domenica 31 ottobre 2021

Movies for Halloween: Hubie Halloween (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/10/2021 Qui - In tutta sincerità mi aspettavo un film diverso, un film che non prendesse il genere horror da un senso lato, ma direttamente, tuttavia non mi è dispiaciuta questa commedia, e non ne rimpiango la scelta (nonostante sperassi davvero in qualcosa di più). Una commedia grottesca con un po' di "umorismo nero" che rimane però sempre ben salda nel genere comedy, e in questo senso Hubie Halloween (diretto da Steven Brill) è un film decisamente più adatto alle famiglie, anche perché la comicità non tocca (quasi) mai lo scurrile, che ad altri, ma sicuramente è un prodotto da guardare senza troppe aspettative. E certamente è un film anch'esso perfetto (nonostante l'elemento primario mancante) per la notte delle streghe, in quanto della notte di Halloween il film ne sviscera le "componenti". Si tratta infatti, ed è soprattutto questa, una gustosa parodia della cinematografia di questo periodo. C'è difatti tutto il mondo Halloween all'interno del film. Di un film, un caleidoscopio di cult dell'orrore (si ricalcano classici, parecchi classici, c'è pure qualcosina proveniente direttamente dall'anno scorso, ovvero da Trick 'r Treat), che racchiude tutto l'immaginario della festività. A conti fatti un compendio della Storia di Halloween in quanto cita, e sovverte in chiave (appunto) parodistica, tantissimi elementi cardini della celebrazione. Tanto che, più che una commedia, Hubie Halloween, ennesima collaborazione tra il colosso Netflix e la casa di produzione di Adam Sandler qui protagonista (tuttavia questa la prima volta che mi ci imbatto, è il primo film che vedo), è una vera parodia citazionista delle più note situazioni di horror famosi, con uno stile spiazzante e volutamente da B movie. Rivedibile certo, sotto diversi punti di vista, ma nell'insieme godibile e leggero.

mercoledì 27 ottobre 2021

Il giardino delle parole (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Un'opera, una storia, minimale (e breve) ma molto intensa. Un'opera meno trascinante e articolata (era suddivisa in tre episodi incentrati su tre momenti diversi della vita dei due personaggi principali) di 5 centimetri al secondo (di cui tuttavia, vista la durata di 40 minuti, poteva tranquillamente farne parte), ma ugualmente e come d'abitudine per il regista Makoto Shinkai, sempre esemplare nel mettere in sinergica musica e immagini, nella scansione ritmica che si accorda alla ciclicità delle stagioni (la pioggia: accadimento naturale o fenomeno esistenziale?), è un altro valido tentativo di esplorare i paesaggi interiori attraverso il linguaggio degli anime. Egli nelle sue opere chiaramente ha deciso di indagare le mille sfumature degli amori impossibili, contrastati, improbabili, ma che nascono in qualche modo magico e, tragicamente, dolorosamente, sono costretti a svanire o, forse, a cominciare davvero. Diversamente ma meglio che in Viaggio verso Agartha od Oltre le nuvole, il luogo promessoci quindi, ne Il giardino delle parole riesce, incarnando le sue idee di fare animazione, a renderci partecipe di una storia d'amore non convenzionale ma sincera (tra insegnante e alunno). Pare quasi di esserci in quel giardino, le cui meraviglie, dipinte al variare delle stagioni (di cui sopra), evocano i sentimenti e le emozioni dei personaggi, e di riflesso le nostre. Arrivati ai titoli di coda si ha la piacevole sensazione d'aver respirato quarantasei minuti d'aria pura. Certo, manca di introspezione psicologica, ci sono sia i soliti pregi che i soliti difetti delle opere del regista giapponese, che qui oltretutto quasi si ripete narrativamente e non solo, ma a conti fatti un buonissimo prodotto. Voto: 7

La casa di Jack (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Dopo aver spiazzato il pubblico con Nymphomaniac, apologia del sesso, e prima ancora con Antichrist (ultimo suo film visto), suggestione e simboli, Lars Von Trier prova a scuotere nuovamente pubblico (e critica) con un film sulla violenza umana, incarnata nel folle Jack, serial killer autore di oltre 60 omicidi efferati. Ci riesce, ma solo in parte, difficile esprimere però un giudizio chiaro. Perché un film del genere è quasi incommentabile. Lo sforzo di ricerca, di accurata scelta dei simboli e dei richiami presenti all'interno di questo lavoro è talmente (e palesemente) enorme che non credo molti se non Lars Von Trier stesso sarebbero in grado di analizzarlo come merita. Per questo, mi sento di poterne parlare solo in base all'esperienza di visione, al di là di tutto. Ho trovato La casa di Jack un film molto, troppo auto-celebrativo, con delle grandi idee dietro e una direzione artistica innegabile, che cade però vittima sia del marketing assolutamente sbagliato (sembrava dovesse essere un torture porn inguardabile, quando in realtà c'è ben poco di così macabro) sia di un ritmo altalenante che in alcune parti lo rende quasi soporifero (la lunghezza esorbitante non aiuta). In ogni caso, i venti minuti finali sono così brillanti e poetici che eleverebbero anche i peggiori film a un livello superiore. Inusuale, particolare, con i suoi inciampi, ma che resta piuttosto impresso (simpatiche le canzoni usate come colonna sonora), La casa di Jack è un film riuscito (impeccabile tutto il cast, compreso Matt Dillon), ma non è un capolavoro assoluto. Voto: 6

Death Race 2050 (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Ci sono film che sono intenzionalmente così brutti da diventare divertenti, ma questo sicuramente non è uno di quelli. Death Race 2000 di Roger Corman (prodotto da) era tutta un'altra storia, una bellissima storia. Diretto nel 1975 da Paul Bartel aveva David CarradineSylvester Stallone e persino John Landis. La premessa vedeva un futuro distopico in cui investire con macchine bizzarre è sport nazionale, ed era divertente come sembrava. Questo sequel/reboot/remake (perché non si capisce cos'è, tra tagli, cambiamenti e quant'altro) è praticamente la stessa cosa, solo più stupido, più moderno, nettamente peggiore, ma per certi versi attuale in modo abbastanza tragico. Laddove le auto sembravano davvero pericolose, qui sembrano piuttosto le creazioni di un bambino, e non impressionano per niente. I costumi sono roboanti e tutti i personaggi del film (interpretati male da tutto il cast, comprendente volti noti e volti meno noti) sono così esagerati da irritare (soprattutto uno). Si può vedere chiaramente che le scene d'azione sono state tagliate. Anche gli effetti sono ridicoli. Perché va bene che Death Race 2050 è una produzione B a basso budget in cui tutto è ritratto nel modo più semplice ed esagerato possibile, ma qui si è andato oltre. In questo film, diretto dallo sconosciuto G.J. Echternkamp, va praticamente tutto storto. Dopo i primi 10 minuti la noia, la prevedibilità e l'ovvio prendono il sopravvento. Ripetitivo, deludente e scadente, in confronto all'originale meno onesto, in più pochi culi e tette. Per gli appassionati di trash. Voto: 3,5

Honeyland (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Qualche dubbio sulla sincerità complessiva dell'operazione ma il documentario (candidato per il miglior film internazionale e il miglior documentario agli Oscar 2020) ci svela, con una fotografia spesso emozionante, una realtà remota e sconosciuta. Un film sulla dignità che vive nella povertà. C'è chi decide di rimanere umano, di trovare sempre del bello. La nostra protagonista è adorabile, ama tutto, ama sua madre, la natura, i suoi animali, ama anche chi le fa del male. E la natura avverte questo amore, sembra immune a tutto, soprattutto messa in comparazione con l'altra famiglia. Può essere solo l'uomo a farle del male (perché dai su, tutti abbiamo i vicini rompiscatole). Ecco, in questo caso, ma non solo (ci sono infatti alcuni dettagli che lasciano perplessi), la sceneggiatura sembra scritta esattamente come per un film di finzione (il fortuito sopraggiungere di una famiglia nomade, fatto che peraltro innesca l'ossatura della narrazione, senza la quale il film avrebbe finito per risultare più descrittivo che narrativo, potrebbe non essere così fortuito). Eppure il documentario è visivamente bello e sono certo che racconti una realtà inesplorata che dove non è vera è probabilmente verosimile. Diretto da Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov, al loro esordio alla regia di un lungometraggio, Honeyland o Medena zemja dir si voglia (in quest'ultimo caso in originale della lingua della Macedonia del Nord), è sicuramente un documentario interessante, forse troppo flemmatico, ma comunque consigliabile, se non a tutti, agli appassionati del genere. Voto: 6

Sotto il sole di Riccione (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Se è vero che ne potevamo fare a meno, è anche vero che non è affatto uscito male il primo film scritto da Enrico Vanzina senza il fratello Carlo in cabina di regia. Un ritorno alle origini per segnare una nuova ripartenza, in solitaria, lungo le storie della commedia leggera italiana. Forse un film superficiale, non coraggioso, troppo leggero da non essere consistente se non grazie alle caratterizzazioni di alcuni attori, ma certo non è uno scempio. Semplicemente una commedia dinamica e senza pretese, una commedia giovanile che strizza l'occhio a Sapore di mare, pur mantenendosi su un livello decisamente inferiore. Le vicende sono semplici e scontate ma il film ha il pregio di scorrere senza problemi, grazie a un cast di giovani attori che si impegnano (alcuni/e molto interessanti). Ci sono anche Andrea Roncato (in un ruolo malinconicamente credibile), Isabella Ferrari e Luca Ward (quest'ultima la coppia la più debole, quella nell'economia del film meno interessante e più forzata, con il grande doppiatore che attore non è, e si vede).  Il finale con concerto sa di esagerato e poco credibile, ma ci sta e si può perdonare. Mezzo punto in più per le belle musiche dei Thegiornalisti. Tutto sommato, il film (prodotto da Netflix), malgrado gli stereotipi e alcuni risvolti inverosimili, è godibile, sebbene non meriti affatto di essere visto una seconda volta. Voto: 6

A Girl Walks Home Alone at Night (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Discreta prova d'esordio per la regista (anche sceneggiatrice, finanche qui attrice) Ana Lily Amirpour, che tratteggia con efficace semplicità una storia inedita basata sul tema arciabusato del vampirismo. Dove la protagonista si aggira notte tempo in una immaginaria città iraniana (in realtà città americana) nutrendosi senza remore di umani spregevoli o emarginati, ma capace di provare sentimenti, quali l'amore. Orrore e romanticismo sono miscelati sapientemente, e seppur accennato funziona anche il tema dei giovani soli ma internamente vivi verso gli adulti allo sbaraglio ormai cadaveri inconsapevoli. Azzeccata la leggerezza con cui sono mostrati i lati oscuri della città (la fossa di cadaveri a cielo aperto), e la mancanza di scene forti una tantum non è un limite. Molto ben diretti i protagonisti, la donna/mostro è benissimo interpretata da Sheila Vand (era in The Rental). Discreti sia il b/n che le musiche, funzionali e mai invadenti. Per quanto riguarda i difetti, A Girl Walks Home Alone at Night stecca sotto il profilo del ritmo (a tratti macchinoso) e per svariate scelte narrative eccessivamente astruse che denotano una certa artificiosità in fase di scrittura, un peccato forse di inesperienza, comunque perdonabile. Dunque un prodotto interessante, una commistione di generi che rispetta il classico riproponendolo in una veste nuova. Voto: 6,5

Loro (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Visionando la versione unica di Loro, ho avuto la conferma del livellamento verso il basso delle ultime opere (cinematografiche) di Paolo Sorrentino. Non che le precedenti, compresa La Grande Bellezza, di cui questo film sembra andare sulla stessa linea (sulla corruzione e decadenza dell'ambiente e della classe politica), fossero ben migliori. Loro mi è sembrata una pellicola pretenziosa, sicuramente dal soggetto interessante e affascinante, ma altalenante nello sviluppo di una sceneggiatura che alterna cose buone ad alcuni momenti un po' forzati e non riusciti. Il personaggio di Berlusconi (è Toni Servillo ad interpretarlo) mi sembra eccessivamente una maschera, lo stile mi è sembrato troppo sul farsesco/commedia mentre avrei preferito qualcosa di più concreto, cinico e accattivante. Dalla commedia, alla parodia un po' pecoreccia, al mélo romantico, al tono vagamente esistenzialista dell'uomo solo, Loro non riesce mai veramente a trovare la quadra del proprio sguardo (irricevibile il profluvio di donne seminude). In generale però questo biopic "sui generis" intrattiene a dovere e la versione unica è probabilmente il prodotto migliore, invece dei due film usciti a scopo commerciale (a mio avviso è stata una zappata sui piedi). A parte Elena Sofia Ricci che non offre una buona prestazione (anche se sorprendente è il suo "spogliarello"), interpretazioni generalmente discrete, niente di memorabile, in linea con la qualità generale del film. Di un film non da buttare, ma che mi sembra un "già visto" e che non dice niente di troppo interessante. Voto: 6

Harriet (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - The Birth of a Nation12 anni schiavoDjango Unchained, giù giù fino a Il colore viola: il filone è quello. Storia vera di Harriet Tubman che, nata schiava, scappa iniziando una battaglia che porterà alla liberazione di centinaia di altri schiavi. Un buon film, che purtroppo paga i suoi difetti. Se la storia ha infatti il pregio di dare risalto a un personaggio storico facendolo uscire dai confini americani, la messa in scena non osa granché e si affida a una scansione del racconto molto tradizionale attraverso immagini convenzionali. Tutto è da copione nella visione della Kasi Lemmons (per lo più attrice, era in Candyman), bene e male sono facilmente riconoscibili e non messi in discussione e l'assenza di dubbi impedisce un coinvolgimento emotivo, perché non si teme davvero mai per la sorte della protagonista, eroina senza macchia e senza paura guidata dai suoi ideali e dalle visioni mistiche (per cui fu soprannominata Mosè) che la aiutano a evitare i pericoli e a superare con successo ogni difficoltà. La carne al fuoco potrebbe quindi essere tanta, ma sceneggiatura e regia si limitano a illustrare la vicenda senza scalfire l'icona e non dando risalto alle ombre che potrebbero infondere verità alla cartolina. Se l'intento didattico quindi è raggiunto, l'agiografia non si scampa e il cinema sonnecchia. Un valore aggiunto è dato dall'interpretazione della britannica Cynthia Erivo (era in Widows), per la sua prova candidata all'Oscar come Migliore Attrice Protagonista, e dalla colonna sonora che si tinge di gospel ma imprime personalità solo nei titoli di coda, con la discreta "Stand Up", anch'essa candidata all'Oscar (nel 2020). Non male, sicuramente da vedere, ma sa comunque di occasione sprecata. Voto: 5,5

Mister Link (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Prodotto dallo studio Laika con la tecnica della stop motion, una (l'ennesima) piccola "perla" per qualità tecnica, ma stavolta, al contrario di altre (fantastiche) volte (ParaNorman dello stesso Chris Butler per esempio), non del tutto per i suoi contenuti. Certo, il film sa intrattenere piacevolmente e divertire riuscendo anche, almeno a tratti, a colpire i bersagli (edificanti) che si prefigge, ma la storia non è nuova così come i suoi sviluppi. Tuttavia, filmetto sì minore ma non disprezzabile. Si racconta di un celebre viaggiatore, sempre alla ricerca di un qualche essere leggendario, soprattutto per essere accettato così in un esclusivo club per ricconi. Che poi lui questi esseri straordinari li trova anche, ma non riesce a portare delle prove. In questa avventura avrà a che fare con un Sasquatch (bestia nota soprattutto negli USA) e i suoi lontani parenti Yeti. La grafica è particolare ma interessante, il film è sì una storiella ma ricca di humour, con qualche battuta più riuscita. Il personaggio protagonista (quello umano, intendo) è più riuscito degli altri, che invece sono molto "standard" e scontati. E anche il Sasquatch è molto indovinato, che sarebbe poi il "Mister Link" del titolo (l'originale era Missing link, l'anello mancante, ma entrambi i titoli ci possono stare). Purtroppo il film fu molto più gradito dalla critica (candidato all'Oscar, ma vinse Toy Story 4, mentre il migliore del mazzo era per me Klaus) che dal pubblico: fu un disastroso flop al botteghino, a causa anche dei grandi costi, ma non solo. Alla fine film simpatico però niente di più. Voto: 6+

Bombshell - La voce dello scandalo (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Come la serie The Loudest VoiceBombshell di Jay Roach racconta (non benissimo e non dettagliatamente in confronto alla succitata ben migliore miniserie) lo scandalo dello sfruttamento sessuale, con abusi fisici e psicologici, che ha coinvolto Roger Ailes, guru e capo di Fox News, braccio televisivo armato della destra conservatrice americana. Le tappe della vicenda sono narrate inseguendo la verosimiglianza attraverso il trucco che trasforma i volti degli attori per renderli simili agli originali, con una operazione "mimetica" riuscita che resta però piuttosto in superficie (esagerato l'Oscar per il make up). Tre donne protagoniste con punti di vista differenti, sull'abuso sessuale negli ambienti di lavoro e sulle ripercussioni psicologiche derivanti, un film denuncia che tuttavia risulta poco avvincente nonostante le buone prove delle tre attrici (Charlize TheronNicole Kidman e Margot Robbie) e di John Lithgow quasi irriconoscibile nei panni di Ailes. Perché la vicenda in verità qui viene raccontata con un taglio abbastanza ambiguo, a metà strada tra la commedia della prima parte (un po' fuori luogo, come anche le rotture della quarta parete) ed appunto il dramma di denuncia. In generale è una pellicola che fa discretamente il suo dovere, ovvero informare se non sensibilizzare su di un fatto di cronaca scandaloso scegliendo la strada della spettacolarizzazione cinematografica (evitabile certa retorica, ma il messaggio è comunque chiaro). Tuttavia pur essendoci parecchi spunti di riflessioni non tutti sono trattati in maniera adeguata, di conseguenza non è uno di quei film che lascia particolari tracce. Tanto che, film interessante, ben diretto (dal regista di All the Way e soprattutto L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo) ed interpretato, ma resta la sensazione di un'occasione persa per un "dietro le quinte" più incisivo. Voto: 6+

La forma della voce (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Un film d'animazione molto pessimistico, e ci può stare, ma che, nella sceneggiatura, rivela grossi limiti. C'è una differenza netta fra la forma e il contenuto: bella la forma, i cui disegni sono sopraffini, e anche le atmosfere, ma il contenuto non è assolutamente all'altezza, né della forma né degli altissimi livelli che si è proposta: praticamente quasi tutto quel che è significativo per l'uomo. Disabilità, amicizia, amore, rapporto fra fratelli, senso di colpa eccessivi, altruismo, squilibri materni che si pagano da figli, depressione, aggressività, bullismo. C'è proprio di tutto, le atmosfere sono rarefatte il giusto per dare l'illusione di toccare in profondità questi temi, ma la realtà è deludente: su tutte queste cose, il film (diretto da Naoko Yamada) non sa insegnare nulla, nonostante abbia le pretese di farlo. I personaggi sembrano avere un'evoluzione, ma in realtà non ce l'hanno, ripetendo in modo stereotipato il solito cliché che "è solo tutta colpa mia". Sarà vero che la società giapponese valorizza questi aspetti, ma non si può sempre ripetere le solite cose, peraltro in un film lungo (2 ore), e già molto lento di suo. Almeno si fa capire come l'affetto sia l'unica cosa che tiene vivo un senso positivo dell'esistere, questo è il punto più lodevole, assieme alla toccante descrizione del difficoltoso universo della disabilità, e dei danni del bullismo. Tutte cose buone, assieme agli aspetti puramente visivi: che però non riescono a mitigare quel retrogusto sgradevole di rassegnazione alla depressione, attorno cui il film (adattamento del manga A Silent Voice di Yoshitoki Ōima) sembra che voglia convincere il pubblico, anche in modo morboso (pesante è il continuo rimando al suicidio sullo sfondo, e non solo). Nel complesso sono rimasto piuttosto deluso da La forma della voce, non perché sia un brutto film, ma in quanto avevo accumulato troppe aspettative. Inevitabilmente mi è sembrato un'occasione sprecata, anche in quanto la realizzazione tecnica è di prim'ordine e mi spiace non sia riuscito a suscitarmi grandi emozioni. Voto: 6

Colonel Panics (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Un film che non rende le cose facili per il pubblico, una pellicola cyberpunk 3.0 ad alto tasso erotico (in questo senso la splendida Tia Tan che interpreta sia la prostituta che il futuro cyborg non ha molte battute, ma lascia sicuramente un'impressione positiva), visivamente micidiale e caratterizzata da un'inquietante musica elettronica, che diventa piuttosto difficile da seguire. Passato, presente, realtà virtuale e artificiale, anche questa di ieri e del futuro (presente), si incrociano e il film diventa un po' confuso, in modo surreale, anche per il fatto che lo stesso attore protagonista (incaricato di risolvere un problema con un virus che sembrerebbe aver infettato un gioco per adulti virtuale) interpreta entrambi i ruoli giocando sicuramente un ruolo nella questione. Il senso di "sviamento", tuttavia, sembra adattarsi all'estetica generale della produzione, che si concentra sull'aspetto visivo, almeno quanto sulla sceneggiatura (che una deriva pericolosa e letale ovviamente prenderà). In questo senso, l'aspetto tecnico del film è sorprendente, sei bombardato da immagini e sequenze impressionanti, caleidoscopio visivo incredibile (seppur ripetitivo). Questo e soprattutto alcune scene, danno al film un senso di grottesco, in maniera molto cruenta, e in combinazione con le tante scene di nudità e sesso, l'elemento di sfruttamento. Tuttavia il regista riesce anche a comunicare una serie di messaggi su temi molto seri, come la situazione del nazionalismo nel paese (siamo in Giappone se non lo si fosse capito), il conflitto con la Corea del Sud per quanto riguarda il caso delle comfort women durante la seconda guerra mondiale e il futuro dell'arte in relazione con la tecnologia. Insomma di tutto e di più, in un film criptico e folle (forse troppo) che nonostante la narrazione un po' confusa, impressiona, poiché Cho Jinseok riesce a combinare in modo elaborato tre diversi generi, attraverso un'arte che deriva dall'aspetto tecnico e dall'estetica generale del film. Di un film non facile, non eccezionale, ma degno di nota. Voto: 6+

lunedì 18 ottobre 2021

Exte: Hair Extensions (2007)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/10/2021 Qui - Per stessa ammissione di Sion Sono trattasi di una sorta di parodia dei J-Horror, al tempo stesso la sovrapposizione con temi frequenti nella filmografia del regista, come l'abuso sui minori o l'inadeguatezza del nucleo famigliare (in Strange Circus e/o Noriko's Dinner Table), smorzano l'atteggiamento leggero per rendere decisamente inquietante questa pellicola che utilizza il carattere principe dei film di paura orientali, ovvero i capelli lunghi corvini, come unità senziente e rabbiosa. Ovviamente non poteva che essere la vendetta alla base del furore omicida, con premesse poco rassicuranti riguardo extensions che prendono vita e come un Blob in perenne espansione fagocitano e uccidono. Ed invece il contesto più drammatico resta in perfetto bilico con quello ludico, tra spezzoni di spiacevole vita domestica e le scorribande di un maniaco che suo malgrado darà il via ai pazzeschi eventi. Spicca il feticismo, pratica che in Giappone ha da sempre un nutrito numero di seguaci, in questo caso la maniacale attenzione è rivolta verso i capelli da uno stralunatissimo Ren Osugi (attore caro a Takeshi Kitano e Takashi Miike) che regala una performance sopra le righe deflagrante nel finale in cui la tipica fantasia kitsch nipponica viene in superficie con surreale piacevolezza. A contrastare il carisma del folle c'è una bella e dolce aspirante parrucchiera coinvolta nei fattacci assieme alla nipotina. Ad interpretarla troviamo Chiaki Kuriyama che i più attenti ricorderanno in "Kill Bill Vol. 1" vestita da scolaretta affrontare la Sposa come Gogo Yubari. Un Sion Sono al solito creativo e fuori dagli schemi, capace di unire riflessioni di spessore a un divertimento che gioca efficacemente con la serialità ottusa di certi prodotti. Detto questo, anche se questa storia può sembrare innovativa, folle, visionaria, burlesca, originale, alzarlo a capolavoro o comunque mettere un voto più alto di quello che merita secondo me, mi pare esagerato, dopotutto è un filmetto sì unico nel suo genere, ma decisamente grottesco, grottescamente ridicolo. Voto: 6+

The Forest of Love (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/10/2021 Qui - Un film a tratti accattivante, con qualche buona trovata, ma tutto sommato non mi pare che aggiunga molto a quanto Sion Sono abbia già fatto (e bene, e in meglio). D'altronde è un film per la piattaforma Netflix e dubito che gli spettatori abituali di tale piattaforma lo conoscano bene, anzi. Di conseguenza è un film più diretto a coloro che non conoscono questo regista. The Forest of love quindi è un pot-pourri delle sue opere precedenti fuse in quell'universo bizzarro, fatto di traumi e tendenze autolesionistiche dei personaggi (bene il cast, comprendente il Denden già al servizio del regista). Ben fatto ma non certo tra i migliori lavori del regista giapponese. Come nel precedente Cold Fish, il film (ispirato dagli omicidi, dalle torture e dalle estorsioni commesse a Kyushu, in Giappone, dalla metà degli anni '90 ai primi anni 2000 dal serial killer condannato Futoshi Matsunaga) parte con toni blandi quasi da commedia per poi complicarsi sempre più fino a un finale esplosivo. Questa volta al centro della vicenda un personaggio eclettico, un manipolatore che riuscirà ad attrarre in un vortice autodistruttivo un gruppo di giovani ignari ma non del tutto innocenti. Film intrigante, con personaggi al limite e una scrittura (a volte) intelligente. Come spesso accade ai film del regista un taglio di mezz'ora non guasterebbe. Un po' thriller, un po' giallo, un po' musical, un po' horror (c'è gore, c'è ambiguità, c'è mistero, ci sono messaggi sociali), comunque consigliato soprattutto se non si è mai avuto la fortuna di imbattersi nei films del talentuoso Sion Sono e se non si hanno problemi con la visione di pellicole sottotitolate. E tuttavia anche per chi già lo conosce, e nonostante il regista sembri comunque limitare le proprie potenzialità, perché prendendo in prestito una metafora musicale, produce una pellicola di "repertorio" senza minimamente cercare l'originalità e rischiando praticamente zero, e ciò una certa delusione sicuramente la crea, La foresta dell'amore merita certamente la visione. Voto: 6

The Whispering Star (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/10/2021 Qui - Film dai risultati discontinui e dai ritmi molto dilatati che proprio per questo richiede una gran pazienza (fantascienza filosofica non per tutti i gusti), ripagata solo in parte dai risultati: l'inizio può incuriosire anche se ben presto le cose si ripetono, la seconda parte sa volare anche alto, raggiungendo dei picchi estetici, a tratti lirici, notevoli e dei momenti narrativi riusciti. A tratti criptico ed ermetico, a volte ripetitivo e noioso, a volte intrigante e stimolante. Pellicola divisiva che conferma la particolarità di un regista che non manca di idee e di talento seppure a corrente alternata, anche nella stessa pellicola. La storia è quella di una postina-androide intergalattica (la Megumi Kagurazaka gran Bellezza già al servizio del regista Sion Sono) che consegna la posta (senza l'assillo del tempo di consegna) ai destinatari sparsi nello spazio. A "guidare" la navicella ci pensa il distratto computer di bordo (ricordate Hal 9000) che deve ricordarsi di modificare la rotta ogniqualvolta vada ad incrociare quella dei meteoriti. All'interno delle scatole vi sono oggetti che ricordano i tempi passati, cose insignificanti, obsolete o solo souvenir di un tempo che fu. Minimale, contemplativo e apocalittico, questo The Whispering Star può essere etichettato come l'ennesima pellicola sul futuro distopico oppure un contenitore vuoto da riempire con le proprie impressioni legate all'esistenza umana. Ecco, è decisamente l'espressione compiuta di un nichilismo cosmico e assoluto che mostra la vanità e l'insensatezza dell'essere e dell'esistenza, e la fissità e l'immutabilità di quest'ultima. Più che un film, sembra un'opera di poesia audiovisiva, bizzarra e fragile come un messaggio dentro una bottiglia. Un'opera formalmente ineccepibile e di grande suggestione che però non riesce a convincere fino in fondo, nonostante risulti, come sempre per i canoni del regista, così elegante, iper-citazionista e splendidamente realizzato. In un bianco e nero, che favorisce l'immersione a-temporale e la fascinazione, di quest'opera mi rimarranno ben impresse solo poche sequenze veramente efficaci, prima tra tutte l'ultima consegna. The Whispering Star, un film che fa sembrare Stalker un action con Bruce Willis, che sa ripagare l'occhio ma non il cuore, dilaniato dalla disperazione più nera, zero ottimismo, non c'è possibilità di fuga né scioglimento, proprio per nessuno. Voto: 6,5

Sion Sono Filmography - Parte 3

Post pubblicato su Pietro Saba World il 18/10/2021 Qui - Il Giappone torna protagonista, anche se in questo blog (cinematograficamente parlando) lo è sempre stato e continuerà ad esserlo, ma quest'anno è stato, è ancora, particolarmente attivo (più che nella media). Non contando le Olimpiadi di Tokyo, che comunque importanti, ma soprattutto vincenti per i nostri colori sono state, prima il lungo (e corposo) viaggio (non ancora concluso) nell'animazione giapponese, poi alcune saltuarie incursioni cinematografiche lontane dal mondo animato, infine due filmografie di due registi d'oltreoceano molto conosciuti, una grande mole insomma. Pochissimo tempo fa infatti è stato il turno (il primo) del grande Takeshi Kitano, adesso, oggi, è il turno (addirittura il terzo, qui il secondo) dello strambo (e lo dico affettuosamente) Sion Sono. Contando difatti questi ulteriori tre film, del regista ho visto 12 film, uno più bizzarro dell'altro, a cominciare (se vi ricordate) da Tag, che per iniziare l'avventura era proprio l'ideale, almeno per me così è poi stato. E pensare che ancora me ne mancano alcuni (per esempio Himizu), ma al momento altri non sono riuscito, e difficilmente a breve riuscirò, a trovare. Tra questi anche una serie, anzi miniserie di 9 episodi (Tokyo Vampire Hotel), che non so da dove reperire. Ma in attesa di ciò (e se qualcuno sa, parli), accontentiamoci di quello che è possibile, in questo caso tre film completamente diversi tra loro, ma ugualmente bizzarri, che meritano indubbiamente qualche interesse.

mercoledì 13 ottobre 2021

Luca (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2021 Qui - Non è forma di patriottismo se dico che gli italiani quando vogliono (e possono) sono capaci di grandi cose, anche nel cinema d'animazione, vedasi i recenti Gatta Cenerentola e La famosa invasione degli orsi in Sicilia, ed ora ecco questa pellicola, ben diversa da quelle, ma ugualmente ben riuscita. Luca, un bel film sull'Italia e sull'Italianità, attraverso gli occhi del regista (ed anche sceneggiatore) Enrico Casarosa (all'esordio in un lungometraggio) e le tasche della Pixar in collaborazione con la Disney. Un film d'animazione che è una ventata d'aria fresca, una goduria per occhi, cuore e mente. Sarà che appunto per noi italiani è un film particolare, che ci strizza l'occhio e ci solletica l'orgoglio, ma fondamentalmente è un bellissimo cartone per ragazzi, leggero e pulito con una morale di tendenza. L'idea è accattivante, la storia si segue senza affanni ed è resa molto gradevole dalla buona dose di ironia e dalla simpatia dei personaggi, oltre che dalla valenza emozionale di messaggi non nuovi ma sempre di grande rilevanza e attualità. Luca guadagna molto sull'aspetto visivo, con un'ambientazione splendidamente colorata e dettagliata, di una bellezza quasi terapeutica, tra le tinte calde e tenui di Portorosso (cittadina di fantasia ispirata ai luoghi delle meravigliose Cinque Terre) e quelle fresche e sfavillanti del mondo sottomarino. La pellicola è un esplosione di immagini e colori, con i vicoli meravigliosamente tratteggiati e una tecnica di animazione eccellente con il sottofondo di una colonna sonora ricca di classici della canzone nostrana. E' vero che la rappresentazione di luoghi e personaggi è un po' troppo "turistica", ma si tratta di un peccato veniale di una pellicola decisamente riuscita. Sicuramente la trama è un po' sempliciotta, lontana da altri capolavori della Pixar, i pretesti narrativi infatti sono tutti piuttosto fragili, seppur non incidano in maniera significativa sulla storia, che rimane gradevole. E poi è vero che sotto l'aspetto dell'intrattenimento convince, molto meno però sulla scelta dell'elemento della magia, che è inserito un po' alla carlona, senza dare allo spettatore una qualche spiegazione ragionevole. Nonostante ciò e per concludere, direi che Luca è un film decisamente carino e godibile, nulla di eccezionale ma apprezzabile. Un prodotto più che discreto, a mio avviso giustamente meritevole di tanta attenzione ed elogi. Voto: 7

L'unico e insuperabile Ivan (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2021 Qui - Non bisogna essere animalisti per comprendere un semplice concetto: gli animali selvatici devono stare nel loro habitat naturale, seguendo il corso della vita, e l'unica cosa che l'uomo deve fare è assicurare loro la libertà. E' questo (teoricamente) semplice diktat viene rimarcato con decisione nel film prodotto da Angelina Jolie, con l'approvazione della Disney, che racconta la vera storia del gorilla Ivan, passato dalle mani dei bracconieri a quelle di un centro commerciale e usato come intrattenimento per i clienti. Un film in tecnica mista, visivamente impeccabile (gli animali "digitali" sono resi infatti straordinariamente bene e interagiscono con gli attori umani in modo assai naturale, tuttavia esagerata, ma giustificata la candidatura agli Oscar per i migliori effetti speciali), che instilla simpatia ma anche tanta malinconia, tra una serie di piccole avventure e riflessioni condivise dai protagonisti. Peccato solo che, la regista Thea Sharrock (quella di Io prima di te) non imprima personalità alla storia, e questo soprattutto per i demeriti di una sceneggiatura non propriamente convincente, che la suddetta storia non riesca ad emozionare più di tanto (perché indubbiamente troppo basso il target di età), e che gli attori umani poco incidano. Bryan Cranston resta un grandissimo attore, ma non sarà di certo per questo film che sarà ricordato negli annali. La sua prova è importante, ma frenata da una caratterizzazione dei personaggi umani poco ammiccante. All'insegna dei buoni sentimenti, una commedia ben fatta ma non del tutto riuscita. Voto: 6

Raya e l'ultimo drago (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2021 Qui - Disney costruisce il suo lungometraggio sulla mitologia orientale della quale il drago è uno dei simboli maggiori ma non dimentica di mettere al centro della narrazione, come sempre più spesso le capita, un personaggio femminile forte. Ne deriva un lungometraggio che, pur non all'altezza dei capolavori della casa, è divertente, pieno di azione e può contare su un'animazione impeccabile (un realismo impressionante delle animazioni, una cura del dettaglio che è pura meraviglia) ma soprattutto su scenografie e sfondi da applausi (di qualità anche dal punto di vista musicale). Peccato che la storia sia troppo, ma davvero troppo banale (perché insomma la storia è veramente a prova di cretino, è tipo un  videogame) e non ci sia nessun approfondimento dei personaggi. Umorismo un po' eccessivo da parte di troppi personaggi, a cominciare dalla "draga", e un buonismo francamente esagerato nel finale. Al di là di ciò, non mi è spiaciuto, è gradevole, un bel passatempo, realizzato (come detto) tecnicamente benissimo, con bei personaggi che, bene o male, funzionano tutti. Il 59º classico Disney, diretto a quattro mani, anche da Don Hall, già co-regista del bellissimo Big Hero 6, non mi ha entusiasmato, ma è comunque piacevole. In definitiva lo definirei un Disney minore, forse adatto a un pubblico un po' meno smaliziato. Voto: 6

Crudelia (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2021 Qui - Più che un prequel de La carica dei 101, un reboot del personaggio di Crudelia De Mon (o Cruella De Vil) ripensato come una psicotica dark lady. E' quindi questo un altro tassello riguardo la rivisitazione dei cattivi Disney, cattivi che rimangono come indole in questo film, ma cattivi anche più sfaccettati. Al pari (ma meglio) di Maleficent (di cui secondo capitolo mal riuscito) viene proposto lo stesso lavoro di origine di tale personaggio che prendendo una moda attuale (Joker di Todd Phillips), strizzando l'occhiolino al passato con il nuovo che insidia le sicurezze del vecchio come in Eva contro EvaEmma (Stone) contro Emma (Thompson), riesce a a far quadrare piuttosto bene il cerchio, sia pure con i suoi difetti, in primis una lunghezza non necessaria. Abbastanza simpatico, ben realizzato sotto il profilo tecnico e soprattutto recitato molto bene da tutto il cast (molto ben caratterizzati i due "scagnozzi" della De Mon, molto simili agli originali animati ma meno goffi e macchiettistici, interpretati da attori di livello come Joel Fry, visto in Yesterday di Danny Boyle, e Paul Walter Hauser, splendido protagonista di Richard Jewell di Clint Eastwood) ed in specie dalle due protagoniste. Musicale quanto basta senza diventare (fortunatamente) un musical, il film si aggiudica sin d'ora la nomination agli Oscar per i costumi che sono senz'altro l'elemento che spicca. Purtroppo la pellicola, a mio avviso, non si eleva oltre nella valutazione per via della lunghezza eccessiva di cui sopra (100 minuti dovevano essere il massimo consentito), inoltre vi sono scene davvero eccessive nel tamarrismo ed alcune sequenze in CGI stonano con la bontà complessiva degli effetti speciali, basti pensare al finale sulla scogliera. Vincente comunque la scelta di Craig Gillespie (quello del riuscitissimo Tonya), autore di una regia elegante e ritmata che sfrutta al meglio l'ambientazione variegata ed atipica. Gradevole la colonna sonora per un film riuscito, anche se certamente derivativo. Nel complesso non male comunque. Voto: 6+

Il richiamo della foresta (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2021 Qui - Ennesima trasposizione, la quinta per essere precisi, del celebre romanzo di Jack London. Una trasposizione non molto emozionante e purtroppo troppo edulcorata. La pesante "intrusione digitale" poi (è evidentissimo che il protagonista canino sia generato al computer) ammanta la pellicola di una patina di falsità che impedisce di godere appieno di una storia sempre coinvolgente e degli splendidi scenari naturali dell'Alaska dei cercatori d'oro e dei branchi di lupi (anche se io gli continuo a preferire Zanna Bianca, di cui trasposizione animata recente ho apprezzato). Male infatti il cane in CGI che ci ricorda quanto sia finto in ogni momento, specialmente perché si è scelto (sbagliando) di farlo agire e muovere da cartone animato (scelta forse condizionata dal fatto che il regista Chris Sanders nel campo sia "maestro"? Lilo & StitchDragon TrainerI Croods). Inoltre le reazioni di un cane dovrebbero essere quelle di un cane, non di un essere umano. Creato per i bambini, elimina tutta la crudezza del libro edulcorandolo all'ennesima potenza. Alcune scene visivamente affascinanti, ma niente di più. Il richiamo della foresta difatti, intrattiene ed è carino da vedere, ma nulla di eccezionale, anzi (Togo indubbiamente più riuscito). Si apprezzano tuttavia le interpretazioni del cast, a partire da un felicemente ritrovato Harrison Ford. A conti fatti però, uno dei peggiori adattamenti del romanzo, più fedele (e decisamente migliore) la versione del 1972 con il grande Charlton Heston. Si poteva e si doveva fare meglio. Voto: 5,5

Mulan (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2021 Qui - Non male, ma onestamente non mi ha convinto totalmente, anzi, personalmente non ne sono rimasto molto entusiasmato son sincero. Il cartone del '98 visto mi piacque abbastanza (pur non rientrando mai tra i miei classici Disney preferiti), ma questo film è molto diverso, e meno riuscito (per la regista Niki Caro un deciso passo indietro dopo La signora dello zoo di Varsavia ed altri prima). Il tutto è formato da alti e bassi, la scenografia e la fotografia sono di ottimo livello, di certo l'aspetto migliore del film, colpiscono parecchio. La storia non scorre in modo fluido, dl coinvolgimento emotivo ne ho avuto molto poco e non è di certo travolgente, la figura della giovane donna che per sviluppare tutte le sue notevoli potenzialità deve rivelare e rivendicare il suo essere donna viene posta in una prospettiva che poteva essere certamente migliore, così come il riconoscimento del suo ruolo femminile da parte degli uomini. Molto meglio la parte iniziale del film, mentre nella parte finale perde molto. Non mi è dispiaciuta la scelta di andare incontro al Wuxia per quanto sia, dal punto di vista dei combattimenti, abbastanza debole. Si tiene l'attenzione tutta sulla protagonista e il resto dei personaggi non sono caratterizzati bene, sia per una questione di tempo, sia per scelte narrative. Più che altro sono degli stereotipi semplici da identificare. La protagonista Liu Yifei è brava (e bella il giusto) ma lo stuolo di nomi illustri a fare da contorno si adopera giusto il minimo (Donnie YenTzi MaJet Li e pure Gong Li), eccezion fatta forse per il villain di Jason Scott Lee. Alla fine risulta gradevole ma visto lo sforzo produttivo poteva essere ben altro. Purtroppo i live-action continuano ad essere perlopiù sbiaditi. Voto: 5,5

Soul (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2021 Qui - La Pixar raramente sbaglia e qua non sbaglia, anche se ritorna a parlare di anime e senso della vita. In questo senso, Soul forse non ha l'originalità e la brillantezza di un Inside out, per esempio, ma è comunque un film molto riuscito. Molto solido nella narrazione (ci sono frangenti che smontano cliché, altri di grande ispirazione e intensa suspense, con una velo di amarezza di fondo, che scivola spesso nel sorriso) e nella stessa semplicità del suo messaggio, il vivere stesso che diventa uno scopo anche nella semplice quotidianità pur senza rinunciare a scopi più alti. Messaggio valido ma semplice, così come gli avvenimenti. A tratti forzano pure con l'umorismo, le citazioni di personaggi storici fanno pena e di certo gli manca qualcosa in termini di capacità di coinvolgere, rispetto al precedente lavoro di Pete Docter, che gli resta superiore, tuttavia anche Soul mi ha intrattenuto (e con gusto), anche Soul è bellissimo. Un film chiaramente di grande livello, che ha un momento di flessione, forse, verso metà, quando sembrerebbe mettere troppa carne al fuoco (non tutti i personaggi sono azzeccati secondo me), ma poi invece è tutto al posto giusto e anzi la seconda parte del film è tanta roba. Si parla di emozioni, si parla di passioni, di scintilla del vivere umano, anche di assurdità dell'esistenza in qualche punto. Il tutto è molto delicato, leggero e devo dire che il finale lascia una sensazione positiva, di desiderio di andarsi a vivere la vita ogni istante come qualcosa di donato e di importante. Il tutto è poi accompagnato da una buonissima colonna sonora, tutta sui toni del jazz (colonna sonora anche vincitrice di un Oscar, il secondo della pellicola dopo quello per il miglior film d'animazione). Molto variegata l'animazione, dalla semplicità di figure molto stilizzate alla complessità di quelle più realistiche. Non si crea un effetto straniante, anzi proprio la fusione di stili così differenti è una delle carte in più di questo film. Un film piuttosto singolare il cui merito sta nel saper essere originale e teorico senza perdere mai un filo di leggerezza, sta nel sapersi alimentare del bizzarro contrasto tra l'ambientazione newyorkese caotica del mondo reale e quella ovattata e magica dell'Anzi-Mondo. Un'opera destinata chiaramente a un pubblico adulto (il film invita difatti a vivere ogni giorno con passione, gustandosi ogni più piccola cosa senza sprecare nemmeno un istante, difficile far passare un simile messaggio, per quanto importante, ad un bambino), un'opera capace di divertire e far riflettere, un'opera da non perdere. Voto: 7,5

Onward - Oltre la magia (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2021 Qui - La ricerca del padre ha in questo riuscito (ma non eccezionale) lavoro della Pixar un significato metaforico, si tratta di un racconto di formazione i cui significati sono "stratificati" con simbologie diverse a seconda della fascia di età dello spettatore. Il versante puramente spettacolare è come sempre accade di alto livello, con una magnifica ricostruzione di una società alternativa (l'universo costruito è ricolmo di colori, scenografie suggestive e personaggi con un ricco background) che ha perso la magia a favore della tecnologia (una critica forse leggera nell'economia del film ma giusta). L'espediente è quello solito del viaggio on the road che porta anche alla conoscenza di se stessi, non mancano perciò svariati luoghi comuni sparsi a riempire i vagabondaggi di due fratelli e del loro padre, metà di qua e metà nell'aldilà. Un film che mostra il suo lato emotivo e più divertente nella seconda parte, in quello che è un susseguirsi di crescente azione. L'immaginario fantasy integrato con l'ambiente urbano è arricchito da un percorso rocambolesco che ricorda Indiana Jones, con trabocchetti e trappole. Un'avventura quindi classica, ma appagante, completa ed emozionante come da tradizione Disney. L'utilizzo della magia permette qua e là di sbizzarrirsi in trovate divertente e ben congegnate. E tuttavia, per quanto esso rimanga un buonissimo film (sicuramente meritevole di una candidatura all'Oscar), non ha la forza di imporsi. Qualche forzatura, qualche cliché ed a livello grafico non è un lavoro strepitoso questo (non come altri almeno), però sì, è godibile. Non rimarrà infatti nella storia, ma fa (ed abbastanza bene) il suo sporco lavoro di intrattenimento. A conti fatti, e nonostante tutto, il 22° lungometraggio d'animazione Pixar (il secondo diretto da Dan Scanlon dopo Monsters University del 2013) merita indubbiamente la visione. Voto: 6,5

martedì 5 ottobre 2021

Sotto shock (1989)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2021 Qui - Altro film horror di Wes Craven dall'idea potenzialmente originale ma che visto sullo schermo non rende purtroppo al meglio. E tuttavia tra alti e bassi è un film ancora guardabile, un film horror fantastico incentrato (come facilmente intuibile) su un folle serial killer che torna in vita sotto forma di elettricità dopo essere sopravvissuto alla sedia elettrica, a cui poco si può contestare sotto l'aspetto tecnico. Comunque il film fatica a mantenere una certa tensione, e di certo non è facile da giudicare, perché al suo interno ci sono sia elementi positivi che delle cadute clamorose. Ancor prima di Scream, ma in maniera meno plateale Wes Craven opera una sorta di autocitazione del proprio cinema in primis e dell'horror in generale, riciclando sé stesso da Nightmare e di altre pellicole di quegli anni. La buona prova di Mitch Pileggi (il Walter Skinner di X-Files) nei panni Horace Pinker offre un serial killer con bastardaggine e cattiveria all'altezza del primo Freddy Krueger e la regia di Wes Craven è più che buona. Si avverte però un notevole disequilibrio con la parte finale del film, a mio parere sopra le righe con quanto si era visto fino a quel momento. Un passaggio fin troppo repentino che non si è ripresentato con il successivo Scream dove horror e ironia sono miscelati in maniera migliore (molto interessante è invece la colonna sonora). Non aiuta nemmeno una sceneggiatura tutt'altro che impeccabile e con evidenti carenze di logica (anche per un horror), ma tutto sommato è un film più sperimentale di quanto mostri. Un film/horror che (appunto) rigioca coi sogni, beffardamente ironico, come si usava all'epoca, ma teso e sanguinario, retto da un Peter Berg (futuro buon regista) impavido eroe sull'orlo di una crisi di nervi. Si poteva fare decisamente meglio questo sì, ma così com'è è pur sempre un prodotto più che dignitoso, un prodotto bizzarro clamorosamente godibile. Voto: 6+

Il serpente e l'arcobaleno (1988)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2021 Qui - Nutro profondo interesse circa la leggenda (o verità) degli zombie haitiani: persone a cui uno stregone somministra una potente droga, la tetrodotossina, e dopo averli fatti credere morti li usa come schiavi privi di volontà. Questo film si basa sul libro scritto dall'antropologo che avrebbe portato a conoscenza del mondo questa triste faccenda e onestamente la narrazione si destreggia bene in un ambiente ostile e chiuso, vittima delle superstizioni e della paura come quello di Haiti, tra riti Voodoo sempre in bilico tra moderno e tradizionale. La rappresentazione è suggestiva e, sebbene densa di simbolismi e scene oniriche, rimane pur sempre ancorata alla realtà scientifica. Purtroppo Wes Craven nella parte finale non ce la fa a resistere alle più commerciali chimere dell'horror da serie B ed inscena situazioni troppo sovrannaturali che contrastano con lo spirito più realistico di tutta la parte precedente della storia propinando sequenze che un po' aveva già mostrato in Nightmare ed un po' riciclerà nel successivo Sotto shock. Sarebbe stato meglio se avesse mantenuto tutto sul film dossier mistico-drammatico, così invece ne esce un lavoro che risulta riuscito ma non del tutto. Ciò nonostante, devo ammettere che l'atmosfera è unica, e pur non avendo apprezzato il film nella sua totalità, sono rimasto piacevolmente stregato dal fascino dei riti tribali e della stregoneria. Infatti, per questo motivo, ma non solo per questo motivo (per alcune scene horror comunque ben congegnate e per la prova più che buona del cast, Bill Pullman in particolare), riesco ad arrivare facilmente alla sufficienza, e forse a qualcosa in più. Perché seppur non memorabile è abbastanza soddisfacente, ma soprattutto interessante a vedersi, anche perché è uno dei pochi che parla di zombie e non si allinea ai punti di vista di Romero. Alla fin fine davvero non male. Voto: 6,5

Il mostro della palude (1982)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2021 Qui - Alla fin fine ho trovato simpatico questo adattamento da un fumetto della DC. Non l'ho trovato infatti così orribile come lo definiscono in molti. Delude sicuramente in quanto di horror in questa pellicola non ci sia praticamente nulla, mi sembra che si possa accostare più ad una sorta di fiaba nera condita con dell'action e un paio di situazioni che puntano a suscitare l'ilarità dello spettatore. Certo che la regia di Wes Craven in questo caso non si dimostra impeccabile, risultando spesso e volentieri macchinosa e palesemente priva di qualità, probabilmente dovuto anche dai pochi mezzi che si avevano a disposizione. Anche il trucco non è certamente dei migliori che si possano essere visti sullo schermo, e il livello di recitazione in linea generale non è tra i più memorabili (Ray Wise, futuro papà Palmer, però ci sta), nonostante mi senta di salvare assolutamente una sensuale ed affascinante Adrienne Barbeau (saltuariamente già al servizio anche di altri gran registi, da Carpenter a Romero, e quindi all'ennesima presenza tra le mie visioni cinematografiche di quest'anno), che se non altro dimostra un notevole impegno nel ruolo a lei qui affidatole, richiamando durante il corso della visione più e più volte l'attenzione completamente di sé, sia per bravura che (soprattutto) per altro (è davvero un bel vedere quel che fa vedere). Non mi sono dispiaciute le ambientazioni ma nemmeno la fotografia l'ho trovata così brutta, esaltando in particolar modo il colore del verde e le scenografie sporche della palude. Detto ciò sia chiaro, si tratta pur sempre di un prodotto di scarsa qualità in cui non mi stupisce che non abbia ricevuto grossi consensi positivi e dove si cerca di salvare il salvabile giusto per venirgli incontro. Sarà poi che non avevo nessun tipo di aspettativa al riguardo. Ammetto che è riuscito ad intrattenermi senza annoiarmi, e la ritengo già una buona cosa. Per me considerando il tutto una sufficienza mi sento di concedergliela senza grossi problemi. Ho visto pellicole meno datate (o tratte dai fumetti) ben peggiori di questa. Voto: 6

La casa nera (1991)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2021 Qui - Una sorta di riuscitissima fiaba nera diretta da Wes Craven nel 1991, un originale e inventivo horror tendente piuttosto decisamente al thriller più che al gore o allo splatter, capace di tener col fiato sospeso gli spettatori. Durante il prologo può apparire già visto e scontato, ma man mano che procede, La casa nera (ma il titolo originale significa La gente, le persone sotto le scale), mostra gradualmente una serie di qualità non trascurabili. Oltre alla recitazione (piuttosto bravi i ragazzi, "Matto" e Alice, e i due genitori pazzoidi, interpretati da Everett McGill e Wendy Robie, ovvero i coniugi Hurley di Twin Peaks, si fa notare anche un "giovane" Ving Rhames), al ritmo serrato e alla regia, la scenografia. Difatti, la grande trovata del film è senza dubbio la casa, un labirinto di cunicoli, intercapedini, canali di aerazione, scivoli, camini che la attraversano orizzontalmente e perpendicolarmente. La macchina da presa di Wes Craven insegue i ragazzi tra le insenature di quella che può tranquillamente annoverarsi tra le dimore più inquietanti mai comparse sul grande schermo, e costringe lo spettatore ad un tour de force spaventevole che difficilmente avrà modo di dimenticare. Un film pienamente riuscito, profondamente inquietante, che non manca anche di esibire un sotto-testo di critica sociale, e si conclude con un finale pirotecnico assolutamente inaspettato. Una pellicola cattiva ed esilarante, tra le più originali del buon Wes Craven (anche se il Top lo si trova in ben'altro). Non perfetto, ma comunque notevole, e sicuramente da vedere. Voto: 7

Dovevi essere morta (1986)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2021 Qui - Un lavoro bizzarro, uno di quei film che potevano fare solo negli anni '80, uno di quei film della serie mai sfidare le leggi della natura e mescolare uomo e macchina, che andrà sempre a finire male, uno spunto che oggi è trito e ritrito, ma che all'epoca era in fase "di sviluppo". Un film che anche se non curatissimo in ogni dettaglio assicura una visione abbastanza godibile, forse eccedendo nel finale che sembra non convincere pienamente (il doppiaggio insopportabile del robot Bibi e la protagonista che cerca di imitare un automa facendo con le mani il verso al granchio se lo potevano risparmiare, così come l'ultimissima scena). Uno dei film sicuramente più strani di Wes Craven (zeppo di citazioni e rimandi al suo cinema), che unisce la mania robotica anni ottanta con momenti di puro delirio (divertenti i pochi, ma giustificati, momenti splatter). Non certamente la sua migliore opera, ma questo Deadly Friend (incredibilmente basato su un romanzo) è un simpatico mix fra Re-Animator o Frankenstein e Corto circuito, che si lascia seguire con piacere forse proprio perché strizza l'occhio a modelli già sperimentati. La sceneggiatura infatti non brilla per originalità ed è anzi carica di stereotipi, ma di sicuro brilla per fluidità di narrazione. La Kristy Swanson (futura Buffy cinematografica) era già un bel vedere, il resto del cast (comprendente "Mamma" Fratelli Anne Ramsey) fa la propria parte senza grandi pecche, il ritmo è abbastanza fluido e la storia si mantiene su livelli accettabili, mostrando anche qualche momento thrilling sanguinolento. Visione senza grandi meriti ma non fastidiosa. Non mi è dispiaciuto alla fine, mi sono anche divertito, una sufficienza di larga manica mi sento di dargliela. Voto: 6

Benedizione mortale (1981)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2021 Qui - Conservando i fanatismi familiari e l'oppressiva ritualità de Le colline hanno gli occhiWes Craven si immette lungo la via dello slasher degli anni Ottanta abbinandone le soggettive a simboli minacciosi (ragni, scritte sui muri, spunti demonologici) e uscendone con un epilogo che vira inaspettatamente verso l'irrazionale (una scena visivamente suggestiva e spiazzante ma non del tutto soddisfacente). Un lavoro diretto con stile che in alcune sequenze quasi a sé stanti (il granaio, l'incubo con il ragno, la vasca, l'assalto e l'incendio dell'auto, l'apertura del pavimento), prefigura i sadici tranelli e le mortifere scorrerie oniriche provocate da Freddy Krueger. Una fotografia abbastanza curata, qualche buon colpo di scena ed alcune sequenze, che fanno di questo film una specie di prova generale per il futuro Nightmare. La storia per quasi tutto il tempo mantiene una certa atmosfera intrigante e di notevole tensione, anche se non mancano le incongruenze e alcuni errori tecnici, accompagnando lo spettatore in una visione abbastanza coinvolgente nonostante l'intuibile evolversi dei personaggi. Un difetto del film è sicuramente il ritmo, discontinuo e un po' annacquato nella parte centrale. Suggestivi invece i paesaggi rurali e azzeccato l'accompagnamento musicale di James Horner (futuro premio Oscar). Il cast fa il suo, Michael Berryman fa sempre impressione (in tutti i sensi), Ernest Borgnine bravo come capo spirituale ma io non riesco a non ricordarlo come il tassista in 1997: Fuga da New York, le protagoniste sono tutte uguali e senza grandi doti, si nota però una giovanissima e (già) bellissima Sharon Stone, per fortuna comunque che tali giovini ragazze ci mostrano qualche nudità tanto per gradire. Sicuramente poteva essere più curato e meno enfatico nella parte finale, ma comunque lo giudico sufficientemente valido. Voto: 6

Wes Craven Filmography

Post pubblicato su Pietro Saba World il 05/10/2021 Qui - Un'altra filmografia, di un altro regista molto conosciuto, purtroppo anch'esso come George A. Romero (di lui ne vidi tre di film, a luglio scorso) recentemente scomparso, ovvero Wes Craven, morto a Los Angeles il 30 agosto 2015 a 76 anni dopo aver lottato a lungo contro un tumore al cervello, nonostante stesse lavorando a nuovi progetti. Regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e attore statunitense, maestro del genere horror e thriller, famoso per aver diretto pellicole cult come L'ultima casa a sinistraLe colline hanno gli occhiNightmare - Dal profondo della notte e la saga di film di Scream. Ma ne ha girati anche tantissimi altri, per esempio questi sei che ho visto io per omaggiarlo, che non l'avevo ancora fatto, certamente però, e non credo si arrabbierà Cassidy de La Bara Volante se dico questo, giacché lui è un grande esperto e conosce tutto e tutti del cosiddetto regista (la pagina dedicata trovate Qui), che meglio dei titoli citati non ha poi (o prima, durante, la sua carriera) fatto. Rimangono infatti le migliori proposte di un regista non sempre equilibrato o in grado di regalare perle cinematografiche, ma comunque sempre capace di intrattenere, e bene, il pubblico. Un regista, nonostante tutto, sicuramente apprezzabile e da riscoprire.