lunedì 31 maggio 2021

Goshu il violoncellista (1982)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Il primo lungometraggio (seppur dalla durata non superiore ai 62 minuti) dopo il mediometraggio Panda! Go, Panda!, diretto da Isao Takahata all'inizio degli anni ottanta funziona egregiamente come tegola in testa per rendersi conto dell'appiattimento a cui sono stati sottoposti gli anime negli anni duemila. Il tratto risulta talmente unico e particolare che pare quasi di trovarsi di fronte a un lavoro di animazione europeo, piuttosto che tipicamente orientale. Stessa sensazione non suscita la storia invece (sceneggiata dallo stesso regista sulla base dell'omonimo racconto dello scrittore Kenji Miyazawa), gli animali che aiutano il violoncellista a migliorare nelle performance è invece pienamente in zona shintoismo. Il ritmo è piuttosto blando, sostanzialmente non succede nulla per tutto il film, il protagonista passa dall'atteggiamento belligerante nei confronti dei poveri animaletti che vengono a rompergli le scatole per invitarlo a suonare, a comprendere e capire perché lo stiano facendo e diventa un musicista di successo. Insomma, un classico. Isao Takahata dimostra nuovamente un buon talento (egli aumenta le proprie skill) e sensibilità verso tutte le creature, qualità che poi esploderanno al massimo nei suoi successivi lavori. Questo resta discreto, ancora sicuramente godibile e magari più adatto ai bambini, cresciuti e meno. Un'opera (che nella sua semplicità riesce comunque ad emozionare e coinvolgere) da consigliare a tutti gli amanti della musica, soprattutto se alla ricerca di un prodotto divertente e leggero. Voto: 6,5

Il ritorno di Mary Poppins (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Il primo Mary Poppins era pervaso da una magia che questo sequel (o sarebbe più corretto dire remake visto che la trama ricalca molto l'originale) proprio non ha. Intendiamoci da un punto di vista prettamente figurativo il film è fatto benissimo: ottime scenografie, bellissimi costumi (candidature meritate), notevoli effetti speciali (la parte cartoonesca è tra le migliori) e tutto sommato discreta recitazione da parte di tutto il cast, a cominciare dalla brava Emily Blunt. Carini anche i camei di Meryl Streep e di Dick Van Dyke, nonché quello della Signora in giallo, ovvero Angela Lansbury. Purtroppo il film lascia molto a desiderare sul lato emotivo. Le psicologie dei personaggi (adulti) sono fin troppo infantili ed è proprio su questo che si sarebbe dovuto lavorare di più: bisognava rendere questi personaggi un po' meno puerili. Inoltre il difetto più grosso del film riguarda la colonna sonora (peraltro due delle quattro candidature agli Oscar nel 2019 proprio in questo campo). A differenza del primo Mary Poppins dove tra le varie canzoni ce n'erano tre che sono rimaste nella storia ("Basta un poco di zucchero", "Supercalifragilistichespiralidoso" e "Cam camini spazzacamin") qui invece le canzoni (che ammiccano agli originali senza averne freschezza e orecchiabilità) sono tutte una più anonima dell'altra. Insomma il regista (quel Rob Marshall di cui purtroppo ci si ricorda anche per il pessimo recente fantasy musicale Into the Woods), anche se riesce a commuovere con i ricordi della madre venuta a mancare, non è riuscito a fare il miracolo e a replicare la magia. Mary Poppins è e rimarrà unica ed irripetibile. Comunque carino, e si lascia guardare. Voto: 6

The Hunt (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Pur utilizzando un espediente già rivisto e per certi versi classico (feroce caccia all'uomo), si rivela un film che miscela diversi generi, tra action, horror plasmati insieme con una tonalità che vira molto sulla black comedy, mettendo sul piatto una riflessione del momento attuale e politico della scena statunitense (anche se Trump finalmente non c'è più). La metafora è chiarissima e proprio giocando su tale chiarezza che Craig Zobel (passo in avanti per lui dopo Sopravvissuti) mette di fronte un'ala liberal sadica ed assassina e delle potenziali vittime che, a parte la protagonista, sono talmente odiosi che riesce difficile empatizzare con loro. Sorprendente nei primi minuti dove potenziali protagonisti... non si rivelano tali, qualche buon ribaltamento di cliché ed un finale che cita esplicitamente Kill Bill. Non perfetto, ma comunque molto buono con una Betty Gilpin (star della serie Netflix Glow) tosta e bastarda come poche (Hilary Swank invece appare poco ma è un villain davvero riuscito) e dal buon ritmo che concede poche pause. Merita almeno una visione. Voto: 6,5

Il diritto di opporsi (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Buon esempio di cinema dal forte impegno civile, Just Mercy traendo le mosse da eventi reali (si basa sul libro di memorie pubblicato dallo stesso avvocato Bryan Stevenson, ancora oggi attivo ed impegnato a combattere le ingiustizie del sistema legale) riflette in maniera canonica sul concetto di "diritto", elemento imprescindibile per una società che si consideri in salute, lavorando dall'interno della corrotta macchina di giustizia e rovesciandone le consapevolezze attraverso un processo di implosione. Piuttosto netta e con poche sfumature la collocazione morale delle forze in gioco: i neri sono i buoni, i bianchi i cattivi. Questa rappresentazione netta e poco stratificata (probabilmente anche vera) addormenta un po' la capacità critica in favore di un sentimentalismo che ricerca l'effetto, indugiando sui volti contriti dei protagonisti. Senza guizzi la parte processuale, assente quella investigativa che poteva ricostruire il delitto. Cede alla retorica nella parte finale, ma era da mettere in preventivo, mi avrebbe stupito il contrario. Discreti Michael B. Jordan e Brie Larson (seppur quest'ultima è un po' in disparte rispetto agli altri), fantastici Jamie Foxx (in sottrazione) e Tim Blake Nelson nel ruolo del testimone chiave del processo. Un lavoro (assimilabile a Marcia per la libertà ma con una storia più potente) dall'impianto classico, un dramma per famiglie che tutto sommato va a segno. Da non perdere i titoli di coda, in cui appaiono i veri protagonisti di questa incredibile storia. Una storia che indigna, dalla sceneggiatura diretta che racconta fatto dopo fatto senza fronzoli, supportata da una regia classica (quella di Destin Daniel Cretton) che permette alle emozioni di farsi largo (però non troppo). Voto: 6,5

Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Dopo aver visto il trailer e letto alcune recensioni mi aspettavo molto di peggio, invece il film si lascia piacevolmente guardare, molto curato nella fotografia, nelle scenografie (tanti colori e kitsch esagerato, forse troppo) e nella coreografia delle scene d'azione e la Margot Robbie è l'interprete ideale del personaggio, peccato solo che non decolli, per una trama confusa e poco interessante (con personaggi macchiette e monotoni) ma sopratutto per un ritmo altalenante che alterna momenti riusciti a parti francamente noiose. L'azione a tratti sì diverte, ma è tutto il resto della cornice a mancare di brillantezza di scrittura ed equilibrio narrativo. Atmosfere insistentemente "woman power", per quanto la storia si basi su di un fumetto (pulp) della DC. Si parla sempre di Joker o di Batman senza che mai nemmeno si vedano e c'è un cattivo davvero scelto male (Ewan McGregor non funziona proprio). Le coprotagoniste (anche per quanto belle, soprattutto Mary Elizabeth Winstead e Jurnee Smollett-Bell di Lovecraft Country) non riescono proprio ad uscire dall'ombra di Margot Robbie tanto che queste Birds of Prey alla fine non se le fila nessuno (anonima la regia dell'esordiente Cathy Yan). Suicide Squad, almeno, aveva una bellissima colonna sonora. Troppa musica fracassona e invadente, seppure la scelta delle tracce non sia male. Un film guardabile e nulla più, che vorrebbe rifarsi come "Deadpool" al femminile, ma l'operazione è riuscita solo in parte (certamente lontana come livello qualitativo). Voto: 5

The Breadwinner (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Nella Kabul dominata dal fanatismo talebano la famiglia di Parvana, rimasta senza il padre (incarcerato senza motivo), viene presa di mira dai fondamentalisti che la costringono a mille prove e sotterfugi per sopravvivere e riconquistare la dignità. L'essenzialità del disegno animato riesce a trasmettere la sofferenza e il dramma non meno che un reportage sul campo, con in più la delicatezza di un racconto educativo anche per l'infanzia, grazie al doppio registro fra il realistico e il fiabesco (anche se perlopiù adatto a un pubblico non troppo giovane). Questo bel film d'animazione infatti, delicato e poetico nel tratto fortemente stilizzato ma forte e crudo nel raccontare le vicende familiari della piccola protagonista e l'assurdità delirante delle imposizioni e dei divieti che deve affrontare, viene impreziosito da splendidi inserti in cui la realtà cupa e disperata si trasfigura in una fiaba di iniziazione piena di colori ed incanti. In questo senso, di qualità la colonna sonora, buono anche il doppiaggio italiano. La regista, Nora Twomey, quale ha collaborato con Tomm Moore ne La canzone del mare, ci regala quindi una storia poetica e toccante, un film (seppur non perfetto e non così tanto emozionante o coinvolgente come ci si aspettava) coraggioso ed indispensabile, un film possibilmente da vedersi. Meritata la candidatura per il miglior film d'animazione ai Premi Oscar del 2018. Voto: 7

Le cose che verranno - L'avenir (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Film estremamente ambizioso, nel tentativo di coniugare la crisi esistenziale di una donna giunta a quella soglia in cui il rapporto con l'anziana madre diviene ingestibile, quello con il marito naufraga nel più banale dei modi, con quella intellettuale di un'insegnante di filosofia spiazzata dal rapporto con la generazione degli ex-allievi, del prediletto ex-allievo (la figura più debole dell'intero film, incapace di sostenere il ruolo fondamentale assegnatogli, ma, c'è da dire, tutti i personaggi risultano troppo sbiaditi nel confronto con una Huppert che divora lo schermo), giovani intellettuali alla ricerca di nuove strade (che di nuovo, in realtà, non paiono avere molto), spiazzata ancor più da una logica editoriale che pretende di imporre i dettami di un marketing attento unicamente all'immagine a pubblicazioni di nicchia. Promettenti premesse, complicate da dotte citazioni letterarie e musicali, che la sceneggiatura non riesce a sostenere, a sviluppare, via via incartandosi in una ripetitività priva di sbocchi diversi da un finale deludente. Si salva Isabelle Huppert, capace di rendere credibile un personaggio difficile tramite uno stile interpretativo che nulla concede all'accattivante, tutt'altro, capace di durezze ed asprezze quanto di subitanee fragilità. Regia (di Mia Hansen-Løve) senza fronzoli, scorrevole e non superficiale, mentre lo screenplay appare talvolta fragile e incompiuto. Un film che sinceramente non rivedrei, racconta una storia piuttosto comune, lo fa con garbo, senza eccessi ma anche con freddezza e distacco. Voto: 5,5

Minari (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Il quasi esordiente Lee Isaac Chung racconta una famiglia in cattività, dove ognuno è alla ricerca della propria realizzazione e fondamentalmente di una collocazione identitaria in una terra che non è ancora propria. La mancanza di collaborazione in questa ricerca porta ad un'ovvia crisi che rischia di far saltare definitivamente il già fragile equilibrio, ma è solo quando la crisi, letteralmente, esplode che i protagonisti ritroveranno ciò che è più importante per loro: l'amore famigliare. Minari è una storia insolita e delicata, intima, capace di emozionare e di far sorridere, che vede nella coppia nonna-nipote, il più grande il più piccolo del nucleo, il punto di interesse attorno al quale ruota la storia e che simbolicamente la rappresenta nel suo andamento. Minari è un film dolce e amaro che mostra la demistificazione del sogno americano, le aspirazioni, i sentimenti e le emozioni di una famiglia coreana emigrata negli Stati Uniti in cerca di fortuna. La prima sensazione che ho avuto era che fosse un reboot di Un affare di famiglia, poi passano i primi 10 minuti e il film cresce, ma non fa meglio di quel bellissimo film. Ecco, a mio avviso manca quel qualcosa in più che quel film aveva, ma comunque sia mi è piaciuto abbastanza. Minari infatti, sorprende ugualmente e in positivo per la sua leggerezza e sensibilità, non forzando niente per cercare di stupire. Si apprezza, inoltre, come è stata dettagliatamente rappresentata una famiglia emigrata (eccetto il piccolo David) con tutti i suoi problemi annessi, senza mai cadere nel melodrammatico. La regia è al servizio della storia, come lo sono le note del commento musicale. Quest'ultimo soprattutto ho apprezzato in particolar modo, bellissima è difatti la dolcissima colonna sonora originale. Bravi tutti gli attori: Yoon Yeo-jeong nella parte della nonnina fuori come un balcone ha vinto l'Oscar per la migliore interpretazione di non protagonista (l'unico a fronte delle 6 candidature), l'abbiamo già vista in The Housemaid (2010) e In Another Country (2012)Steven Yeun lo avevamo visto recitare la parte dell'amico ricco e viziato nel film Burning di Lee Chang-dong del 2018. La storia è proprio carina e lascia qualcosa al termine della visione, davvero un bel film. Voto: 7

Volevo nascondermi (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2021 Qui - Il fresco vincitore di ben 7 David di Donatello nell'edizione di quest'anno (tra cui quello per il miglior film), è un film riuscito solo in parte. Fotografia e ambientazione campagnola contribuiscono sì a fornire la cornice più adatta al mostruoso lavoro di Elio Germano, che si trasfigura letteralmente nel pittore svizzero-emiliano (sicuramente meritati i Premi assegnategli, prima a Berlino e poi ai David), tuttavia il film viene un po' a fatica, perché, invece di tentare la via del racconto organico, traccia un ritratto per frammenti, incisivi, significativi, aderenti al personaggio quanto si vuole, ma confluenti in un insieme nevrotico, capace di mettere a prova. In sostanza un one man show attorno a questo malinconico, tormentato e folle genio, interessante soprattutto per chi ha amato (o perlomeno conosca) l'artista. Giorgio Diritti si concentra sull'uomo, sull'infanzia che ne ha turbato la psiche e sulla sua ricerca di un'accettazione da parte del prossimo. I fatti pedissequi destano poche emozioni in quanto manca la connotazione del periodo storico (dopotutto siamo a cavallo della Seconda Guerra) anche se a livello ambientale l'uso del dialetto ci riporta all'epoca dei fatti. La sceneggiatura non è un granché, i personaggi secondari non sono ben sviluppati e i salti temporali rendono molto confusionario il tutto, rischiando di rovinare un film che nel complesso non è male. Meglio è sicuramente la buona colonna sonora che accompagna dolcemente i momenti in cui si vive la natura in tutta la sua essenza. A conti fatti buono, ma non buonissimo. Voto: 6+

venerdì 21 maggio 2021

Solamente nero (1978)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/05/2021 Qui - Buon film giallo sull'onda di Dario Argento, il titolo Solamente nero è in chiara opposizione a Profondo rosso, da cui oltretutto parrebbe ispirarsi, anche se i modelli sono più di uno. Ci sono alcuni momenti ben girati con una discreta suspense, in questo si vede la buona mano del regista Antonio Bido, una mano solida e curata, con un certo gusto estetico. L'intreccio, a dire il vero, non è solidissimo e chiarissimo, bisogna fare qualche sforzo per far quadrare tutti i conti. Il twist finale non è male architettato, in precedenza però la pellicola offre parecchi momenti di stanca e digressioni che dilatano fin troppo avvenimenti tutt'altro che fondamentali per la comprensione del contesto. Venezia è sfruttata bene, ma secondo me è un po' troppo luminosa per un thriller nero. Abbastanza ben caratterizzati ho trovato i personaggi di contorno, tutti tipi loschi e poco di buono, che hanno scheletri nell'armadio. Si avvale di un gruppetto di buoni interpreti (tra i quali spicca Craig Hill, pregnante nel ruolo del prete) e di un'ottima fotografia che sa immergere lo spettatore nelle atmosfere del film. Poco sfruttata la risorsa della piccola comunità rurale che sembra celare segreti indicibili, nello specifico è facile pensare a La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati e non solo per la presenza di Lino Capolicchio (a proposito di ciò il suo arrivo in città sembra preso pari pari da quel film, ma siamo in treno e non su un battello e lei è la Stefania Casini e non la Francesca Marciano, e tuttavia gnocche entrambi). Purtroppo quell'ostile sentore resta troppo sullo sfondo, come è blando l'attacco ai poteri forti, messi alla berlina senza adeguato approfondimento (la colonna sonora poi non è fra le migliori sentite in questo tipo di film). Altra pecca è la piatta confezione degli omicidi, perpetrata dal solito assassino di nero vestito. Per essere un film di quegli anni, c'è poco sangue. La scena della vecchia bruciata viva, però, è raccapricciante. In complesso il film non è male (non troppo bello e non troppo brutto), gli manca solo quel qualcosa di indefinibile che ne avrebbe fatto una più che discreta pellicola. Così com'è è solo un buon film, un film non del tutto originale, ma copiato certamente con stile. Voto: 6,5

La casa dalle finestre che ridono (1976)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/05/2021 Qui - Un film a suo modo unico nel contesto italiano (e non). Più vicino al seguente Shining (abitazioni con un passato di sangue, follia latente) che al coevo thriller grandguignolesco alla Dario Argento (all'epoca al top della carriera e dell'inventiva). Pupi Avati, sceneggiatore tra gli altri, con Maurizio Costanzo (quando ancora aveva il cervello a posto) e Gianni Cavina (che interpreta Coppola), azzecca l'idea di trasformare un anonimo paesino del Ferrarese in un autentico antro del male. Male che ha fagocitato l'intera popolazione, e i cui segreti si scoprono a un carissimo prezzo. Inevitabilmente datato per certi aspetti (ritmo lento, flashback non proprio raffinati, la "congiura" ostentata dai paesani nei confronti del protagonista fin dall'inizio) ma ancora inquietante e sorprendente nel riuscito mix tra orrore, grottesco e patologico. E l'atmosfera è opprimente, claustrofobica, riducendo al minimo la violenza. La sorpresa finale poi, è davvero sbalorditiva, è ciò che segue ha il pregio di non essere accomodante o consolatorio. Funzionali musiche di Amedeo Tommasi. Come è stato scritto/detto più volte la grande intuizione del regista è stata infatti quella di ambientare un film horror in un ambiente solare come quello campagnolo, ma che tuttavia diventa improvvisamente inquietante (anche nell'immaginario comune) quando ci si imbatte nelle strane storie di paese e nei casolari abbandonati lungo la strada. La casa dalle finestre che ridono si presenta quindi come un thriller ordinato, curato nei minimi particolari e ben girato grazie ad un ritmo ben distribuito che svela astutamente l'intrico della trama, sebbene con qualche caduta negli "effetti speciali", comprensibile e quindi perdonabile (come perdonabile è l'infelice divagamento sentimentale-erotico a metà film, che fa cadere la tensione e forse non serviva, perché quanto era dolce e bella Francesca Marciano?). Nonostante ciò, a più di quarant'anni di distanza, è un film ancora capace di reggere splendidamente la prova. Voto: 7+

L'ultimo treno della notte (1975)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/05/2021 Qui - Il classico film natalizio, scherzo ovviamente. L'ultimo treno della notte è un gran bel pugno allo stomaco. Non per caso considerato, a quei tempi, un film cruento e violento. L'implacabile epilogo è chiaramente ispirato a L'ultima casa a sinistra di Wes Craven, considerato tra i primi e più riusciti rape and revenge a cui è doveroso aggiungere anche questo ragguardevole esempio italico. Rispetto al lavoro del collega americano Aldo Lado lavora molto meglio sugli aspetti sociali, presentandoli sempre un po' grezzi ma di sicuro meno superficiali. Non manca infatti la solita (però in questo caso ferocissima) critica alla borghesia. Pochi i particolari cruenti, molto viene suggerito e a restare impressa è soprattutto la scena dello stupro all'arma bianca. Il regista riesce comunque a creare un clima di terrore psicologico difficilmente tollerabile in più frangenti, seppur la pellicola del collega Craven, almeno da questo punto di vista (parere molto personale), sia ancora più sgradevole. Certamente la parte centrale del film è la migliore, sia dal punto vista visivo, sia per l'abilità del regista di creare un'isola a se stante dalle convenzioni sociali in cui viene commesso e ammesso di tutto, evidenziando le dinamiche tra i vari personaggi, dove spicca una Macha Meril veramente perfida fino al midollo, abilissima nel manipolare i due teppisti per dare libero sfogo alla propria personalità repressa dietro la facciata di donna irreprensibile. Gli aspetti negativi riguardano la poca originalità del film, la noia presente in alcuni momenti e la recitazione abbastanza mediocre (a parte Flavio Bucci ed Enrico Maria Salerno, quest'ultimo davvero grande). La pellicola poi, perde quota proprio nel finale, durante il quale le coincidenze iniziano a suonare come troppo forzate e alcuni sviluppi vengono sveltiti sottraendo realismo alla vicenda (e ci sono anche parecchi errori tecnici). Le musiche di Ennio Morricone inoltre, le ho trovate piuttosto anonime. Bellissima invece, perché straniante ma paradossalmente efficace, la canzone di Demis RoussosA flower's all you need che si può ascoltare all'inizio e alla fine subito prima dei titoli di coda. Però in conclusione, tra critica sociale e violenza degenere prende corpo un film crudo e grezzo, ma solido, compatto e coinvolgente, niente d'eccezionale certo, ma un film abbastanza interessante e riuscito. Voto: 6,5

Tutti i colori del buio (1972)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/05/2021 Qui - Dopo aver subito un violento trauma la bella Jane comincia da essere perseguitata da ricordi terrificanti legati alla sua infanzia. Sergio Martino apre questo suo thriller con una sequenza onirica davvero interessante e per tutto il film sfoggia una maestria non indifferente, ricorrendo spesso ad inquadrature sofisticate e optando per una messa in scena sicuramente suggestiva. L'introduzione ai vari argomenti è sulle prime molto incisiva con appetitosi richiami oscillanti tra realtà e presunte allucinazioni. Si genera una forte curiosità grazie al tentativo di disorientare lo spettatore a più riprese, cercando di forgiare una tensione attribuibile più a deliri mentali che a una tradizionale trafila di efferatezze. Tutti i colori del buio purtroppo perde di forza nella concatenazione degli avvenimenti, spesso riproposti con troppa ostinazione nell'ambito di uno script tortuoso e confuso in molti passaggi che pervengono piuttosto forzati. Tra congiure familiari e una setta satanica dedita a messe nere i fili si riannodano in maniera non proprio soddisfacente nel finale, alimentando così qualche perplessità di troppo. Il regista riesce comunque a concretizzare uno scenario stuzzicante facendo buon uso dei personaggi a disposizione, molto in parte Edwige Fenech, ovviamente sempre cortese nel deliziare lo sguardo con le sue prorompenti doti fisiche. Intorno la protagonista circolano molti volti noti del cinema anni '60/'70, tra cui un Ivan Rassimov con lenti cerulee, George Hilton e Susan Scott. E pur con qualche difetto, e pur qualche evidente debito con Rosemary's Baby di Roman Polanski, il film di Sergio Martino è un prodotto di buona fattura, un prodotto tutto sommato da vedere. Voto: 6+

Gli orrori del castello di Norimberga (1972)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/05/2021 Qui - In uno splendido castello gotico viene riesumato il "fantasma" di un barone ucciso in condizioni terrificanti che sparge orrore dovunque, con gli elementi tipici delle novelle in bilico tra l'esoterico e il giallo. Un diabolico Joseph Cotten regge così per intero una sceneggiatura abbastanza risibile, mentre gli attori principali, compresa la gnocchissima Elke Sommer, non sono all'altezza delle parti (inespressivo il personaggio del giovane erede del barone, a cui tocca essere l'imbarazzante artefice del ridicolo desiderio di "riesumazione"). Poco male, perché Mario Bava ci mette da una parte un'aspetto scenografico superlativo (a parte la maschera del barone che è piuttosto grottesca anche nell'andatura) e dall'altro almeno un paio di personaggi minori memorabili (la bambina, inquietante e ambigua, bravissima, e una medium che assomiglia quasi a Barbara Steele). Il regista è infatti bravissimo nel descrivere e sviluppare un racconto esile (quasi inesistente) con invenzioni, scenografie, musiche (quest'ultime in verità non adattissime secondo me), luci e quant'altro ancora, anticipando un modo unico di fare cinema, la cui eredità sarà ripresa dal suo "discepolo" Dario Argento. Certo, il film alterna momenti riusciti (la morte del tizio nella cassa per esempio) a momenti che mi sono piaciuti poco, ma la regia di Bava, i momenti ironici e le autocitazioni ne fanno un film che tutto sommato merita un'occhiata dagli appassionati del genere. Anche perché il finale è così avvincente che supera di gran lunga limiti di produzione, dialoghi scadenti, enfatizzazioni tipiche del cinema artigianale, etc, insomma un prodotto godibile, che non smentisce la fama del suo creatore. Voto: 6

Una lucertola con la pelle di donna (1971)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/05/2021 Qui - Carol sogna quasi ogni notte di assassinare la libertina e provocante vicina di casa per la quale prova attrazione fisica e avversione al tempo stesso. Con sommo stupore apprenderà che le sue inquietudini oniriche si sono materializzate in quanto la dissoluta signora è stata realmente ammazzata. Le modalità dell'omicidio sono identiche a quelle del sogno e a complicare ulteriormente il tutto c'è il rinvenimento di alcuni suoi oggetti personali sul luogo del delitto. Un bel rompicapo che Lucio Fulci tiene in piedi fino alla fine con mestiere tra deliri allucinati e divagazioni a carattere horror. Notevole la scena con Florinda Bolkan aggredita da un branco di pipistrelli e soprattutto quando si ritrova in un laboratorio all'interno del quale alcuni cani vengono tenuti in vita in modo aberrante. Scena che cagionò a Fulci grattacapi di varia natura e una denuncia poi finita nel nulla perché il regista dimostrò la natura artificiale degli animali, nient'altro che trucchi ideati da quel genio di Carlo Rambaldi. La pellicola è un lungo gioco di specchi deformanti in cui la realtà viene manipolata di continuo. La capacità di sorprendere, l'inserimento di sequenze caricate di una psichedelia impetuosa sostenuta dalle martellanti note di Ennio Morricone, un intreccio compatto con sporadiche e perdonabili cadute di tono, fanno di Una lucertola con la pelle di donna un ottimo esempio di giallo all'italiana. Conquistano i vari depistaggi, intriga il modo composto con cui viene svelata l'identità dell'assassino, in modo non certo convenzionale per il genere e per l'epoca, in cui epiloghi brutali erano preferiti a spiegazioni verbali. C'è un sotto-testo pessimista facilmente individuabile che attacca certi ambienti borghesi denunciandone il falso perbenismo e l'ambiguità, allo stesso modo esce un ritratto giovanile deplorevole, perso tra droghe e assenza di valori. Il titolo bizzarro, ma non privo di logica, strizza l'occhio alla cosiddetta Trilogia degli animali di Dario Argento cercando di ricalcarne le fortune, in parte riuscendoci. In ogni caso gran thriller. Voto: 7

Speciale Cinema Italiano Anni '70

Post pubblicato su Pietro Saba World il 21/05/2021 Qui - Il cinema italiano di adesso è abbastanza altalenante, anche se sono pochi gli alti e tanti i bassi, ma continua sempre ad essere fonte d'ispirazione, e pensare che negli anni d'oro del nostro cinema, dagli anni '50 ai primi degli '80 (sprazzi di '90) riuscivamo persino a vincere degli Oscar, per il migliore film, ora al massimo quelli tecnici, ma solo quando vogliono loro (quando l'Academy e il politicamente corretto non vanno a braccetto, purtroppo quasi mai). In ogni caso però, i grandi film restano, e i nostri grandi autori continuano ad ispirare, anche a 50 anni di distanza, molti i film degli anni '70 per esempio considerati capolavori e/o cult. I Settanta infatti, il decennio da me scelto per questo primo Speciale sul Cinema italiano, ci hanno visti protagonisti in tanti generi. Nel caso specifico (le mie mancanze soprattutto in ciò), spopolavano i gialli (ridefiniti all'italiana), e nell'horror, prima gotico poi generale, ci difendevamo bene. Ecco, tutto non ho visto, ho visto (persino rivisto) Argento e qualcun'altro, ho visto pellicole conosciute e meno conosciute, ma ora il bagaglio si fa più corposo con questi 6 film. Film di Maestri quali Bava, Avati, Fulci, Martino e di registi quali Lado e Bido, film simili ma diversi, però con un minimo comun denominatore, la bella "donzella", che mai può mancare. Davvero, complimenti per il buon gusto. A parte gli scherzi, ma non tanto, tutti film interessanti, che non hanno (troppo) deluso le aspettative.

lunedì 17 maggio 2021

Anno 2000 - La corsa della morte (1975)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 Qui - Pellicola altamente e volontariamente grottesca (con forte tendenza al comico) che ispirerà successivamente cartoni animati (idea della corsa automobilistica con mezzi pittoreschi lanciati in giro per la nazione con piloti scorretti che fanno di tutto per intralciare gli avversari) e videogame (idea di attribuire dei punti ai piloti per ogni pedone investito), ma non solo. Vedendolo ai giorni nostri, si ravvisa, inoltre, una forte critica ai reality show e ai mezzi di comunicazione di massa rei di distorcere la reale situazione dei fatti. Non sfugge dalle critiche neppure la figura del presidente degli Stati Uniti che viene continuamente bersagliato e rappresentato come una sorta di divinità. Presente qualche spruzzatina splatter (presenti anche notevoli donzelle con riprese di nudo variegate). Sufficiente la regia (di Paul Bartel), non sempre coinvolgente la sceneggiatura. Si segnalano, infine, le prove di David Carradine (il Bill di "Kill Bill") e soprattutto di Sylvester Stallone qui alle prese con uno dei suoi primi film. In un termine: irriverente. Un mix intelligente di denuncia, satira, e velocità (non altissima a dire il vero, ma siamo a metà anni '70 e non si andava forte come oggi!). Un film apparentemente trash e un po' cafone che lo è solo in parte, nei modi e nell'aspetto senz'altro ma non nell'animo. Politicamente scorrettissimo, ha lanciato un filone tuttora copiato, questo il suo miglior pregio, di un film che comunque, solo se preso per quello che è, un simpatico ed innocuo divertimento, può risultare piacevole e riuscito. Voto: 6+

La ballata di Buster Scruggs (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 Qui - Davanti agli occhi dello spettatore una mano sfoglia un libro a partire dalla copertina e dal frontespizio: così comincia l'ultimo film dei fratelli Joel e Ethan Coen, un film ad episodi che illustra la grande epopea americana della conquista del West da molti punti di vista diversi e soprattutto, riuscendo a comprendere molti generi diversi in un film che, si potrebbe paradossalmente affermare, non è affatto un film western. Dalla commedia con canzoni dell'esilarante episodio iniziale al bellissimo (per dialoghi e atmosfere) racconto horror-gotico finale, passando attraverso il bucolico dell'episodio del cercatore d'oro (con il vecchio Tom Waits) o il drammatico-patetico della vicenda del teatrino ambulante di Liam Neeson, il film è un continuo variare di generi e di temi, una teoria di personaggi i più vari e pittoreschi che possiamo immaginare, alcuni comici, altri di una tenerezza che commuove. E tutto questo sulla linea di un libro di racconti del vecchio West. La ballata di Buster Scruggs (candidato a 3 Oscar nel 2019) è l'ennesima conferma dell'inossidabile talento dei fratelli Coen, capaci come pochi a riplasmare le coordinate dei generi e che, in questa antologia, sintetizzano sei pillole in cui si addensano i fantasmi di un mondo passato e le eterne ossessioni di questi due grandi autori. Qualche pecca ogni tanto, ma risultato notevole. Voto: 7

Padrenostro (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 Qui - Gli anni di piombo e l'immaginazione di un bambino. Quest'ultima uno scudo ed un rifugio dopo aver assistito all'attentato del padre. Di conseguenza diventa a sua volta più protettivo nei confronti del genitore, inoltre legando un'amicizia profonda con Christian, ragazzo più grande, dall'atteggiamento sfrontato e ribelle. Fare film sul terrorismo qui in Italia è ancora un tabù e l'argomento fornisce solo lo sfondo, senza mai approfondirlo. La tensione si avverte a malapena. Non si respira quella paura o terrore che dovrebbe avere. Un film irrisolto con meno mordente di quanto avrebbe dovuto possedere. Peccato perché il soggetto sulla carta era valido. Bene Pierfrancesco Favino (come sempre), gli altri così così. Sufficienza per il coraggio dell'iniziativa, ma nient'altro. Padrenostro di Claudio Noce è un film troppo personale per arrivare allo spettatore, infatti le vicissitudini del bambino in realtà, in gran parte, le ha vissute anche il regista, che per l'appunto è parte in causa e si vede e si sente. E quel che arriva conseguentemente a ciò è prevalentemente noia. Voto: 6

Café de flore (2011)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 Qui - Un film sicuramente originale questo di Jean-Marc Vallée, che attinge a piene mani per la costruzione della sceneggiatura ad elementi onirici, parapsicologici e musicali (due storie d'amore che si intrecciano a 40 anni di distanza). C'è difatti una precisa volontà di proiettare lo spettatore in una dimensione onirica, fatta di flashforward e flashback con tanto di sottolineature musicali meta-testuali proprio usando questi stessi ingredienti come propellente di una storia che in realtà è un percorso a ritroso che si intreccia, anche, con una vicenda ambientata in un altro periodo. Il regista (della recente miniserie Sharp Objects) dimostra dunque una grande personalità cercando di fare un film (un film sul dolore dell'abbandono e sull'ironia tragica della vita, che regala fugaci momenti di felicità, difficilmente raggiungibili) con elementi nuovi e che si discostano dal cinema prettamente consequenziale, ma finisce per creare un doppio puzzle disarmonico che non viene terminato con una ricomposizione ma con un colpo di mano. Anche la scelta musicale che avrebbe dovuto essere un elemento trainante e centrale si dimostra piuttosto scontato e poco incisivo (come in parte lo è la Vanessa Paradis poco incisiva). Café de Flore ci lascia il sapore di incompiuto, di un filo non riallacciato (pur sciogliendo i nodi irrisolti nelle vite dei protagonisti) ma resta un film d'autore capace di donare delle perle di delicatezza come l'immagine del tenero abbraccio tra gli altri due piccoli protagonisti dimostrandoci che a sette anni si può sapere dell'amore. Voto: 6+

Summer Wars (2009)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 Qui - Mamoru Hosoda prosegue con la sua personalissima poetica di confronto tra giovani e società contemporanea già vista nel suo precedente film (quel delizioso La ragazza che saltava nel tempo), questa volta l'autore prova ad alzare l'asticella effettuando un parallelismo importante, ossia mondo digitale e mondo reale, quindi troveremo due "universi" che si intersecano (parametro fondamentale per l'autore), nel mondo digitale di OZ (sorta di OASIS alla Ready Player One) è possibile fare qualsiasi cosa, tuttavia il rischio di alienarsi dalla società è alto (vedasi il "campione"). Ecco, non riesce a far di più e meglio, ma riesce a non sfigurare, anzi. L'opera di Hosoda è ancora una volta una storia di formazione che si focalizza su più generazioni. Egli affronta tematiche importanti dalla percezione per le nuove generazioni delle tradizioni familiari, rappresentate ad esempio dal gioco di carte Koi Koi, fino al difficile rapporto genitori/figli con le conseguenti pressioni imposte dalla società giapponese. Il tutto viene messo in scena e narrato con una raffinatezza unica, in grado di raggiungere un target molto ampio, dunque il regista realizza un film d'animazione rivolto per tutte l'età. Ottime anche le animazioni e i disegni (bellissimi), infine impossibile non citare l'incipit sbalorditivo in cui viene presentato OZ. In conclusione Summer Wars è un buon anime, un film carino, pop e piacevole. Voto: 7

Fukushima 50 (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 Qui - Primo film importante sul tema del più grande disastro nucleare degli ultimi anni, che tutti sicuramente ricordiamo. Il regista (Setsurō Wakamatsu) decide di trascurare quasi del tutto gli eventi del terremoto sulla cittadina concentrandosi su come hanno vissuto quei giorni gli operai e tecnici della centrale (tra questi Ken Watanabe e Kōichi Satō). Gli effetti speciali sono essenziali, ma nulla di particolare. Purtroppo il film vive di una retorica incredibile (mai avevo visto il cinema giapponese spingere così troppo), in particolare quando vengono inseriti personaggi di contorno inutili ai fini della storia, quali genitori, nonni che appaiono dal nulla recitando frasi smielate e senza senso. Il finale in palestra è terribile. Sullo stesso argomento la recente serie "Chernobyl" è un vero capolavoro a confronto. Ha comunque un valore perlomeno didattico per tutti coloro che ancora ottusamente professano l'uso della fissione nucleare come fonte di energia, ma è solo per rispetto se, nel giudicare il film nel suo complesso, non sono andato sotto la sufficienza. Voto: 6

Bumblebee (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 Qui - Molto meno fracassone dei capitoli diretti da Michael Bay, ma non per questo tanto migliore o migliore, diciamo diversamente divertente, la storia è incentrata più sui sentimenti e sul rapporto tra la protagonista (interpretata da Hailee Steinfeld, una della tante bellissime della nuova Hollywood) e il robot (l'Autobot più simpatico di tutti). Ricorda a tratti Il gigante di ferro e Big hero 6, ed anche se l'originalità non è lo scopo della pellicola, la banalità e prevedibilità pesa. Il target di età a cui è rivolto questo film è sicuramente inferiore a quello dei precedenti film sui Transformers, precedenti film che sinceramente non ho mai disprezzato. Travis Knight (regista di quel gioiellino che era Kubo e la spada magica) dirige infatti un nuovo adattamento delle avventure dei "robottoni" Transformers, adattando la storia ai gusti un pubblico adolescenziale. In tal senso lo considero più una fiaba fantasy moderna che un blockbuster d'azione (bel equilibrato comunque il rapporto tra azione, ironia e sentimenti, ed ottimi gli effetti speciali). Personalmente l'ho trovato un po' noioso nella parte centrale, tuttavia l'ambientazione anni '80 (grande l'omaggio al telefilm Alf come la selezione dei brani dell'epoca), il rapporto molto tenero tra il robot e la ragazza che richiama lo Spielberghiano E. T. lo rende godibile dall'inizio alla fine. Ma sì dai, c'è di peggio, gradevole senza impegno. Voto: 6

Kin (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 Qui - Deludente action pseudo-fantascientifico (alquanto diseducativo). Trama di per sé non originalissima in cui una misteriosa e potentissima arma viene trovata per caso da un ragazzino con fratello problematico e pericolosi creditori al seguito. Il problema è che l'arma stessa, invece di restare al centro dell'attenzione, diventa un inutile orpello al servizio di una sceneggiatura colabrodo che per tutto il film non spiega chi, cosa e nemmeno perché. Un barlume di luce arriva giusto a cinque minuti dalla fine, quando il legittimo proprietario dell'oggetto si degna di fare una specie di comparsata che però, anziché chiarire, si limita più che altro ad indicare un possibile percorso probabilmente in vista di un possibile capitolo due che probabilmente non arriverà mai. Ne esce fuori un film mediocre (diretto da Jonathan e Josh Baker) che si lascia guardare in maniera scorrevole, senza annoiare con effetti speciali low budget che riportano ai nostalgici anni ottanta (di cui Terminator è il riferimento principale). Il cast prometteva bene (oltre all'esordiente Myles Truitt ecco Jack ReynorZoe KravitzDennis QuaidJames FrancoCarrie Coon e Michael B. Jordan) e speravo in qualcosina in più, davvero un'occasione sprecata. Voto: 5

Waves (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2021 QuiTrey Edward Shults ha dimostrato di avere indubbiamente talento in seguito ai suoi due primi film, Krisha e It Comes at Night, ed anche se nessuno dei due mi ha convinto, resto dell'idea che sia da tenere d'occhio. Cosicché ritengo un passo in avanti quest'ultimo film, un film diviso in due parti dove prima viene raccontato, in modo registicamente affascinante e originale, una storia di vita difficile piuttosto comune, già vista ma con occhi ben diversi e autoriali. Poi la scena rallenta per dare spazio, e si "apre" anche lo schermo come in "Mommy", alla love story dell'altra protagonista (sorella del primo, un ragazzo che in seguito ad un'incidente diverrà problematico e causerà dei problemi). Il tutto diventa più monotono e tecnicamente classico, un peccato perché il film nella sua originalità sorprendeva, anche se paradossalmente ho apprezzato quest'ultima parte di pellicola, esattamente la seconda metà. Il film, lodevole ma anche rischiosissimo, sembra naufragare quando si sofferma su personaggi che sfiorano la più abusata stereotopia (il padre-padrone orgoglioso ed inflessibile appare come il personaggio più a rischio tracollo, salvo poi riprendersi in parte con sfaccettature inedite e profonde). Di fatto l'interesse verso il regista rimane immutato e forte, anche se questa sua opera, per quanto certamente la più ambiziosa e strutturata tra le tre (anche a livello scenografico e di molteplicità di location), appare anche la più vulnerabile e rischiosa, ma paradossalmente è quella che mi è piaciuta di più. Valido il cast quasi interamente di colore (soprattutto Taylor Russell, la nuova "Zendaya", ma anche Kelvin Harrison Jr.Sterling K. Brown e Renée Elise Goldsberry, non dimenticando i "bianchi" Lucas Hedges ed Alexa Demie), ritmo altalenante causa eccessiva durata e il ripetersi di certe situazioni, finale agrodolce. Si poteva fare di meglio. Ma è un film valevole di una visione. Voto: 6+

venerdì 7 maggio 2021

Essi vivono (1988)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/05/2021 Qui - E' il 1988 quando John Carpenter, giunto al suo tredicesimo lavoro, decide di realizzare questa pellicola. Conquistatosi oramai una maturazione e una qualità artistica largamente riconosciute, il regista si cimenta nella trasposizione di un breve racconto di Ray Nelson intitolato Eight O'Clock in the Morning, storia divisa tra horror e fantascienza. Una storia che, attraverso gli "occhi" intelligenti e versatili del regista (e dello stesso protagonista), riesce a mostrare la verità che sta dietro la grande macchina della pubblicità e ci fa scorgere la possibilità di ribellarsi a un presente oscuro, guardando verso la possibilità di un futuro chiaro, luminoso e consapevole. E lo fa con un film difficile da definire, è un thriller, un horror, un film fantascientifico? Forse un po' di tutto questo. Diversamente dai film di fantascienza infatti, il film di John Carpenter (che non si stacca fortunatamente mai dal cinema di genere, più goliardico e scanzonato) non ci presenta un possibile futuro distopico, ma getta il male proprio nel presente (per noi ormai passato) delle vite quotidiane di ognuno e il male non è identificato, come spesso accade, nelle macchine quanto nella pubblicità, dilagante onnipresente subdola, che ci circonda. Il subliminale diventa qui esplicito grazie "agli occhiali della verità" e al sacrificio degli "illuminati". Il film propone in un modo originale il tema della supremazia dei media, il cui potere sulle persone è stato evidente fin dai suoi esordi. Alternando ritmi lenti a ritmi più concitati e aggiungendo una nota horror, il film riesce a farti immedesimare e dietro quegli occhiali, proprio come in un 3D, ci sei tu, a rincorrere la verità, inizialmente stordito, come i personaggi stessi, perché la verità è dura da accettare, soprattutto se sei stato cieco per tanto tempo. È "come una lama che ti penetra nel cervello". Bisogna al contempo ammettere che il risultato del film è però spesso discontinuo: si paga innanzitutto l'assenza di un protagonista carismatico (il wresler Roddy Piper sembra un po' una caricatura di Kurt Russell, ma meno espressivo e di tanto in tanto ridicolo, va molto meglio con il "compagno" Keith David), alcune sequenze d'azione sembrano girate in modo grossolano (molto forzata la scena in cui il protagonista fa una strage di alieni per le strade, ma anche la sequenza finale appare un po' dozzinale), inoltre manca la tensione che ha caratterizzato opere più nobili del regista (buoni invece gli effetti speciali, considerato che si tratta comunque di un film a budget ridotto, mentre sulle musiche, come sempre, nulla da dire e/o eccepire). Tuttavia come è sua consuetudine, il regista riesce bene nell'intento di far riflettere e pensare. Significati oltre le immagini, atmosfere evasive e fantascientifiche, un gran bel film, uno di quei rari film capaci di traghettare un potente messaggio senza smettere mai di essere genuinamente divertente. Voto: 7,5

Il signore del male (1987)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/05/2021 Qui - In un centro di ricerca alcuni studenti, aiutati da un professore e da un prete (Donald Pleasence e Victor Wong, attori feticci del regista), tentano di studiare un oggetto misterioso, non sapendo che è in ballo il destino dell'umanità. Prendendo a piene mani dagli stilemi dell'horror demoniaco (come in Rosemary's Baby si parla della nascita dell'Anticristo in un contesto inaspettato e come ne Il presagio il Vaticano risulta complice del suo occultamento) John Carpenter costruisce un film interessante e tutto sommato anche abbastanza originale: il gruppo di persone assediato in questo caso deve difendersi più dai pericoli interni che non dall'esterno e la vicenda, pur essendo tutta costruita in spazi piccoli, non abbandona mai quel non so che da fine del mondo. La tensione viene costruita sapientemente iniziando da pochi elementi che finiscono con l'esplodere rivelandosi fatali (l'esercito di barboni, la studentessa corrotta dal liquido, i sogni ricorrenti del team) e, come spesso accade con Carpenter, viene negato il lieto fine in favore di un dubbio terrificante: si lascia intendere che il sacrificio finale sia stato inutile (ed anzi controproducente), ma nel momento in cui Brian sta per toccare lo specchio partono i titoli di coda. Molto interessante anche il ribaltamento di ruolo del Vaticano: il cristianesimo si fonda sull'illusione di una salvezza che non ci sarà mai, atta a far dimenticare alla popolazione l'arrivo di un male illimitato, e la teologia cattolica ha costruito un intero sistema di tradizioni millenarie per depistare e nascondere con cura l'oggetto malefico (che sembra essere lovecraftianamente un manufatto alieno antichissimo). Però il meccanismo non è sempre perfettamente oliato, qualche lungaggine di troppo, attori (secondari in primis) non sempre all'altezza, colonna sonora meno memorabile del solito, visto il materiale di partenza, avrebbe potuto essere ancora migliore. Il signore del male (secondo capitolo di quella che il regista stesso definisce la propria "Trilogia dell'Apocalisse", preceduto dal ben più riuscito La cosa, e seguito dall'altrettanto ben più riuscito Il seme della follia) non mi è dispiaciuto dopotutto, ma speravo meglio. Voto: 6,5

Starman (1984)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/05/2021 Qui - Sintetizzando, "E.T. is for boys, Starman is for man". Sì perché praticamente un E.T. più adulto quello messo qui in piedi da John Carpenter. Ad accomunare questi film e quelli che si sono succeduti in seguito (ad esempio Cocoon e Navigator tanto per citarne alcuni) è una certa critica sociale dove si evidenzia il limite umano nei confronti del diverso (l'alieno "buono" o "esploratore", fortissimo ma allo stesso tempo innocente, che si trova a doversi confrontare con una razza umana curiosa, primitiva ed egoista). Per fortuna che "nelle situazioni peggiori riusciamo a tirare fuori il meglio di noi". Insolito prodotto il suo, ma egli, alle prese con una storia non proprio nelle sue corde, se la cava più che bene con questo mix divertente ed emozionante di fantascienza, dramma, ironia e road movie. Riesce ad essere delicato e anche commovente (soprattutto nel finale), per quanto raramente entusiasmante e anche un bel po' commerciale. D'altronde Carpenter doveva risollevarsi dall'immeritato flop de La cosa, e lo fa non arrendendosi del tutto alle regole Hollywoodiane ma dirigendo con grande eleganza (dosando bene il sentimento all'azione), una storia che non ha un grandissimo ritmo ma che si segue senza fatica. Gran parte del merito va alla coppia di protagonisti: una dolcissima Karen Allen e un bravissimo Jeff Bridges, che quell'anno si prese una nomination all'Oscar (purtroppo il resto dei personaggi sembrano buttati lì alla rinfusa, il film ruota solo intorno a loro due, ma forse è meglio così). Alla fine un filmetto godibile, incalzante, e perché no, pure divertente. Un filmetto, sì minore tra quelli diretti dal regista statunitense, certamente non Carpenteriano al 100%, perché mancano i colpi di genio, la storia è abbastanza prevedibile ed anche la durata risulta leggermente eccessiva per una vicenda simile, ma in grado di coinvolgere lo spettatore, di funzionare nonostante tutto (bene gli effetti visivi, bellissima la colonna sonora), riuscendo così ad ottenere un risultato più che lusinghiero. Nel complesso infatti, un buon film per il regista americano, lontano dai picchi assoluti ma tuttavia interessante e piacevole. Un film che oggi appare forse un po' datato ma che nel suo complesso si lascia piacevolmente guardare. Voto: 7

Dark Star (1974)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/05/2021 Qui - Il primo film del grande John Carpenter, una bizzarra e demenziale commedia di fantascienza, un prodotto a bassissimo costo dagli effetti speciali parecchio artigianali e in più di qualche occasione decisamente buffi, come l'alieno fatto con un pallone e un paio di zampe in lattice, comunque interessante nel parodiare la tanto decantata audacia yankee e pungente nello scagliarsi contro la corsa agli armamenti. L'opera è infatti una specie di parodia/versione "alternativa" di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, e presenta una serie di interessanti spunti, originali e divertenti, ed è non solo una riflessione umoristica sulla fantascienza anni '70, ma è anche un'acuta e irriverente satira del potere e dei miti tutti americani dell'eroismo e dell'amicizia virile. La Dark Star è un astronave cui è stato affidato il compito di far esplodere i pianeti instabili, il lavoro, essenziale e monotono, viene effettuato da quattro eccentrici astronauti, sicuramente degli alienati più simili a figli dei fiori fatti di qualche acido che a degli scrupolosi scienziati. Geniale l'idea delle bombe senzienti, dotate di una propria coscienza e quindi molto pericolose, i duetti tra queste e il computer di bordo sono impareggiabili, mentre all'interno della Dark Star l'equipaggio balla pericolosamente sul filo di una follia causata dal prolungato vagabondaggio spaziale. Qualche tempo morto rende non sempre armoniosa la visione, ma si viene ampiamente ripagati da alcune scene cult, come quella dell'ascensore o il finale tragicamente ispirato. John Carpenter debutta in modo lodevole dilatando un lavoro universitario, al suo fianco l'amico Dan O'Bannon, futuro autore degli script di "Alien" e "Atto di forza", per l'occasione attore, curatore degli effetti speciali e ovviamente co-sceneggiatore. La colonna sonora è ideata dallo stesso regista per quella che poi diverrà una graditissima consuetudine, brillante l'idea di alternarla con pezzi country davvero contrastanti con la malinconica solitudine trasmessa dallo spazio profondo. Mezzi molto grezzi ma il regista si mostra già pungente e predisposto alla trattazione di temi importanti. Per John Carpenter quindi un discreto debutto, non folgorante ma dignitoso. Voto: 6+

John Carpenter Filmography

Post pubblicato su Pietro Saba World il 07/05/2021 Qui - Ha da poco compiuto 73 anni, tra i suoi film più famosi ci sono Halloween - La notte delle streghe (1978)1997: Fuga da New York (1981)La cosa (1982)Grosso guaio a Chinatown (1986)Essi vivono (1988) e Il seme della follia (1994), è un regista, sceneggiatore, compositore, musicista, attore, produttore cinematografico, montatore (e chi ne ha più ne metta), lui è John Carpenter, Maestro di/del Cinema. Avrei voluto festeggiarlo prima, ma arrivo tre mesi dopo con le idee ancora più chiare, e quindi meglio così (e comunque per fare gli Auguri ci sono 364 giorni a disposizione). Ho rivisto infatti un paio di suoi film nello scorso anno, l'ultimo Christine, ed ho visto quattro suoi film che ancora mi mancavano (per l'appunto questi qui che oggi ho portato), quindi occasione più propizia di questa non c'era per omaggiarlo. Per celebrare il suo compleanno e il suo gran talento, di un regista caratteristico e fenomenale. "I suoi film sono caratterizzati da fotografia e illuminazione minimalisti, una macchina da presa non eccessivamente mobile, senza dimenticarsi però dei piani sequenza, e colonne sonore, spesso realizzate mediante sintetizzatore, composte da lui stesso o, alle volte, in collaborazione con altri. Le pellicole di Carpenter glorificano spesso degli anti-eroi, personaggi di estrazione proletaria in aperto contrasto con le istituzioni, e i suoi soggetti hanno spesso tematiche che riflettono una forte critica sulla società capitalistica americana: esempi di questo sono in particolare Essi vivono1997: Fuga da New York e Fuga da Los Angeles. Altre costanti del suo cinema sono l'analisi del rapporto fra il bene e male e un'inquietante messa in discussione della realtà che viviamo e dei valori della società moderna" (fonte Wikipedia). Da un lato influenzato, dall'altro influente, John Carpenter non si può non adorare, Cassidy de La Bara Volante lo ama, e in tal senso se volete sapere tutto quello che c'è da sapere su di lui, passate dal suo blog, mentre se volete sapere cosa ne penso io di quattro dei suoi film, continuate a leggere.

lunedì 3 maggio 2021

Scuola di mostri (1987)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/05/2021 Qui - Nelle vesti di regista Fred Dekker dopo Dimensione terrore e prima del crollo con Robocoop 3, realizzò il suo migliore lavoro, ovvero questo film, una commedia dai toni fantastici che, tra omaggio e parodia, scorre via veloce. La storia vede un gruppo di (piccoli) amici appassionati di horror (cresciuti a pane e Stephen King) fronteggiare i "mostri" classici della Universal (ci sono tutti, da Dracula a Frankenstein, da l'Uomo Lupo a La Mummia fino ad Il mostro della laguna nera), in uno scontro divertente ed epico. Davvero I Goonies in versione horror, ci sono tantissime cose che ricordano il vecchio classico: dal doppiaggio italiano fino alla figura di Frankenstein (che nei Goonies era Sloth), inoltre una delle attrici c'è in tutti e due i film, poi una battuta in particolare (peccato per la colonna sonora, piuttosto inconsistente). Si vede che è un film degli anni '80, un film simpatico e piacevole. Visto oggi risulta un bizzarro esperimento parzialmente riuscito, con dei personaggi un po' abbozzati e delle situazioni che vanno dall'infantile all'orrorifico, senza una precisa direzione. Effetti speciali modesti, costumi iperclassici nella rappresentazione dei mostri e una trama dal buon ritmo che inanella citazioni al cinema precedente e contemporaneo, con un'ironia spicciola capace tuttavia di suscitare qualche sorriso. Gustoso, ma sarebbe consigliato vederlo da ragazzini. Sarebbe stato meglio infatti se l'avessi visto 25-30 anni fa, forse sarebbe diventato anche un mio cult, ora come ora è solo un breve viaggio nostalgico, bello ma certamente non memorabile. Voto: 6+

Motorrad (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/05/2021 Qui - Arriva dal Brasile questo lungometraggio diretto da Vicente Amorim, un prodotto atipico per un regista qui alle prese per la prima volta con il cinema di genere. Un film che inizia lentamente tra silenzi prolungati e successive emozionanti scenografie naturali, che improvvisamente prende la piega del thriller, con la presenza di quattro inquietanti (mistiche) figure di motociclisti nero vestiti, con casco e muniti di machete che (senza ragione alcuna) prendono di mira i malcapitati ragazzi. Le sequenze sono dirette e montate ad arte, ambientate in paesaggi mozzafiato e con una fotografia "scialba", sapientemente usata per dare una dimensione onirica alla messa in scena. Le uccisioni crude e ben realizzate sono delle vere e proprie esecuzioni, tanto da far pensare che i protagonisti debbano pagare qualche grave scotto. Un ritmo frenetico, inseguimenti e montaggio serrato, fanno di Motorrad un'opera che intrattiene fino al finale. Non c'è da aspettarsi una storia profonda e intricata, dialoghi virtuosi e significati reconditi che possano essere compresi. Motorrad è uno slasher-action sofisticato e frenetico, un Duel (Spielberg 1971) su due ruote, che stupisce per la sua capacità di tenere incollati allo schermo con pochissimi elementi narrativi in ballo (presenze femminili lietamente comprese, Carla SalleJuliana Lohmann). Per niente memorabile, non del tutto riuscito ma particolarmente interessante alla visione. Voto: 6

Palm Springs (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/05/2021 Qui - Riprendere un'idea già vista in molteplici forme (i loop temporali e il genere romcom) per riproporla con una ricetta del tutto originale. Certo, il messaggio che sta sullo sfondo è molto semplice, ma diluito in una sceneggiatura scritta con grande forza e presentato in una cornice estetica vibrante (90 minuti di déjà-vu che non stanca, né arranca, ma si reinventa). Certo, il presupposto che rende il finale possibile è abbastanza inverosimile, ma almeno quanto lo sarebbe rimanere intrappolati nella stessa giornata per il resto della propria vita. C'è poco da dire: una commedia pregevole. Una commedia romantica che sfrutta l'elemento del loop temporale per analizzare due personaggi prigionieri del tempo a cui, soprattutto il lui, tale contesto non dispiace affatto. Personaggi che vivono, in senso letterale, infinite combinazioni di presente perché hanno un passato da dimenticare e non vedono un futuro roseo. La molla dell'amore è l'innesco per un percorso esistenziale che conduce a tale uscita. Struttura non nuova, ma un discreto lavoro sui personaggi, anche per merito degli attori, Andy Samberg e Cristin Milioti più J. K. Simmons terzo incomodo. Si ride, si riflette, si gioisce, all'infinito. Voto: 7

Suspiria (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/05/2021 Qui - Nessun reato di lesa Argentianità, anzi da lodare l'impegno del regista nel voler rileggere la fiaba originale in una chiave diversa, contestualizzando la vicenda fra passato e presente, dando spazio alla danza, velando d'ambiguità la figura della protagonista. Però, dopo una un inizio intrigante, la tensione cala ed il film si avvita su se stesso in un'eleganza formale che non regala emozioni né tanto meno riesce ad appassionare (non riuscendo mai a incutere la benché minima paura o angoscia), trascinando lo spettatore verso un epilogo orrifico tanto sanguinoso quanto poco ispirato. Film ambizioso non indegno (o quasi) ma irrisolto e di durata estenuante. Probabilmente un ritmo meno dilatato e qualche consistente taglio avrebbero giovato. Si salvano cast (anche se un'inespressiva e per nulla carismatica Dakota Johnson fa rimpiangere la stralunata Jessica Harper dell'originale, che qui pure nuovamente c'è), un paio di bei momenti e la fredda e cupa fotografia, il resto malriuscito. Pretestuosi rimandi storici, musiche fiacche: quasi quasi si rimpiange La terza madre. Definito da Luca Guadagnino non un remake ma un omaggio alle emozioni che ha provato quando l'ha visto, avrà visto un altro film. Risulta un pasticcio che poco o nulla ha a che fare con l'originale di Dario Argento. Sostanzialmente un film sul balletto, un mix fra Il cigno nero e Starry Eyes, e neanche tanto riuscito. Voto: 4,5

Maquia (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/05/2021 Qui - Quanta forza racchiusa in una sola parola: Mamma. Un finale struggente, da lacrime agli occhi, cesella una storia d'amore e sofferenza discretamente raccontata e presentata, dotata di una buona grafica, colorata e impattante, un ritmo lineare e dei personaggi dalla caratterizzazione intrigante e forte. Regia debuttante (quella di Mari Okada) ma precisa e un titolo davvero evocativo. Maquia: Decoriamo la mattina dell'addio con i fiori promessi, che trasmette un chiaro messaggio allo spettatore, ossia l'importanza dell'amore, della forza e del legame che va oltre il tempo, ma allo stesso tempo anche le conseguenze delle proprie decisioni. Figlia di una matrice fantasy molto classica ma d'impatto, la pellicola riesce a travolgere per i suoi toni delicati e per la capacità di veicolare quel messaggio con grande raffinatezza e malinconia. Non perfetto, non poetico al livello "Miyazaki", ma bel film. Voto: 7

Body Cam (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/05/2021 Qui - Il regista Malik Vitthal oltre a girare un finale prevedibile, si dimentica di fornire allo spettatore una spiegazione chiarificatrice di quello che risulterà essere l'evento chiave della storia (senza spoilerare più di tanto non si capisce in che modo il "vendicatore" ritorni per farsi giustizia). Ed è un peccato, perché il film (un horror soprannaturale con sfondo arricchito da discriminazioni razziali molto in voga in questi anni) è costruito in maniera intrigante: l'atmosfera che si respira, tra mistero e investigazione, riesce a mantenere in costante attenzione chi guarda, facendolo partecipe di un racconto che mostra un certo potenziale, grazie anche alla discreta performance dei protagonisti (quella della Mary J. Blige di Mudbound, quella di Nat WolffDavid Zayas e via dicendo). Peccato per le mancanze nel finale che ne abbassano il voto. Ma in ogni caso un film (particolare e sorprendente) facilmente vedibile. Voto: 5,5