamente curato ma che a livello narrativo non funziona come dovrebbe. Dal regista (John Crowley) del bellissimo Brooklyn mi aspettavo decisamente di più e di meglio, peccato. Voto: 5+ [Qui Scheda]

Playmobil: The Movie (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Dopo The Lego Movie (dieci volte meglio riuscito, anche il secondo meno impattante del primo è migliore, nessuno degli altri sono peggiori) non poteva mancare anche il film sui Playmobil. Il film di Lino DiSalvo sui famosi pupazzetti vorrebbe celebrare il potere dell'immaginazione di questi giocattoli prodotti dalla società tedesca Geobra Brandstätter fin dal 1974, ma non ci riesce, e il tentativo di emulazione fallisce. La storia parte da una ragazza di nome Marla (Anya Taylor-Joy, non basta la sua bella presenza a migliorare la situazione), che orfana dei genitori, si trova a intraprendere un viaggio epico dopo che suo fratello minore scompare nel meraviglioso mondo animato dei Playmobil. Lì ritroverà la parte migliore di sé stessa: quella dell'esploratrice appassionata e ottimista. Prologo ed epilogo in live-action, questo film d'animazione, che nella versione italiana è doppiato da J-Ax e Cristina D'Avena (ma era meglio di no) non riesce minimamente a entusiasmare. All'inizio e alla fine non c'è magia insomma, ma il problema è che non c'è neanche nel mezzo. Colpa della sceneggiatura, pensata per un pubblico giovanissimo, pregna di personaggi, epoche e situazioni surreali che rappresentano davvero troppa carne al fuoco (e poi troppe canzoncine, e nessuna che lascia tracce). Un mix narrativo quasi schizofrenico, che però nasconde un messaggio chiaro: giocare e divertirsi sono elementi e momenti che non dovremmo abbandonare mai, neppure da adulti. Bene, bello, ma non basta. Voto: 5 [Qui Scheda]

Stuber - Autista d'assalto (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Visto sostanzialmente per Kumail Nanjiani, il simpatico protagonista della gradevole commedia The Big Sick - Il matrimonio si può evitare... l'amore no, ma né lui, né Drax alias Dave Bautista, né l'uomo da menare Iko Uwais, né la rediviva Mira Sorvino e neanche tre belle donne quali Natalie MoralesBetty Gilpin (Debbie in GLOW) e Karen Gillan (presente nel MCU ma non solo), riescono ad innalzare il livello di una commedia action mediocre come questa. Un buddy cop movie che, seppur aggiornato, non si salva col citazionismo e il meta-citazionismo dai troppi e celebri precursori. Un film che, inesorabilmente eccede. Una commedia sciocca, che non fa ridere ed a tratti pure inutilmente sboccata. E giunti al termine della visione di questo film (diretto da Michael Dowse), la sensazione è quella di aver insomma passato un'ora e mezza in macchina con un autista (di Uber, che diventa, suo malgrado, co-protagonista in un'operazione di polizia) che non sa bene come arrivare a destinazione: al netto di alcuni duetti simpatici tra i due attori principali, il meccanismo comico si inceppa abbastanza rapidamente, e quello action va incontro a un destino simile. Peccato. Voto: 5+ [Qui Scheda]

Il mistero della casa del tempo (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Abbandonato o semplicemente, si spera, messo da parte il genere horror in cui si è quasi sempre ben distinto in qualità di regista sin dai tempi del valido esordio di Cabin FeverEli Roth si dà al fantasy (dopo la parentesi action con Death Wish), cercando di divenire una volta tanto il regista di tutti e per tutti. Di fatto il film (adattamento cinematografico del romanzo La pendola magica del 1973 scritto da John Bellairs ed illustrato da Edward Gorey), forte di un cast nutrito di nomi piuttosto famosi e non così scontati (Cate Blanchett su tutti, diva piena di classe e dunque qui sin sprecata, mentre Jack Black risulta sempre perennemente e coerentemente se stesso, mentre fa piacere rivedere il lynchano Kyle MacLachlan, seppur sciupato in un filmetto del genere), anziché tendere alla platea più vasta, andrebbe severamente vietato ai "maggiori di anni", tanto è puerile e futile la storiella che regge tutto il grande apparato scenico, sfavillante ma scontato, visto mille altre volte e non proprio in grado di destare nemmeno per un attimo alcun istante di meraviglia o di sorpresa. Si procede pertanto tra bambini saputelli, adulti maligni e perfidi sino alla caricatura, situazioni sopra le righe che tuttavia si ripetono stancamente senza mai riuscire un attimo a farci tornare addosso la meraviglia dell'essere o sentirsi un po' bambini. Voto: 4 [Qui Scheda]

Il coraggio della verità (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Eccessivamente prolisso, il film di George Tillman Jr. (adattamento cinematografico del romanzo The Hate U Give - Il coraggio della verità del 2017 scritto da Angie Thomas) si barrica dietro una corazza fatta di retorica, buonismo e banalità varie. La banalità è evidente nell'episodio che fa da scintilla a tutta la storia che poi si sviluppa, risultando a mio modo di vedere alquanto frivolo e poco curato. La retorica che pervade il film si nota nei dialoghi, nelle fin troppo abusate iterazioni razziali che si applicano nella forma poliziotto bianco cattivo contro teenager di colore problematico ma, in questo caso, candido e innocente, ma anche tra amiche di scuola di diverse etnie ed estrazioni sociali. Tutte cose che francamente non hanno né coraggio e né originalità da vantare. I punti a favore del film sono le interpretazioni, tutte abbastanza convincenti (in particolare quella di Amandla Stenberg), il ritmo fluido che nonostante le oltre due ore di durata riesce a mantenere un certo coinvolgimento nello spettatore e una spiccata dose di emozionalità che in alcuni frangenti risulta incisiva e coinvolgente. Una sufficienza per un film che, parere mio, poteva e doveva osare qualcosa in più, rinunciando alla prolissità e alla retorica esasperata su concetti sì interessanti e attuali (attualissimi) ma decisamente troppo caricati per cercare di colpire a tutti i costi. Voto: 6 [Qui Scheda]

Ghost Stories (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Un horror abbastanza classico: niente urla, pochissimi Jumpscare, ritmo blando ma non noioso. Dopo un inizio intrigante, lo sviluppo della trama vede tre diverse esperienze horror non particolarmente sconvolgenti, dove, a mio parere, spiccano le discrete interpretazioni di Martin Freeman e del ragazzo un po' disturbato del secondo episodio (Alex Lawther, Christopher Robin ragazzo in Vi presento Christopher Robin). Il finale scombussola tutto quanto precedentemente raccontato e, secondo me, peggiora una pellicola che, fino a quel momento, veleggiava su una placida sufficienza. Il finale di quest'horror infatti, se da una parte offre una cornice giustificatoria di ciò che accade nei tre episodi, dall'altra stempera la drammaticità del rapporto tra tangibile e trascendente, restringendola a livello soggettivo e allucinatorio, cosa che mi ha un po' infastidito. Ma se l'avessi saputo che i registi Jeremy Dyson e Andy Nyman, qui avessero semplicemente adattato la loro omonima opera teatrale, l'avrei probabilmente evitato. Voto: 5,5 [Qui Scheda]

Hole - L'abisso (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Un horror di discreta fattura, nulla da dire. Strutturato come una fiaba nera, con tanto di collocazione fuori contesto civile della casa ed al confine del bosco limitrofo dall'aria realmente sinistra, The Hole in the Ground non aggiunge granché come originalità al genere, però bisogna ammettere che gli elementi messi in mostra sono ben collocati nel tessuto della storia. Più che sui salti dalla sedia, Lee Cronin (il regista) privilegia le atmosfere suggestive della location, avvalendosi di una buonissima fotografia e di una colonna sonora molto efficace. La storia purtroppo è un po' debole, è vero, specie nel finale dove viene "sfogata" una certa vena citazionistica anche fin troppo palese e ridondante (ShiningL'invasione degli UltracorpiThe Descent). Malgrado i suoi piccoli difetti (non tutto è sviluppato bene e molte domande/buchi rimarranno tali), un horror che vale una visione. Perché potrà apparire, in un primo momento, risaputo, scontato, telefonato, insomma le solite cose ma dategli tempo perché troverà la sua strada e incuterà non poco. Merito anche dei due protagonisti davvero in gamba, madre (Seana Kerslake) e figlio (James Quinn Markey). Voto: 6 [Qui Scheda]

Un giorno di pioggia a New York (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Sempre il solito Woody Allen, non cambia mai, eppure ci fa fessi ancora una volta. Nel leggere la trama avevo storto un po' la bocca perché avevo immaginato la solita minestra, cosa che in fondo è, ma nella sua frivolezza e banalità egli riesce nuovamente a deliziare lo spettatore, non smentendosi affatto. Una storia (una sorta di viaggio di formazione in una New York che sempre perdere coordinate predefinite fa) carica di humor, dotata di dialoghi ironici e intelligenti, come spesso capita di trovare nei film del buon vecchio regista americano, capace di divertire e intrattenere senza sforzo alcuno, palesando anche nei momenti meno intensi una spinta emotiva e interessante negli interpreti e nelle loro caratterizzazioni. Unico neo (personale) l'antipatia nei confronti di Timothée Chalamet per colpa del suo personaggio geniale ed inconcludente al tempo stesso (anche se scegliere tra Elle Fanning e Selena Gomez non è affatto facile), un personaggio con i tratti tipici del personaggio Alleniano che comincia però a diventare cliché. Ma è davvero poca cosa e la riuscita del film non è in discussione. Un film delizioso con un Allen in velocità da crociera. Voto: 6 [Qui Scheda]

Zombieland - Doppio colpo (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Ben 11 anni fa usciva Benvenuti a Zombieland, una sorta di commedia con gli zombie. Si capisca, gli zombie erano quelli soliti a cui bisogna sparare in testa, dunque film sicuramente splatter, ma il tono di tutto il film era piuttosto leggero, grazie da una bella sceneggiatura e agli interpreti, tra cui Woody HarrelsonJesse Eisenberg ed Emma Stone. Il film ebbe buoni incassi e divenne rapidamente un cult, anche per le famose regole che si era dato il protagonista per sopravvivere in un mondo pieno di zombie e che spesso venivano ricordate nel film. Ci sono voluti tutti questi anni per ritrovare il cast e una sceneggiatura all'altezza, ma ne è valsa la pena. Questo seguito (sempre ad opera dello stesso regista Ruben Fleischer, che nel frattempo ha deluso un po' con il suo Venom) mi è piaciuto. Non raggiunge il livello del primo capitolo, ma è comunque un sequel che si lascia guardare molto volentieri. Carina (seppur non originale) l'idea degli zombie evoluti e ho apprezzato molto anche l'ingresso dei nuovi personaggi, in particolare Madison alias Zoey Deutch. Peccato per i cambi di doppiatori in peggio rispetto alla prima pellicola (anche se so che in un caso è stato inevitabile). L'azione non manca ed a parte qualche passaggio un po' a vuoto il divertimento non manca. Ciliegina sulla torta il cameo finale di Bill Murray. Voto: 6+ [Qui Scheda]

A Beautiful Day (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Certo non il Taxi Driver del nuovo millennio, ma un pregnante thriller noir sicuramente sì. Menti piagate dalla guerra incapaci di reggere l'orrore della "normale" quotidianità: e così l'intreccio fra politica e crimine organizzato, qui particolarmente odioso perché incentrato sulla prostituzione minorile, assume i contorni di una disperata vendetta personale, un'epopea scura come la pece e senza scampo (sarebbe stato quasi più coerente il pre-finale). Ottimo il silenzioso Joaquin Phoenix (anche premiato per questo), ma la palma della rivelazione va all'angelica Ekaterina Samsonov. Regia attenta (di Lynne Ramsay, che si è basata sul libro Non sei mai stato qui di Jonathan Ames per la sceneggiatura, sceneggiatura vincitrice a Cannes 2017 un premio, oltre all'altro per la migliore interpretazione maschile), confezione curata con una colonna sonora efficace. E fa niente che non c'è niente di originale per un giustiziere moderno come questo qui, in un film dove la violenza è asciutta e improvvisa, c'è la capacità di brillare. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Figli (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - Innocuo e buonista Figli ha il grande merito di strappare a più riprese convinte risate, ironizzando con intelligenza sul ruolo di genitore (ma anche su quello dei nonni) nell'attuale contesto sociale. Sicuramente la presenza di Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi fornisce una marcia in più ad un film capace di parlare con schiettezza di situazioni che molti padri e madri ben conosceranno (una coppia che dopo aver avuto il primo figlio, decidono di provarci per il secondo), cadendo però in un finale in cui le perplessità e i disagi vengono messi da parte con troppa leggerezza. Applausi per alcune idee: la sostituzione con un brano di Beethoven del pianto infantile è una trovata non da poco, come merita molto la definizione dei genitori-tipo inseriti in una sorta di limbo. L'analisi sociale parte invece da presupposti sacrosanti ma l'elaborazione della stessa finisce in una semplificazione orientata eccessivamente verso la soluzione accomodante. In ogni caso commedia agrodolce di buona qualità e dal discreto valore. Voto: 6 [Qui Scheda]

Yesterday (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2020 Qui - L'idea di base (seppur non originale) è a dir poco geniale (Yesterday gioca e scherza con il pubblico nel creare un universo alternativo in cui i Fab Four non sono mai esistiti, assurdo, vero?). Danny Boyle si cimenta egregiamente con la fanta-commedia non mancando di darle sempre il suo istrionico tocco personale come i titoli delle canzoni che scorrono sullo schermo. Ne viene fuori un film particolare, magari non un capolavoro, ma che diverte, che fa ridere, che si fa seguire con interesse ed a tratti che commuove pure (la scena in cui il protagonista incontra John Lennon, è Robert Carlyle a prestargli il volto). Nella prima parte le citazioni alle canzoni dei quattro capelloni di Liverpool sono numerose e spassose e davvero azzeccata è l'idea di rendere tutto più realistico inserendoci come interprete Ed Sheeran (che tra l'altro non se la cava affatto male). Poi nella seconda le musiche dei Fab Four dilagano coinvolgenti come le trovate storiche tipo il concerto sul tetto di un edificio, sono tutte citazioni che fanno piacere soprattutto a chi ha qualche annetto e ricorda quei tempi (ma anche a chi non li ha e conosce solo le loro stupende canzoni), soprattutto fa riflettere una frase che viene detta: come sarebbe peggiore il mondo senza le canzoni dei Beatles (e come sarebbe migliore senza le sigarette, senza Coca-Cola od Harry Potter invece non saprei). Purtroppo l'immancabile storia d'amore (seppur nella loro ingenuità apprezzabile è la loro alchimia/rapporto, tra Himesh Patel, nel cast del nuovo film di Christopher Nolan Tenet, e la solita brava e bella Lily James) risulta un po' lunga e stucchevole e rallenta il ritmo della narrazione ma tra musiche e storia è un film che alla fine si promuove a pieni voti. Un film (una commedia romantica condita di tanta musica, ma comunque senza sfociare nel musical, non è un film sulle canzoni dei Beatles, non è un Across the Universe per intenderci) che trasmette (un grazie va allo sceneggiatore Richard Curtis) la gioia e la connessione che sa dare la musica e trasmette l'importanza dei sentimenti e dell'amore come unica vera bussola nella vita. Semplice, senza grosse pretese, ma efficace. Voto: 7 [Qui Scheda]

giovedì 20 agosto 2020

Speciale H.P. Lovecraft - Color Out of Space (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/08/2020 Qui - Ogni tanto ci capita di incappare in un déjà vu, fenomeno unico e particolare ma non raro, anzi, soprattutto in campo cinematografico (e in particolare negli ultimi anni) abbastanza frequente. E' quello che è capitato a me vedendo questo film, Color Out of Space, memore della visione di non pochi giorni fa del film della Notte Horror, ossia Space Vampires, ho notato alcune analogie, e in effetti molte sono le similitudini. Lo spazio (che è anche nel titolo), luogo immenso da dove provengono esseri "estranei", conseguentemente la minaccia aliena, con annessi fasci di luce colorata e strani fenomeni fisici/psicologici, e tanti altri piccoli dettagli, quali stesso genere, siamo sempre infatti dalle parti del fanta-horror. E tuttavia il gap (seppur non elevatissimo) tra le due pellicole c'è e si vede, nonché si sente. A fare la differenza non tanto il fatto che qui donne nude che se ne vanno in giro non ci stanno, neanche che siano state prodotte in epoche diverse, quanto il fatto che nonostante i due film siano entrambi basati su un romanzo/racconto, la differenza tra questi è sostanziale (di caratura, intensità ed ineluttabilità). Color Out of Space, come per alcuni sarà stato ed è facile intuire, è infatti basato su un racconto, Il colore venuto dallo spazio, di Howard Phillips Lovecraft, spesso citato come H.P. Lovecraft, non propriamente uno qualunque. Uno che, anche se non si è letti alcun romanzo o racconto (come me), non si può non conoscere, uno che, a 83 anni dalla sua morte continua ad essere fonte di ispirazione per artisti di tutto il mondo, lo è stato, lo è ancora, e questo nella letteratura così come nel cinema e nella musica (e non solo), uno che, sempre meriterebbe di essere celebrato, come oggi, che a 130 anni dalla sua nascita, viene onorato dalla cricca di blogger (tra questi ci sono anch'io) più cool della blogosfera. Ma dopotutto potevamo mica esimerci nel non decantare uno dei maggiori scrittori di letteratura horror di tutti i tempi? Assolutamente no, ed eccoci tutti qui (ovviamente tutti quelli che l'hanno voluto omaggiare, a fine post troverete tutte le direzioni di navigazione) a parlarvi delle sue opere, e delle trasposizioni filmiche che alcune di esse hanno avuto. Negli anni tantissimi, ma l'anno scorso ecco arrivare quello ad uno dei suoi racconti più celebri e meglio riusciti, già stato trasposto altre volte, ma mai con la carica visiva ed espressiva che è capace di sprigionare questa pellicola.

venerdì 14 agosto 2020

Dune (1984)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Il film doveva essere un kolossal fantascientifico ma non è riuscito pienamente nelle sue intenzioni. Nonostante questo risulta una pellicola godibile e alquanto spettacolare, tanto che la spettacolarità, alla fine, sarà l'unico aspetto che non distoglierà l'attenzione dalla visione di Dune: un prodotto tanto visivamente poderoso (bei costumi, effetti speciali un po' antidiluviani ma comunque di grande effetto, e fantastici i vermoni creati da Rambaldi) quanto manipolato con un procedimento filmico di dubbio gusto. Il peggior difetto del film è da ricercarsi in un svolgimento non sempre chiaro, discontinuo, confuso, troppa carne al fuoco per un solo film (discontinuo nel senso che se la prima parte è a tratti molto lenta, nella seconda parte acquista una velocità incredibile e molte cose nel film che dovrebbero essere narrate meglio vengono trattate in maniera molto superficiale). Sarebbe ingiusto dare troppe colpe al regista dato che questo ha dovuto confrontarsi con un romanzo come quello di Frank Herbert che non ho avuto occasione di leggere ma che a quanto dicono è estremamente complesso. Di certo non hanno giovato nemmeno i tagli fatti per ridurne la durata (questi infatti, voluti a quanto pare dalla produzione della famiglia De Laurentiis, rendono le battaglie finali, nonché la storia d'amore tra Chani e Paul Atreides, precipitosamente avventate e piene di buchi del racconto). Quindi rimane un film particolare di David Lynch (lo era pure lo strano Cuore selvaggio), prima di tutto perché forse per la prima e unica volta il regista si è dovuto adattare alle pretese del pubblico e non viceversa. Comunque si vede la sua mano in molte sequenze, e poi il barone Harkonnen è uno di quei cattivi che il regista tanto rende particolari nei suoi film. Il cast è straordinario ma Kyle MacLachlan è inespressivo per la maggior parte delle inquadrature e altri grandi attori (su tutti Max von SydowJürgen ProchnowPatrick Stewart e Silvana Mangano) assumono il semplice ruolo di comparse. Da notare l'utilizzo di molti attori che con Lynch lavoreranno molto successivamente (Jack NanceBrad Dourif ed Everett McGill, ci sono pure Sean Young Sting). Insomma, Dune non è un film così riuscito come ci si aspetterebbe, in certi punti (va detto) manca di spessore epico, ma non è comunque un film da buttare via completamente. Voto: 6

Shazam! (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - No, non ci siamo proprio, dopo il piccolo passo in avanti compiuto con Aquaman, la DC ne fa uno bello indietro con questo film. Un film che, se confrontato al citato film supereroistico di prima perde ai punti, se confrontato (giacché questa ne sembra la risposta) con Deadpool (della rivale Marvel) perde per KO. Shazam! infatti, basato sul personaggio della DC Comics, che racconta di un ragazzino orfano che un giorno, per magia, diventa in grado di trasformarsi in un eroe da fumetti dall'aspetto di un aitante trentenne conservando però lo spirito di un ragazzino, rispetto al "Protettore degli oceani" non ha effetti speciali eccellenti (ma mediocri), non ha Amber Heard (ma un manipolo di attori sconosciuti, a parte Djimon Hounsou, e poi nessuna "bellezza") e non ha un attore carismatico come lo era Jason Momoa (Zachary Levi, l'amatissimo Chuck, non è male, ma risulta fin troppo caricato), soprattutto modesto nei dialoghi, banale e scontato nella rappresentazione della solita famiglia pazzerella in cui tutti si vogliono un gran bene (figuriamoci rispetto al mercenario chiacchierone cosa ha in meno). Eppure non che mi sia troppo dispiaciuto, anche perché momenti divertenti ci sono, riuscita è poi la parte dell'eroe alla scoperta dei suoi poteri (acquisiti peraltro, in modo totalmente diverso rispetto alle tradizionali storie di origini), e figo è senza dubbio Shazam stesso (personaggio dei fumetti che non conoscevo prima di vedere il film), per la sua capacità di trasformarsi solamente gridando il suo nome e per i grandi, tanti poteri a sua disposizione. La regia poi è diligente, anche se senza particolari contributi artistici, a cura di David F. Sandberg, noto per gli horror movie Lights Out - Terrore nel buio e Annabelle 2: Creation. Ma tutto il resto, dai toni molto infantili e dalla eccessiva linearità (le caratterizzazioni dei personaggi appena sufficienti), non convince. Non ha convinto me, io che probabilmente sono uno dei pochi ad averne dato un giudizio negativo. Mark Strong ci prova a fare un bel cattivo, ma forse è davvero indispensabile avere meno di 15 anni per apprezzare questo film. Un film che ha due memorabili momenti, il cameo finale dell'uomo d'acciaio e i conseguenti titoli di coda cartooneschi, ma che a dispetto del puro divertimento non giustifica un'idiozia come questa. Voto: 5,5

Fast & Furious - Hobbs & Shaw (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Dietro la direzione adrenalinica e tosta di David Leitch (uno che di ritmo ed action se ne intende eccome, se si pensa a John Wick e ad Atomica Bionda, sue regie precedenti assieme a Deadpool 2), il film, spin-off della serie di Fast & Furious, che si svolge due anni dopo Fast & Furious 8 (da quest'ultimo proviene l'accoppiata Hobbs & Shaw, che lì faceva faville, qui anche, ma non è quello il problema di questo nono capitolo), si districa tra coreografie perfettamente orchestrate ed una buona dose di ironia, almeno fino al punto in cui la vicenda ci conduce a Samoa, terra esotica e paradiso d'origine di Hobbs (e dello stesso gigantesco Dwayne "The Rock" Johnson). Qui la vicenda si caramella di intrusioni familiari invadenti e sdolcinate che, assieme alla immancabile svolta rosa (in questo caso tuttavia alla bellissima Vanessa Kirby non gli si può dire niente), contribuiscono a raffreddare non poco i motori di una vicenda di fatto grossolana, banale e prevedibile, ma visivamente garante di uno spettacolo piuttosto godibile. Tra i camei, oltre a lady Helen Mirren, simpatica madre ladra di Jason Statham/Shaw, è Ryan Reynolds che, spuntato fuori come dall'uovo, si rende protagonista di due interventi esilaranti e dissacranti, in grado di far perdonare almeno in parte tutta la ridondante retorica sulla famiglia entro cui rimane invischiato questo indiavolato e concitato nono capitolo della serie più tamarra (e fortunata) probabilmente di sempre (nel cast da segnalare comunque un corpulento Idris Elba, e poi Cliff CurtisEddie MarsanEiza González e Kevin Hart). Perché va bene che l'intrattenimento è importante, ma i limiti del concepibile e accettabile vengono ampiamente superati anche in ottica action-movie, la durata è poi francamente eccessiva. E quindi pellicola vivace ma obbiettivamente mediocre. Voto: 5+

Little Monsters (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Per una comitiva di bimbi di 5 anni in gita ad un parco di divertimenti l'assalto da parte di un'orda di  zombi potrebbe rivelarsi traumatico se la loro maestra con l'aiuto dello zio di uno dei ragazzini non trasformasse l'esperienza in un gioco a livelli (un po' come in La vita è bella) in cui non bisogna farsi afferrare dai mostri ed in cui il sangue è marmellata andata a male. La demenzialità non manca ma, più che demenziale, si tratta di un horror amabile che si concede qualche scorrettezza (soprattutto nel linguaggio) e che ricorda operazioni come L'alba dei morti dementi. Insomma nulla di particolarmente originale in questa commedia (giustamente prevedibile) con spruzzi "horror", oltretutto non mancano sequenze tipiche del genere (l'immancabile assedio), ma memorabili sono alcuni personaggi e certe situazioni. Innanzitutto bellissima Lupita Nyong'o in giallo (che dopo Noi non smette di dare badilate a chi capita), simpatico lo zio Alexander England (sfortunatamente per lui era in Gods of Egypt ed Alien: Covenant), egoisticamente divertente Josh Gad, adorabile il Darth Fener in miniatura, forte il bambino che vuol giocare a minigolf, simpatiche le performance con l'ukulele, dissacranti gli zombi rabboniti dalla musica. E se ci mettiamo le discrete musiche, ecco che questa pellicola scritta e diretta da Abe Forsythe, attore e regista australiano, australiano come il film stesso, che per questo ha delle tematiche, dei tempi e delle situazioni tutte sue, a noi occidentali alcune scene potrebbero essere deliranti al limite del sopportabile, ma se si entra nel mood giusto questo film può divertire (gli preferisco comunque altri), può risultare "carina", e nel senso migliore. Voto: 6

Copia originale (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Un film che in fondo si basa sul principio di offrire ciò che è nei desideri dei nostri interlocutori. Come in un film dalle dinamiche simili come The Hoax, il falso diventa vero perché vogliamo che sia vero, lo desideriamo. E dalla mente e dal talento non riconosciuto di una scrittrice respinta dai salotti buoni di una New York infida e pronta a divorarti, ecco che parte un percorso di riscatto personale dove la sua arte e la sua arguzia da misantropa trova terreno fertile. Basato su una storia vera da cui è stato tratto il romanzo: Can You Ever Forgive Me scritto dalla stessa Lee Israel, il film di Marielle Heller ci mostra il ritratto di una donna irascibile quanto adorabile e biecamente fiera di essere solitaria ma soprattutto ci fa riflettere sul potere della scrittura e sulla capacità duttile di modificar la realtà, fittizia, grazie all'estro artistico che spesso non fa rima con fama. Una regia accurata disegna inoltre con efficacia i luoghi chiave della sua parabola discendente nel milieu letterario newyorkese. La sceneggiatura, candidata all'Oscar insieme ai due attori principali (in tal senso, Melissa McCarthy finalmente fa vedere il suo talento in una parte drammatica dopo tante commedie, alcune dimenticabili, la sua lingua è sempre tagliente, ma in maniera diversa, Richard E. Grant un buon compagno di viaggio), non è perfetta, ma una cosa fa bene, rende gradevole una truffa, anche se, più che il divertimento legato alla spudoratezza dell'impresa e alla suspense per il rischio che i due corrono ogni volta, ci fa sorridere la sotterranea soddisfazione con cui la protagonista, lavorando a questa attività truffaldina, valorizza (nel gioco della simulazione) la sua competenza di biografa e la sua capacità di scrittura, trascinandoci involontariamente dalla sua parte. E così non possiamo non essere dalla sua parte quando fa pagare un prezzo ad interlocutori non propriamente innocenti. Perciò al titolo originale "Can You Ever Forgive me?" vien da rispondere: Yes, we can. Lento, ma buon film. Voto: 6,5

Light of My Life (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Impegnato anche come regista, per la prima volta in un film di pura narrazione (l'esordio vero in regia avvenne alcuni anni fa con il genere documentario), Casey Affleck si prodiga anima e corpo nella realizzazione di una pellicola apocalittica dalle tematiche già ampiamente sviluppate in precedenza (basti ricordare The road o I figli degli uomini), aggrappandosi stavolta alla singolare variante dello sterminio femminile. Ma soprattutto concentrandosi sul profondo legame affettivo che unisce un padre alla adorata figlia (qui nel suo personale coming of age), ed i due assieme al ricordo doloroso ma anche salvifico, di una madre che (interpretata da Elisabeth Moss), pur vittima degli implacabili eventi, è pur sempre in grado di guidarli e dar loro fiducia tramite la potenza del ricordo. Il film si fa apprezzare soprattutto per l'intensità che contraddistingue la costruzione intima dei due affiatati protagonisti (Casey Affleck e la debuttante Anna Pniowsky risultano convincenti nei rispettivi ruoli di padre e figlia, oltretutto cercano di colmare, non sempre riuscendoci, qualche buco di trama), nonché per le apprezzabili ambientazioni cupe delle fredde zone montane in cui i due coraggiosi ed affiatati superstiti della famiglia felice che fu, si ritrovano a percorrere e ad affrontare. Elementi non da poco che aiutano un po' a dimenticare certe consuetudini ormai sin troppo viste e trite, che risultano inevitabilmente scontate (minacce esterne, personaggi enigmatici che ben celano il lato mostruoso che li muove), affrontate chissà quante volte nei molti disaster movie che hanno preceduto questa pellicola, parimenti incentrati su un imbarbarimento sociale da catastrofe senza controllo. Alcune scelte registiche sono più convincenti di altre (il ritmo non è sempre costantemente fluido), in alcuni momenti poteva osare di più, ma nel complesso buon film. Certo, le quasi due ore di  Light of my life forse sono eccessive ma è un viaggio "d'amore" interessante, pericoloso, devastante nell'anima, riuscito. Voto: 6,5

Fast Color (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Un film che si inserisce a pieno diritto nel filone dei supereroi, ma lo fa in modo del tutto originale e inaspettato, qua infatti si parla di donne (tre generazioni di donne, e tutte ben interpretate, nonna Lorraine Toussaint, figlia Gugu Mbatha-Raw e nipote Saniyya Sidney) che hanno quasi sempre dovuto nascondere i propri poteri per non essere oggetti di studio o fenomeni da baraccone (nel resto del cast da citare David Strathairn). Non solo, il film parla anche del rapporto profondo tra la capacità di portare grandi cambiamenti e la paura che accompagna questo grande potere, e lo fa utilizzando il linguaggio della maternità e della responsabilità di una nuova vita. Insomma qualcosa di diverso dal solito, ma neanche di così tanto riuscito, però certamente particolare è questa pellicola inizialmente confusa, si faticano a comprendere i poteri della donna, ma via via abbastanza lineare. Forse per questo prevedibile, ma comunque capace di coinvolgere. Giacché questo film di fantascienza è pure ambientato in un prossimo futuro devastato da una terribile siccità globale, e fa in qualche modo impressione (il senso di catastrofe imminente è dato da particolari sullo sfondo, come il prezzo altissimo dell'acqua, trasportata in contenitori di recupero). Gli effetti speciali sono limitati, dato il budget medio/basso del film (diretto da Julia Hart), ma quando vengono usati questo avviene con grande eleganza e con soluzioni visive assolutamente spettacolari. Niente di mirabile certo, anche nel complesso, ma discretamente apprezzabile sì. Voto: 6

Gli uomini d'oro (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Evitai senza esitazioni l'esordio alla regia di Vincenzo Alfieri, avvenuto con I peggiori, avevo perciò poche aspettative con questo suo secondo film, ed è stato per questo forse che il suddetto sia riuscito a colpirmi positivamente. Certo, c'è molta carne al fuoco (forse un po' troppa) in questo film del regista Salernitano che ripropone una storia vera ambientata a Torino a metà anni '90, il film infatti fa svariati riferimenti a pellicole made in USA (per atmosfera, modalità narrative ed argomento, a Tarantino, Kubrick ed altri), ma Gli uomini d'oro ha una sua consistenza narrativa e registica di un certo livello. La tensione del racconto, ben supportata dal montaggio dello stesso Alfieri, garantisce la presa sullo spettatore per le quasi due ore del film. La trama ruota sul classico tema del colpo miliardario (siamo nel tempo della lira) per riscattare vite fatte di delusioni e rimpianti con il miraggio di un futuro roseo senza più problemi. Naturalmente le cose non vanno sempre come si desidera e le sorprese saranno dietro l'angolo. Bello lo spunto del derby Juve-Toro del 1996 che serve da "fil rouge" narrativo in apertura di ogni capitolo, contribuendo inoltre con la rivalità calcistica tra i protagonisti ad aumentare la tensione del film. Discreto il cast con Giampaolo MorelliEdoardo LeoGianmarco Tognazzi e Fabio De Luigi, quest'ultimo nel suo primo riuscito ruolo da "villain" dopo una valanga di commedie innocenti (e poi Matilde Gioli, luminosa e bellissima pur se coinvolta in un ruolo da poche pose, mentre dirompente è l'appeal che promana dal fisico statuario della donna del Lupo, resa alla perfezione da una incandescente Mariela Garriga). In definitiva non sempre fluido, non assolutamente un capolavoro, ma buon thriller, praticamente noir, che coraggiosamente esce dai soliti, noiosi ed abusati cliché del cinema italiano e fa centro. Voto: 6+

Good Boys - Quei cattivi ragazzi (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Divertente ed innocua commedia adolescenziale (alla Suxbad, per intenderci) scritta e diretta da collaboratori abituali di Seth Rogen (il quale produce) che si caratterizza per l'assoluta genialità di talune trovate comiche e per la gestione dei tempi. La storia di questi tre ragazzini che dovranno affrontare piccoli intoppi in preparazione della loro prima festa del bacio poggia infatti su una sceneggiatura solida che non conosce sosta, con personaggi (eterogeneo il terzetto dei personaggi principali, Jacob TremblayKeith L. Williams e Brady Noon) quasi irreali per come caratterizzati, ma funzionali allo sviluppo di una (semplice) storia che propone scene e battute esilaranti, forse (anzi sicuramente) ingenue per certi versi (ingenui come questi ragazzini in età prepuberale che cominciano a fare e farsi certe domande, che prendono fischi per fiaschi e non hanno idea di quel che fanno), ma dannatamente efficaci nello strappare risate a tutto spiano. Una risata continua, lunga quasi 90 minuti difatti, è quello che suscita Good Boys, un film per ragazzi, fatto da ragazzi, ma capace di intrattenere e divertire come una commedia adulta, diretta e interpretata al meglio. Voto: 6

Alita - Angelo della battaglia (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Questo è questa pellicola di fantascienza e d'avventura, ovvero il riuscito adattamento dell'omonimo manga (che sto riscoprendo adesso ed ora) di Yukito Kishiro, edito qui da noi nel lustro 90-95, che racconta attraverso una potente distopia la ribellione al sistema governativo partendo dal basso, dai cyborg e dal pianeta di ferro, la nostra terra, divenuta la discarica di Zalem, città futuristica sospesa nell'etere, e sogno irraggiungibile della feccia umana e non. Da qui la storia della cyborg Alita, ex combattente ora senza memoria, trovata in una discarica e riportata in vita dallo scienziato Ido, che proverà a ribaltare le cose. James Cameron produce affidando, dopo circa dieci anni in cui il progetto rimase in cantiere, la regia a Robert Rodriguez (di cui ho grande ammirazione per quasi tutti i suoi film) che se la cava egregiamente, seppur sviluppando un progetto su commissione. Alita è interpretata dalla giovane (e bella) Rosa Salazar, che attraverso la facial motion capture restituisce allo spettatore sentimenti ed emozioni rendendo quasi indolore l'impiego della CGI (Alita ha occhioni dolci e splendido corpo Cyborg e combatte come un samurai vecchio stile, facile è stato dunque simpatizzare per lei fin dai primi istanti, lei che da sola giustifica la visione). Ma in generale il livello tecnico è impeccabile e sorprendente, non solo nelle scene di azione. Quindi intrattenimento di pregevole fattura, ma non solo: Alita è un ibrido a cui è rimasta la coscienza, un robot che si pone domande sul proprio futuro, che prova sentimenti, piange e si innamora. Fantascienza etica perciò, in cerca di risposte su di se, un po' come Ghost in the Shell, altro manga prestato recentemente al cinema (vanno ricercate però le dovute differenze). Gli unici difetti l'aver voluto puntare più sul lato romantico (funzionale sì, ma poco coinvolgente se non nel finale) che sull'aspetto sci-fi, e il fatto che, essendo non previsti a breve seguiti, il finale aperto lasci un po' troppo in sospeso. Perché va bene che originariamente sia opera incompiuta, ma una chiosa un po' più decisa a questo bel primo capitolo, lo avrebbe reso ancora più bello. Tuttavia, sperando nell'episodio successivo, non posso che ribadire di essere stato soddisfatto dalla visione di un film che, ciliegina sulla torta, si avvale di un cast eccezionale e bene in parte, da Christoph Waltz alla sempre stupenda Jennifer Connelly, da Mahershala Ali ad Eiza González, da Ed Skrein a tanti altri. Voto: 7

Soldado (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Il grande salto in terra americana non scompone Stefano Sollima, capace di estrarre dal suo background (soprattutto) televisivo (Suburra era comunque gran cinema italiano) una serie di accorgimenti mirati a rendere Soldado, sequel ufficiale del Sicario di Denis Villeneuve, un film intricato il giusto e soprattutto efficace nell'equilibrare gli aspetti più adrenalinici con gli indispensabili intermezzi votati alla definizione dei protagonisti. Orfano delle incertezze morali di Emily Blunt, splendida protagonista del precedente intermezzo filmico, il regista romano affronta una sceneggiatura (rispetto al lavoro di Villeneuve) meno brillante dal punto di vista intimo, più votata all'azione in cui messa in scena e tensione sono rese in modo apprezzabile. Tuttavia i momenti di stanca purtroppo non vengono totalmente azzerati, rendendo la storia a tratti farraginosa seppur mai banale nel porre l'accento su tematiche di scottante attualità. Strumentalizzazione, insabbiamenti e definizione di un confine inesistente tra obiettivo finale ed etica consentono al cast (Benicio del ToroJosh Brolin e Jeffrey Donovan ricoprono nuovamente i ruoli che avevano già interpretato nel precedente film, affiancati da Catherine Keener e Matthew Modine, nonché dalla giovane e bella Isabela Moner) di creare ingannevoli artifizi con consumata maestria. In vista del probabile terzo capitolo si lascia qualcosa di troppo in sospeso, insistendo inoltre su colpi di scena alla ricerca di un sensazionalismo di cui non si sente il bisogno. Soldado si lascia comunque apprezzare per solidità e coesione narrativa (efficacissima la colonna sonora di Hildur Guðnadóttir, la vincitrice dell'Oscar per quella composta per il film Joker), cesellato su uno script non proprio scorrevolissimo ma dalle rare sbavature, dopotutto la sceneggiatura è ad opera di Taylor Sheridan, lo stesso del Sicario originale, ma pure responsabile dei suggestivi Hell or High Water, e Wind River, qui pure regista, non uno qualunque insomma. Voto: 7

martedì 11 agosto 2020

Notte Horror 2020: Space Vampires (1985)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/08/2020 Qui - Anche se cascasse il mondo la Notte Horror sopravvivrebbe comunque, e continuerebbe a viaggiare nell'etere, a mietere vittime e chissà cos'altro. Al momento però è qui con noi mortali/blogger, ed è giunta alla sua settima edizione, la quinta mia personale (scorrendo di anno in anno a partire dallo scorso, Pet Sematary era il titolo scelto, potete leggere tutte le mie Notti), e continua ancora a richiedere horror di qualsiasi tipo, sia pellicole estremamente tamarre e trash, sia altre di buona qualità o comunque dei veri e propri cult. E in quest'ottica quale titolo più adatto che Space Vampires? Che queste quattro indicazioni le segue alla lettera? Conosciamo tutti la Cannon Films (e se non la conoscete forse è meglio così) e la sua vena realizzatrice di (s)cult, quindi non c'è da sorprendersi che tra centinaia di film prodotti in quel decennio folle (a cavallo di quelli Ottanta) qualcosa di buono potesse pure uscire. E quando il Trash diventa Cult, quando il B-Movie rimescola le carte in tavola ed allarga gli orizzonti dei cinefili più arditi, arrivano loro, sceneggiature geniali, virtuosismi splatter e non, idee rivoluzionarie (e spesso scabrose) ed in generale un approccio ispirato ed auto-consapevole alle potenzialità offerte dal low-budget. Lifeforce è eccessivo, sanguinario, popolato di corpi rinsecchiti che esplodono nella polvere, fasci di luce e donne nude (una, ma basta per tutte). Dalla fantascienza all'horror il passo è breve, dall'horror al catastrofico-epidemiologico il passo è un po' più lungo e si esagera un po', tuttavia Lifeforce non è privo di un certo fascino. La sceneggiatura (del veterano Dan O'Bannon, che è essenzialmente quella di un B movie: tante nudità, vampiri, zombie, apocalisse, molto ridondante in più di un passaggio) mal s'incastra con la regia (film con "fuochi d'artificio" nel tipico stile Cannon, forse non del tutto adatto alle abitudini meno rumorose del regista Tobe Hooper) generando buchi e passaggi poco logici, ma nel caos lo stile emerge, rimestando fieramente nel torbido e nella fantascienza di serie B. E solo i pazzi della mitica Cannon Films potevano investire 25 milioni di dollari in un film simile. Un film, un fanta-horror, sottostimato a torto, è infatti (a mio parere) un buon esempio di sci-fi horror. Datato sì, ma godibile.

mercoledì 5 agosto 2020

Yoga Hosers (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/08/2020 Qui - L'ultimo film (visto) di Kevin Smith, non il suo ultimo, anche perché è sempre attivo (non ho comunque ancora visto il Ritorno a Hollywood di Jay e Silent Bob), metaforicamente entra da un orecchio ed esce dall'altro, senza lasciar troppe tracce. Nonostante lo spirito giocoso del film (Yoga Hosers è trash certamente già dai suoi intenti), aspetto che lo rende impossibile da prendere sul serio, mi sia piaciuto parecchio, così come la trama abbastanza originale e assurda (la storia infatti racconta di come due ragazze, dopo essere state costrette a lavorare nel super-market la sera di una fantomatica festa, vengano prima attaccate da due giovani satanisti e poi da un misterioso gruppo di mini-nazisti canadesi), i dialoghi talvolta geniali, i vari cameo (alcuni fantastici, come Stan Lee al centralino), nonostante la pellicola mi abbia intrattenuto e divertito, nonostante tutto ciò, in generale, il film (secondo capitolo della trilogia "True North", iniziata con Tusk, che non ho visto, e che si concluderà con Moose Jaws, di prossima realizzazione) non mi è piaciuto un granché, soprattutto a causa degli effetti speciali terrificanti, mal realizzati, e dei piccoli irritanti, odiosi, esteticamente orribili e, anch'essi, mal realizzati (soprattutto quando esplodono) salsiccia-nazi che invadono il film nella seconda parte (veramente, appena apparivano, avevo solo voglia di spegnere il computer e non vederli mai più). Peccato perché all'inizio mi stava davvero piacendo, grazie soprattutto alle due protagoniste, due teenagers appassionate di yoga che insieme fanno faville, cinematograficamente e non solo. Le due giovani clerks già apparse nel precedente Tusk (che mi toccherà a questo punto vedere) sono interpretate da Harley Quinn Smith, figlia del regista, e da Lily-Rose Depp, attrice e modella figlia di Johnny Depp e Vanessa Paradis che hanno entrambi (francamente risibile quello di Lui) un ruolo nella pellicola (ragazzina che nel frattempo è cresciuta, e bene, come potrebbe notarsi vedendo L'uomo fedele). E insomma passo falso per Kevin Smith, perché anche se Yoga Hosers è una piacevole commedia grottesca, divertente e per certi versi surreale, rimane poco. Voto: 5

A Ghost Story (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/08/2020 Qui - Dalla Storia di un fantasma alla storia universale. Coraggioso il regista e sceneggiatore David Lowery (autore del sottovalutato Il drago invisibile e del bel Old Man & the Gun), il quale prende come premessa il topos narrativo estremamente abusato della coppia spezzata da una morte improvvisa e ne ricava un'interessante riflessione sul senso della sofferenza, del lutto, e su molto altro. Scegliendo un curioso formato di schermo (quadrato e con gli angoli arrotondati), quasi fosse un album di fotografie di un tempo che fu, il regista racconta per immagini, e con pochissimi dialoghi (e, va detto, con piani-sequenza da cinema d'autore e una lentezza quasi esasperante), una storia di fantasmi che non entra mai nel genere horror, nemmeno da lontano (anche se dell'horror utilizza l'archetipo più infantile che ci sia, cioè il classico lenzuolo con due fori all'altezza degli occhi, una idea che sulla carta può sembrare ridicola ma che nel film funziona), ed è piuttosto storia/film sull'incomunicabilità dell'amore (i due protagonisti sembrano non riuscirsi a parlare anche nelle poche scene dove li vediamo) e incomunicabile è il dolore e la rabbia e l'amore una volta che il fantasma entra in scena (bella e straziante la scena dove lei lascia la casa con lui che impotente la guarda andare via dalla finestra, senza poter far nulla). Ma il film del regista americano è anche e soprattutto un film sul tempo, l'immensità cosmica del suo trascorrere e dell'insignificanza umana rispetto alla totalità di esso. Un concetto assolutizzante e nichilista chiarito dal discorso nichilista durante la festa e dal ciclico ritorno del tempo. Lo spettatore deve subire i ritmi lenti e ragionati del regista (movimenti di macchina ridotti all'osso, verrebbe da dire "macchina fantasma") ma viene messo (anche grazie alle musiche azzeccate per il tipo di mood che si vuole trasmettere) le condizioni emozionali di partecipare a questa storia d'amore che finita sembra continuare per la presenza del fantasma. E spesso il regista ci fa guardare le cose attraverso la soggettiva dello spirito e ci rende partecipi del suo dolo inesplicabile. Detto ciò, non si può chiudere un occhio sull'eccessiva pesantezza della prima parte di film che, seppure si giustifichi concettualmente, dà solo l'impressione di vedere Casey Affleck (comunque sottotono) e Rooney Mara sprecati. Ma al di ciò, bel film è questo, un film intelligente che, rappresentando in una chiave originale problemi filosofici desueti, spinge a porci delle domande che non hanno risposta. Un film minimalista e suggestivo da vedere quindi, soprattutto se volete "altro", e non importa che nel genere horror questo film, comunque inclassificabile in una categoria di genere, non dovrebbe stare (men che meno in questa piccola "festa"), Storia di un fantasma è cinema, nulla gli importa dell'intrattenimento, va visto. Voto: 7

One Cut of the Dead (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/08/2020 Qui - Ci sono pellicole probabili cult, ed altre destinati inevitabilmente a diventarlo: Zombie contro zombie, traduzione italiana che va contro i diritti umani (ed anche contro l'essenza stessa della pellicola e del suo essere non esattamente o totalmente horror) del film giapponese One Cut Of The Dead, appartiene di sicuro alla seconda categoria. Lo fa riuscendo a estrarre da un frutto abusatissimo (lo zombie movie) un succo originale e gustosissimo, finzione e realtà che si intersecano in un meraviglioso effetto metacinematografico pieno di inventiva e divertentissimo dal punto di vista puramente comedy (la premessa, ovviamente, è da film horror ed è proprio a un horror, molto ironico, che assistiamo nella prima mezz'ora di visione, ma la restante ora, senza dire troppo, è altro: altro genere, altro linguaggio, altre idee che trascendono l'horror per riflettere sul cinema e sul modo di fare cinema indipendente). Un film nel film nel film. Tre film in uno, o meglio lo stesso film raccontato da tre prospettive diverse, distinte e consanguinee, come una ripresa che si allontana sempre un passo in più per mostrarci ciò che si nasconde "dietro" a un film. One Cut of the Dead è infatti un film sulla realizzazione di un film sugli zombi. Che detta così potrebbe anche suonare come una descrizione poco invitante, ma l'energia e l'inventiva con cui il regista (quello reale) Shinichiro Ueda ha confezionato One Cut of the Dead lo rende un film irresistibile, oltre che unico nel suo genere. Con un cast di perfetti sconosciuti, tutti dannatamente in parte e con personaggi scritti con intelligenza, One Cut of the Dead mescola così stili e si riempie di idee al punto tale da dar vita, appunto, a un film completamente folle, per certi versi anarchico, a cui è impossibile non voler bene. Un piccolo grande film che ha saputo fare di necessità virtù (visto il budget misero che aveva a disposizione), senza lesinare in quanto a trovate geniali e tocchi stilistici che rimangono impressi. In tal senso, dal punto di vista registico impressiona il lungo piano sequenza iniziale, della durata di ventisette minuti, che è solo l'anticamera verso le abilità di un cineasta poliedrico e versatile, Ueda Shinichiro, classe 1984, del quale sentiremo ancora parlare. E insomma, date fiducia a questo film, è una piccola genialata. Voto: 7

I Saw the Devil (2010)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/08/2020 Qui - Un tema caro al cinema asiatico, quello della vendetta, un tema che ciclicamente ritorna, e così dopo il giapponese Confessions, eccone un altro (dello stesso anno), direttamente dalla Corea del Sud, ed ancora una volta non si rimane (almeno personalmente) delusi, anzi, sorpresi da uno sconvolgente ed esplosivo thriller (a tratti sconfinante nell'horror) a base di vendetta, composto da 140 minuti di pura adrenalina, come questo qui. Un film sulla vendetta piuttosto serrato e reso accattivante dalla buona regia di Kim Ji-woon, supportato da maestranze tecniche di alto livello (regia, fotografia, audio, tutto dove deve stare), in cui niente che accade è scontato e lo spettatore non ha mai modo di anticipare gli eventi. Solo nel primo quarto d'ora, una pioggia urticante di immagini e sequenze da incubo, e poi un girone infernale di vendetta e follia che non dà respiro. I Saw the Devil inizia infatti là dove molti film analoghi finiscono, perché, una volta trovato il colpevole, il poliziotto mette in opera una vendetta privata a puntate di eccezionale ferocia (una caccia gatto contro topo), di cui però saranno anche altri a pagarne le conseguenze. In tal senso il film presenta momenti piuttosto crudi, anche se perfettamente inseriti in un contesto narrativo che ne richiede (prepotentemente) la presenza. Proprio in forza dei momenti spietati, messi in atto da un malvagio senza scrupoli, il finale catartico (e altrettanto cinico, anche se praticato sul versante della vendetta) raggiunge picchi di esaltante liberazione. I Saw the Devil (letteralmente Ho visto il diavolo) fa più volte riflettere sul senso di giustizia e sull'inutilità della cieca vendetta. Concetto, quello del "dente per dente", che talvolta continua a produrre sofferenza e dolore, senza porre rimedio al patimento di chi ha subito ingiustizie. E ci riesce grazie alla potente sceneggiatura, tanto ben congegnata da far passare sopra i difetti, quali qualche incongruenza e alcune forzature, e qualche sequenza piatta o "punto morto" dove la tensione scema. Un film insomma amaro e disturbante, soprattutto riuscito, che seppur potrebbe risultare lungo (ma fa parte del disegno totale della storia), non si dimentica facilmente. Non ci si dimentica soprattutto della prova degli attori, se bravo è Lee Byung-hun, ancor di più Choi Min-sik, già immenso in Old Boy, che nel repellente suo ruolo è formidabile. Voto: 7

Starry Eyes (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/08/2020 Qui - Fino a dove saresti disposto a spingerti per ottenere ciò che desideri di più? Questa la semplice domanda che si trova alla base di Starry Eyes, horror diretto dalla coppia Kevin Kölsch e Dennis Widmyer, quelli del remake di Pet Sematary e in due segmenti di Holidays (uno come sceneggiatori e l'altro come registi). A dare risposta ecco perciò Sarah, una giovane aspirante attrice che vuole sfondare nel mondo di Hollywood, ma casting dopo casting l'opportunità sembra svanire del tutto, fino alla comparsa di un'offerta strana quanto allettante, inutile dire che da questo momento la vita di Sarah non sarà più la stessa. Starry Eyes si presenta come un horror caratterizzato da un lungo incipit sornione e contemplativo della sua statuaria, bella protagonista, resa con appassionata versatilità dalla bella (e brava) Alex Essoe. Poi, improvvisamente, il film, dopo oltre 3/4 di svolgimento, reagisce quasi impazzendo, e con una brutalità improvvisa e preventivata, scandendo un ritmo indiavolato ove i fendenti mortali si consumano con un realismo che mette davvero inquietudine. Si termina la visione frastornati, ma in fondo piacevolmente impressionati da un horror che crea attese prima, ed angosce dopo, e che rimane sospeso, quasi ostaggio tra gli istinti animaleschi che animano il profondo sconosciuto di ognuno di noi, e una perversione da patto satanico che la storia suggerisce, senza volerne sondare i dettagli, e pertanto lasciando fumosa, ma stimolante l'incognita centrale della diabolica macchinazione che garantirà alla protagonista un futuro da diva di prima grandezza. Ovvero  una sorte favorevole, fantasmagorica, altrimenti negatale da un percorso improbo ed ingiusto che non riesce a privilegiare semplicemente la meritocrazia, ma che necessita che il prescelto venga a patti con un compromesso decisivo e senza via di ritorno. Un insolito, interessante modo per indurre a far trattare, da parte di un horror apparentemente di puro appeal commerciale, argomenti anche civicamente e socialmente pregnanti come la gestione del proprio successo, e la capacità dio scendere a patti di fronte ad un compromesso pesante ma inevitabile. Il risultato complessivo non è comunque così eccelso, anche perché non è un film privo di difetti, didascalico nella scrittura dei personaggi diabolici (accettabili solo secondo un'ottica ossessiva che rende incapace la ragazza di intendere), scontato nella definizione del compromesso come unico mezzo, Starry eyes tuttavia non delude, anzi. Voto: 6,5

Murder Party (2007)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/08/2020 Qui - Un film che ha le premesse per un film splatter vecchia maniera alla Peter Jackson, ed in parte lo è nella mattanza finale, ma soprattutto è una commedia grottesca al vetriolo sulle velleità di un gruppo di presunti artisti strambi newyorchesi (tra questi Stacy Rock e Macon Blair, entrambi hanno già lavorato precedentemente con il regista) che cercano di fare arte unendo il tornaconto economico. La vittima designata, il protagonista Christopher (efficace Chris Sharp nelle sue vesti), assiste legato ed impotente ad uno stillicidio di dialoghi taglienti e fuori di testa, ovviamente alterati ulteriormente dall'abbondante uso di sostanze stupefacenti. Un Jeremy Saulnier al suo esordio diverso dalle sue successive pellicole, che mette in evidenza maggiore la sua vena ironica e sarcastica. Prima di Green Room, di Blue Ruin e Hold the Dark (entrambi non visti), egli ha infatti realizzato questo piccolo film, in cui si scaglia contro i finti intelletualoidi e falsi artisti da strapazzo. Murder Party è una di quelle pellicole misconosciute e da riscoprire, indipendente, quasi amatoriale e non per tutti, uno di quei film che potrebbe far impazzire il cinefilo più spinto, perché pieno di dialoghi e situazioni assurde, quest'ultime sempre più frequenti con il passare del tempo, perché nella parte finale si arriva a discrete dosi di splatter ed a folli uccisioni. Peccato che nel finale si veda un po' la mancanza di un budget che dire misero è poco. Murder Party dura solo 74 minuti e alla fine ne vale la pena, però come detto, non è per tutti. Voto: 6