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venerdì 29 marzo 2024

Saltburn (2023)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/03/2024 Qui - Girato bene e con una fotografia ammaliante che esalta le belle scenografie, cosa che da subito aggancia lo spettatore nonostante una sceneggiatura non proprio precisa che si capisce subito dove voglia andare e quando ci arriva non soddisfa appieno. Bravissimo Barry Keoghan (come ne Il Sacrificio del Cervo Sacro, il suo personaggio è inquietante, disturbante/disturbato, estremamente furbo, manipolativo e sottilmente sopra le righe), alla guida di un cast in stato di grazia, punto in più a favore del film, che colpisce più per loro che per i dettagli fintamente morbosi (compresa la sequenza finale) inseriti a forza per farne parlare (con profitto). Un cinema curato, molto estetico, ma vacuo quando si ripensa a tutte le svolte. A differenza di Una donna promettente che, ricordo, aveva un qualcosa di davvero insolito e innovativo (a sua stessa volta diretto da qui presente regista Emerald Fennell), qui si mescolano un po' le carte di vari cliché. Tuttavia tirando le somme il film mi è piaciuto, anche se non credo meriti tutto questo clamore che lo sta circondando. Voto: 6 [Prime Video]

martedì 31 agosto 2021

L'ora più bella (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Their Finest (tratto dal romanzo Their Finest Hour and a Half di Lissa Evans e ribattezzato in italiano L'ora più bella, da non confondere con L'ora più buia, anche se paradossalmente di Dunkerque si parla ugualmente) propone un soggetto interessante: la macchina del cinema durante il periodo bellico. La curiosità di osservare l'impostazione di certe pellicole in un momento difficile come quello della guerra, per farsi anche veicolo di propaganda. Un film (a metà tra il dramma e la commedia, regalando massicce dosi di emozionalità, non solo amorosa) che ha nella coralità del cast il suo punto forte, Gemma Arterton e Bill Nighy in primo luogo. Un film (diretto da una regia senza grosse pecche, da Lone Scherfig) mai retorico o sopra le righe (cosa per niente scontata quando si ha come sfondo la guerra), che tratta inoltre con intelligenza la tematica dell'emancipazione femminile. Però è un film che sembra perdere il suo punto focale in sotto-trame ridondanti e poco utili rispetto alle aspettative del soggetto iniziale. Si lascia guardare con piacere, ma nulla di più. Voto: 6

lunedì 11 gennaio 2021

Star Wars: L'ascesa di Skywalker (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/01/2021 Qui - L'epopea di Guerre Stellari si conclude (forse) con questo nono capitolo che per la verità non mette in campo molte idee originali, rimasticando situazioni già viste, riesumando personaggi come Palpatine che avevano ormai già dato tutto alla causa e guarnendo il tutto con camei fuori contesto degli eroi della prima saga. Ce n'è abbastanza per far spazientire anche il fan meno oltranzista (incongruenze e sbalzi improvvisi) eppure in un modo o nell'altro (che per la Disney significa inseguimenti, battaglie ed effetti speciali a profusione) un minimo di spettacolo è garantito. Proprio un minimo perché il film non è destinato a passare alla storia come capolavoro del genere, neanche lontanamente. Do la sufficienza solo perché sono affezionato alla saga e comunque a livello tecnico e visivo appunto funziona tutto. J. J. Abrams comunque delude, forse aveva poco tempo a disposizione, ma la sensazione è che abbia cercato di rimediare alle soluzioni introdotte da Rian Johnson e non concordate (dell'Episodio VIII), peccato che lo faccia male. Voto: 6

venerdì 14 agosto 2020

Copia originale (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/08/2020 Qui - Un film che in fondo si basa sul principio di offrire ciò che è nei desideri dei nostri interlocutori. Come in un film dalle dinamiche simili come The Hoax, il falso diventa vero perché vogliamo che sia vero, lo desideriamo. E dalla mente e dal talento non riconosciuto di una scrittrice respinta dai salotti buoni di una New York infida e pronta a divorarti, ecco che parte un percorso di riscatto personale dove la sua arte e la sua arguzia da misantropa trova terreno fertile. Basato su una storia vera da cui è stato tratto il romanzo: Can You Ever Forgive Me scritto dalla stessa Lee Israel, il film di Marielle Heller ci mostra il ritratto di una donna irascibile quanto adorabile e biecamente fiera di essere solitaria ma soprattutto ci fa riflettere sul potere della scrittura e sulla capacità duttile di modificar la realtà, fittizia, grazie all'estro artistico che spesso non fa rima con fama. Una regia accurata disegna inoltre con efficacia i luoghi chiave della sua parabola discendente nel milieu letterario newyorkese. La sceneggiatura, candidata all'Oscar insieme ai due attori principali (in tal senso, Melissa McCarthy finalmente fa vedere il suo talento in una parte drammatica dopo tante commedie, alcune dimenticabili, la sua lingua è sempre tagliente, ma in maniera diversa, Richard E. Grant un buon compagno di viaggio), non è perfetta, ma una cosa fa bene, rende gradevole una truffa, anche se, più che il divertimento legato alla spudoratezza dell'impresa e alla suspense per il rischio che i due corrono ogni volta, ci fa sorridere la sotterranea soddisfazione con cui la protagonista, lavorando a questa attività truffaldina, valorizza (nel gioco della simulazione) la sua competenza di biografa e la sua capacità di scrittura, trascinandoci involontariamente dalla sua parte. E così non possiamo non essere dalla sua parte quando fa pagare un prezzo ad interlocutori non propriamente innocenti. Perciò al titolo originale "Can You Ever Forgive me?" vien da rispondere: Yes, we can. Lento, ma buon film. Voto: 6,5

venerdì 27 settembre 2019

Lo schiaccianoci e i quattro regni (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/09/2019 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico del racconto Schiaccianoci e il re dei topi di E. T. A. Hoffmann e del balletto Lo schiaccianoci di Pëtr Il'ič Čajkovskij.
Trama: Una ragazzina in crisi per la morte della madre si trova a vivere un'avventura mirabolante in un mondo di fantasia, dove i giocattoli prendono vita.
Recensione: L'effetto Alice attraverso lo specchio (in senso narrativo e non solo di riuscita complessiva) era dietro l'angolo e, infatti, Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni (che in termini di ispirazione tuttavia prende anche da Narnia) ci è caduto con tutte le scarpe. Diretto da Lasse Hallström (e per trentadue giorni di riprese aggiuntive da Joe Johnson) l'ennesimo maestoso film della Disney si rivela essenzialmente come uno dei giocattoli di cui parla: eccepibile nella sua forma estetica, ma vuoto se si va a scrutarne l'interno. Con una consequenzialità che si rincorre veloce nel racconto, dove gli eventi accadono con una fluidità che però non sembra giovare alla narrazione, rendendola soltanto più fanfarona, Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni presenta un problema già nel proprio titolo, in contrasto con la realtà della propria storia. Non c'è schiaccianoci dentro questo film. O meglio c'è, ma la sceneggiatura va concentrandosi principalmente sulla figura di Clara, riducendo la pellicola ad una sola elaborazione del lutto e della presa di coscienza, escludendo tutte le dinamiche tra la protagonista e il suo compare che rendono veramente intrigante la storia de Lo schiaccianociMackenzie Foy non aiuta poi a supportare questa decisione del racconto. La giovane attrice statunitense non sa tenere sulle proprie spalle il fatto di dover vestire i panni del personaggio principale, riservando una recitazione che mostra dell'incapacità, partendo fin proprio dalle espressioni del voto. Non è però l'unica a dover rivedere il proprio operato all'interno del film. Una Keira Knightley nelle vesti violette di Fata Confetto dà, probabilmente, la sua peggior interpretazione, fatta soltanto di faccette da macchietta che sembrano oscurare la bravura che solitamente la contraddistingue. Sarà per una libertà troppo fantasiosa del film (questa è infatti una versione molto libera, cioè molto diversa, dal racconto Lo Schiaccianoci e il Re dei Topi di Ernst Hoffmann del 1816 e dalla versione successiva, e meno "horror", di Alexandre Dumas da cui fu tratto il celebre balletto con le musiche di Tchaikovsky, del racconto originario il film mantiene l'ambientazione natalizia e poco altro), sarà per una direzione incorretta degli attori, ma Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni sembra andar peggiorando di man in mano più si procede verso la fine, dove forse l'unica possibilità di riscatto è possibile trovarla nei costumi e nella scenografia. Se si fosse scelto di silenziare il film, Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni avrebbe sicuramente rimediato in meraviglia. Risulta infatti irresistibile il designer delle scene e l'arredo che brilla e fa brillare gli ambienti in cui vengono introdotti i personaggi, i quali indossano alcuni tra gli abiti più sfarzosi e minuziosamente elaborati che il cinema abbia visto in questi anni. Uno stupore suscitato dall'incanto per la superficie che non trova riscontro con la sostanza, che può consolarsi visto il suo risplendere in costumi "da favola". Una notte di Natale senza un vero e proprio dono, solo un grande meccanismo cinematografico che stavolta non ha saputo trovare la forza di splendere, se non solo esternamente.

sabato 8 giugno 2019

Come ti ammazzo il bodyguard (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/09/2018 Qui - La trama di Come ti ammazzo il bodyguard (The Hitman's Bodyguard), film del 2017 diretto da Patrick Hughes, si rivela misera, ma viene sorretta da uno spettacolo pirotecnico che pesca a piene mani dai thriller Buddy-movie degli anni '90. Com'è facile intuire infatti, il tutto riconduce a uno stile simile a quello di Arma Letale o anche a Die Hard 3, che vedeva lo stesso Samuel L. Jackson (qui protagonista indiscusso) affiancare Bruce Willis. In questo senso, il film non tradisce le attese: ci sono talpe infiltrate nei ranghi della polizia, siparietti comici, scene d'azione a suon di musica e continui cambi di location in giro per il mondo. Come ti ammazzo il bodyguard difatti, un film d'azione divertente e leggero al contempo, un action movie on the road basato principalmente sull'intesa tra i due protagonisti, che non si risparmiano battute al vetriolo e colpi bassi, per arrivare poi a una sorta di alleanza e amicizia non convenzionale, svolge bene il suo lavoro, diverte e intrattiene il pubblico, anche se con tante, forse troppe, scene d'azione. E in tal senso seppur Come ti ammazzo il bodyguard (la fantasia dei titolisti italiani non ha limite, ormai comincio a volergli bene, sono chiaramente persone con problemi) percorra tutte le tappe previste dai film di genere (con una sceneggiatura fin troppo lineare e prevedibile che racconta della classica coppia che scoppia che deve raggiungere, tra inseguimenti e sparatorie, il Tribunale dell'Aia per testimoniare in sfavore di uno spietato dittatore), e senza oltretutto brillare in alcunché, alcuni spunti interessanti lo fanno apprezzare. In primis la contrapposizione tra Bryce, guardia del corpo i cui clienti sono perlopiù criminali, e Kincaid, un killer con una sua morale che accetta solo lavori in cui il bersaglio sia un criminale, ma soprattutto la sua sfrontata voglia di non prendersi mai sul serio (in tal senso il poster che cerca di scimmiottare, a tratti, Guardia del Corpo del 1992 con Kevin Costner e Whitney Houston, conferma la leggerezza del film), che è la carta vincente di una pellicola altrimenti destinata a farsi dimenticare appena conclusa.

martedì 7 maggio 2019

Logan: The Wolverine (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/02/2018 Qui - Cala, dopo 18 anni, il sipario su uno dei personaggi più interessanti ed amati della Marvel ma soprattutto degli X-Men, Wolverine alias James "Logan" Howlett, che per l'ultima volta viene interpretato da Hugh Jackman. Un sipario che viene però calato in modo davvero anticonvenzionale in Logan: The Wolverine (Logan), film del 2017 co-scritto e diretto da James Mangold. Il capitolo conclusivo della trilogia con l'attore australiano è infatti un film commovente, violento e adulto che rimette in discussione il linguaggio dei cinecomic. La pellicola difatti, che inizia inserendo fin da subito toni cupi, drammatici, maturi e brutali come mai siamo stati abituati da un film della saga, e continua introducendoci in un mondo che non siamo abituati a vedere in un cinecomic, dove fin dal primo piano sequenza si percepisce l'esplicita violenza che ci accompagnerà per tutto il film, ci trascina in un viaggio tra il western e l'orrore più viscerale. Giacché con Logan, non siamo di fronte al classico film Marvel, ma a un'opera matura (tragica, amara, disperata persino, ma soprattutto estremamente violenta), che parla di crisi e decadenza, di nichilismo e speranza. Spingendosi ben oltre Deadpool, soprattutto nei toni, il film, sicuramente una sorpresa nel panorama dei cinecomic degli ultimi anni, si getta a capofitto in una nuova dimensione, più adulta, decidendo di proporre qualcosa di nuovo non tanto dal punto di vista delle tematiche ma del modo in cui vengono trattate. Qualcosa che non si è mai visto prima nel filone dei supereroi cinematografici, a meno di non ricercarlo in prodotti di nicchia come Kick-Ass. Mai in un film della "Casa delle Idee" infatti era stata proposta una versione così abbattuta e rassegnata di un supereroe. Mai era stata offerta una visione così tetra e oscura del mondo, mai era stata così pregnante ma soprattutto tangibile, nell'aria, l'idea di una morte imminente. Certo, tanto di questo è già stato detto nel Cavaliere oscuro di Nolan, giusto per fare un esempio, e certo, lo spettatore più smaliziato potrebbe di conseguenza sostenere che non si tratta dunque di niente di poi così innovativo, ma per un "film di supereroi" e, in particolare, per un film della Marvel, è qualcosa di mai troppo scontato.