Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/05/2021 Qui - E' il 1988 quando John Carpenter, giunto al suo tredicesimo lavoro, decide di realizzare questa pellicola. Conquistatosi oramai una maturazione e una qualità artistica largamente riconosciute, il regista si cimenta nella trasposizione di un breve racconto di Ray Nelson intitolato Eight O'Clock in the Morning, storia divisa tra horror e fantascienza. Una storia che, attraverso gli "occhi" intelligenti e versatili del regista (e dello stesso protagonista), riesce a mostrare la verità che sta dietro la grande macchina della pubblicità e ci fa scorgere la possibilità di ribellarsi a un presente oscuro, guardando verso la possibilità di un futuro chiaro, luminoso e consapevole. E lo fa con un film difficile da definire, è un thriller, un horror, un film fantascientifico? Forse un po' di tutto questo. Diversamente dai film di fantascienza infatti, il film di John Carpenter (che non si stacca fortunatamente mai dal cinema di genere, più goliardico e scanzonato) non ci presenta un possibile futuro distopico, ma getta il male proprio nel presente (per noi ormai passato) delle vite quotidiane di ognuno e il male non è identificato, come spesso accade, nelle macchine quanto nella pubblicità, dilagante onnipresente subdola, che ci circonda. Il subliminale diventa qui esplicito grazie "agli occhiali della verità" e al sacrificio degli "illuminati". Il film propone in un modo originale il tema della supremazia dei media, il cui potere sulle persone è stato evidente fin dai suoi esordi. Alternando ritmi lenti a ritmi più concitati e aggiungendo una nota horror, il film riesce a farti immedesimare e dietro quegli occhiali, proprio come in un 3D, ci sei tu, a rincorrere la verità, inizialmente stordito, come i personaggi stessi, perché la verità è dura da accettare, soprattutto se sei stato cieco per tanto tempo. È "come una lama che ti penetra nel cervello". Bisogna al contempo ammettere che il risultato del film è però spesso discontinuo: si paga innanzitutto l'assenza di un protagonista carismatico (il wresler Roddy Piper sembra un po' una caricatura di Kurt Russell, ma meno espressivo e di tanto in tanto ridicolo, va molto meglio con il "compagno" Keith David), alcune sequenze d'azione sembrano girate in modo grossolano (molto forzata la scena in cui il protagonista fa una strage di alieni per le strade, ma anche la sequenza finale appare un po' dozzinale), inoltre manca la tensione che ha caratterizzato opere più nobili del regista (buoni invece gli effetti speciali, considerato che si tratta comunque di un film a budget ridotto, mentre sulle musiche, come sempre, nulla da dire e/o eccepire). Tuttavia come è sua consuetudine, il regista riesce bene nell'intento di far riflettere e pensare. Significati oltre le immagini, atmosfere evasive e fantascientifiche, un gran bel film, uno di quei rari film capaci di traghettare un potente messaggio senza smettere mai di essere genuinamente divertente. Voto: 7,5
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