Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/03/2017 Qui - Una storia, di un uomo che ha davvero cambiato la storia, cambiando per sempre la società americana soprattutto nera. All the Way infatti, film per la tv del 2016, è un film biografico sull'ex presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson, che diviene il presidente degli Stati Uniti d'America nel caotico periodo che si sussegue all'assassinio di Kennedy. Johnson trascorre ben 11 mesi alla Casa Bianca seguendo l'approvazione del Civil Rights Act e preparando la campagna elettorale che gli permetterà di non essere più il "presidente sostituto". Johnson che viene interpretato magnificamente dallo straordinario protagonista di Breaking Bad, Bryan Cranston, che affiancato da Anthony Mackie e Melissa Leo, da vita al film, film storicamente nonché politicamente interessante. All the way, adattamento cinematografico del primo di due spettacoli teatrali (di Robert Schenkkan) dedicati alla presidenza di Lindon B. Johnson copre il primo anno di incarico dal novembre 1963 (dopo l'uccisione di John F. Kennedy essendo vicepresidente) fino all'elezione del novembre 1964 focalizzando l'attenzione in particolare sul suo impegno per l'approvazione di una legge sui diritti civili degli afroamericani. La figura di Lindon B. Johnson è stata in questi ultimi anni presente in almeno tre film. In J. Edgar di Clint Eastwood se ne mostrava il non facile rapporto con Edgar Hoover, nume tutelare dell'FBI. In Selma: La strada per la libertà al centro si trovava il suo rapporto con Martin Luther King e la questione razziale, mentre in Jackie (dallo scorso 16 febbraio al cinema) presumibilmente si sottolinea lo scarso feeling di Jacqueline e Bob nei confronti di un vicepresidente che aveva voluto giurare, in modo considerato un po' sospetto, direttamente sull'aereo che riportava la salma di Kennedy da Dallas. In questo interessante film, prodotto da Steven Spielberg con l'HBO (di cui al timone di regia vi è uno specialista di TV movie come Jay Roach), Johnson è stabilmente al centro della scena con la sua rudezza e anche volgarità tutta texana ma anche con la determinazione nel voler portare a compimento il Civil Right Bill pensato da Kennedy. Non è un caso che ci sia Spielberg tra i produttori perché, in più di un'occasione ci si ritrova a pensare che la storia ripete se stessa. Come nel Lincoln Spielberghiano i compromessi, i giochi non sempre politicamente limpidi sembrano essere inevitabili se si vuole ottenere il risultato finale. L'uomo del Sud convinto di poter persuadere anche i più riottosi Stati meridionali della Confederazione a vedere in lui il simbolo della tradizione che deve confrontarsi con una giustizia troppo a lungo negata, è costretto a ricredersi. Tanto che nella campagna elettorale per l'effettiva elezione a Presidente si troverà contro un candidato decisamente razzista come Barry Goldwater.
Il film guarda al passato (dando spazio anche al suo confronto con Martin Luther King e lasciando invece sullo sfondo la guerra nel Vietnam) ma con un occhio al presente. Sembra infatti chiedersi a cosa sia servito lo scorrere dei decenni se l'America ha ancora sul tavolo come questione scottante e di scontro il problema razziale. I tre attivisti uccisi a Montgomery in Alabama nel 1964 e fatti scendere dalla loro auto da un rappresentante delle forze dell'ordine fanno venire in mente le troppe uccisioni di afroamericani da parte della polizia avvenute in tempi recenti e/o recentissimi. Anche questo è un compito di chi fa cinema, farci rileggere il passato non solo come se fosse tratto da un archivio polveroso ma come lezione per il presente. All the Way è comunque un biopic piuttosto convenzionale, perché segue le linee guida di un copione che rispecchia fin troppo la propria derivazione teatrale, e in cui pertanto la dimensione prettamente dialogica prende il sopravvento su tutte le altre componenti del racconto filmico. Ma la politica, del resto, è un'arte basata sulle parole, e All the Way (titolo ripreso da uno slogan della campagna elettorale) è una pellicola biografica totalmente incentrata sulla dimensione politica della vita di Lyndon Johnson, rievocando il suo primo anno e dividendolo in due segmenti, nella prima mette in scena gli sforzi di Johnson per far approvare in Parlamento il Civil Rights Act, nella seconda, invece, narra per sommi capi la campagna di Johnson nel 1964 per le primarie del Partito Democratico fino alla sua trionfale rielezione, il 3 novembre 1964. Tutto per una ricostruzione, che non si concede sbavature melodrammatiche, che riduce al minimo le parentesi private e 'familiari' (ben poco spazio è concesso alla First Lady, Lady Bird Johnson, interpretata da Melissa Leo) e che per il resto non si allontana dai canoni del proprio filone di appartenenza, limitando in parte la pellicola, che però si regge soprattutto sulle spalle di un gruppo di interpreti di comprovato talento, capitanato da un mimetico Bryan Cranston penalizzato però da una tendenza a un eccessivo istrionismo (anche questo dovuto forse all'impronta teatrale del testo). Più convincente quando si inoltra nell'ineludibile ambiguità del potere che non quando si limita a percorrere i binari della "lezione di storia", anche rischiando in più occasioni di scivolare nell'agiografia, ma per fortuna non succede. In definitiva quindi, film davvero interessante e coinvolgente, insomma, da vedere. Voto: 6,5