venerdì 31 gennaio 2020

Zanna Bianca (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2020 Qui
Tema e genere: Il primo film d'animazione che, realizzato per il grande schermo, si ispira all'omonimo romanzo di Jack London.
Trama: Un coraggioso cane lupo, raccolto da una tribù indiana, viene a contatto con la crudeltà e avidità umana ma anche con persone buone che rifiutano la violenza.
Recensione: La storia di Zanna Bianca, una delle opere più famose dello scrittore Jack London, ha avuto numerose trasposizioni cinematografiche. Con questa coproduzione "Alleata", però, il romanzo si trasforma per la prima volta in un film di animazione. La regia è affidata ad Alexandre Espigares, qui al suo primo lungometraggio, ma già attento animatore e vincitore di un Oscar nel 2013 per il cortometraggio animato Mr Hublot. Questo adattamento, però, con una scelta forse discutibile, intreccia la storia di Zanna Bianca con quella del romanzo Il richiamo della foresta, cambiandone specialmente il finale. Uno dei punti forti del film è la tecnica di animazione, che imita la pittura a olio e presta attenzione ai colori, alla luce, ma anche al realismo dei paesaggi e dei movimenti degli animali, ripresi grazie alla motion capture. I volti degli umani sono volutamente ispirati a fisionomie visibili nei film di Sergio Leone, che danno alla pellicola un aspetto western, peccato invece per la resa dei corpi, spesso legnosa e impacciata. Zanna Bianca ha la capacità di rivolgersi a un pubblico più giovane senza edulcorare le vicende o snaturare il cuore di una storia ambientata in un mondo quasi primordiale: la natura è mostrata infatti nelle sue meraviglie ma anche nei suoi pericoli. La parte più affascinante del film è proprio l'avventura di scoperta del cucciolo che, accanto alla madre, fa la sua prima esperienza del mondo. Accompagnati dal narratore (che nella versione italiana ha la voce calma e profonda di Toni Servillo) seguiamo all'inizio il percorso di crescita del lupacchiotto, che conosce la prima neve, le prime difficoltà, e comprende le differenze tra sé e gli altri. Una delle scelte più "audaci" e anche più riuscite è quella di rappresentare la violenza senza metterla direttamente in scena: ci sono momenti di tensioni, lotte tra animali, minacce e colpi di fucile, ma mai esibizioni cruente.

Dogman (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2020 Qui
Tema e genere: Ispirandosi al cosiddetto delitto del Canaro, questo film drammatico, selezionato per rappresentare l'Italia ai premi Oscar 2019 nella categoria per il miglior film in lingua straniera (ma non è entrato nella short-list dei dieci film pre-selezionati), 
Trama: Un uomo tranquillo, che vive per i suoi amati cani e per la sua figlioletta, è succube di un ex pugile violento che terrorizza l'intero quartiere. E dopo varie angherie egli finirà per prendere consapevolezza su quanto negativa sia l'influenza dell'amico, immaginando una vendetta dall'esito inaspettato.
RecensioneDogman, nono film di Matteo Garrone, è l'ennesima favola nera (nerissima) della sua carriera, iniziata sotto il profilo di un "realismo poetico" e proseguita, da L'imbalsamatore (2002) in poi, con storie estreme in cui i personaggi si muovono come in un sogno, spesso un incubo, o appunto come in una favola nera. Qui c'è un uomo piccolo e mite, ovvero Marcello (interpretato da uno strepitoso Marcello Fonte, attore sgraziato e capace di infondere purezza al suo personaggio), amorevole con i cani (e con la figlia), ansioso di avere l'amicizia  delle altre persone del quartiere, debole con chi fa la voce grossa con lui come Simone. Per proteggerlo (per paura di lui), Marcello finirà anche in carcere. Al suo ritorno le cose precipiteranno, tra isolamento dei vicini e nuove angherie di Simone. Come detto, il film si ispira, liberamente, al cosiddetto "delitto del Canaro", che si consumò a Roma negli anni '80, a Garrone però non interessa ricostruire fedelmente quel delitto, che trasporta in un'altra zona e in un'altra epoca (è ambientato ai giorni nostri). Più importante, come negli altri suoi film, è il contesto e lo sfondo visivo: un panorama suburbano squallido, tra architetture orribili, costruzioni abbandonate e squarci di natura selvaggia, tanto da far pensare a un incrocio tra un western suburbano e un horror tra l'allucinato e l'onirico (grazie anche ai temi musicali che si susseguono). Attorno a Marcello (pauroso quando le cose si mettono male, ma anche desideroso di rispetto) non c'è solo Simone, violento e costantemente fuori di testa, ma anche altre persone come i proprietari di negozi e locali accanto a lui che condividono l'insofferenza ma anche la potenziale violenza nei rapporti.

Zoran, il mio nipote scemo (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2020 Qui
Tema e genere: Il regista Matteo Oleotto, qui alla sua prima opera come regista, filma una pellicola all'insegna della dolcezza e della delicatezza, dove i buoni sentimenti ed una positiva speranza trionfano nonostante lo scoraggiamento, il cinismo e l'egoismo sembrino prendere il  sopravvento su tutto.
Trama: Paolo vive in un paese vicino al confine sloveno, dove lavora nella mensa di una casa di riposo, e passa il suo tempo libero tra dispetti al nuovo marito dell'ex moglie e il bar. La sua vita cambia improvvisamente con l'arrivo di Zoran, un ragazzo chiuso ma intelligente, che dovrà ospitare per qualche giorno.
Recensione: In un paesello del Friuli la vita trascorre tra poco lavoro e bevute in osteria giocando a freccette. Paolo Bressan (Giuseppe Battiston) è un uomo solo, arrabbiato con il mondo e forse con sé stesso per non essere riuscito a tenersi l'unica persona che abbia mai amato, ovvero la sua ex moglie. Lavora in una mensa per anziani ed è astioso con tutti i suoi concittadini. La sua vita cambia quando in "eredità" da una vecchia zia slovena che non vede da anni, e che forse non ha mai conosciuto, riceve Zoran, un adolescente (interpretato da Rok Presnikar, davvero bravo) che parla un italiano aulico e quasi ottocentesco, il suo compito è ospitarlo fino a quando al ragazzo non verrà trovata una famiglia di accoglienza. Durante la convivenza Paolo, che vive la presenza del nipote come un grande disturbo, si accorge del grande talento di Zoran nel lanciare le freccette e decide di approfittarne. Ma non tutto va per il verso giusto nei desideri di Paolo, che deve fare i conti con i sentimenti di Zoran e soprattutto con se stesso. Pur in chiave da commedia (non mancano scene divertenti dove si ride con piacere) Zoran, il mio nipote scemo è un film di formazione, anche se a crescere e a maturare non sarà Zoran, ma Paolo che poco a poco, grazie alla presenza del nipote, prende coscienza dei propri limiti, del proprio egoismo e del rancore che ha nei confronti dei suoi concittadini. In un finale liberatorio, sarà proprio Zoran ad aiutarlo a capire di aver bisogno degli altri e a riconciliarsi con la propria vita.

Sette minuti dopo la mezzanotte (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2020 Qui
Tema e genere: Un fantasy, una favola, un dramma, un groppo in gola che non scende per un'ora e 40 minuti. L'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 2011 è infatti una parabola sulla morte, sul dolore, sulla perdita e sulla forza necessaria per affrontarli.
Trama: Un ragazzino, sofferente per la malattia della madre, vive un'esperienza fantastica.
Recensione: Trasfigurando metaforicamente la realtà nel fantasy, alla stregua del "recente" Babadook o The Monster o de Il Labirinto del Fauno, diretto da quel Del Toro che ha tenuto a battesimo Juan Antonio Bayona il quale già affrontò le conseguenze di traumi infantili in The OrphanageA Monster Calls, più ancora degli esempi qui citati (in cui l'elemento fantastico funziona come una sorta di seduta di psicoanalisi permanente per il piccolo protagonista, che si ritrova ad affrontare l'evento più traumatico possibile nella vita di un bambino: la morte di un genitore), lascia esterrefatti per la maturità e la sincerità con cui riesce ad affrontare i grandi temi quali la morte, il lutto, il senso di perdita, di ingiustizia e di colpa, la solitudine, il rimorso e il desiderio di rinascita senza il benché minimo accenno di retorica, senza una nota stonata, senza una parola che possa suonare artificialmente affettata, anche quando si tratta dell'ultima parola detta sul letto di morte (il confronto tra madre e figlio è da pelle d'oca). A maggior ragione se si considera il target a cui il film si rivolge per cui l'esigenza di servirsi di un linguaggio semplice che però non semplifica, non banalizza ma al contrario risulta esemplare per metterne in luce la complessità e le infinite sfaccettature. Conor si sveglia in preda al panico nel cuore della notte mentre nella camera a fianco la madre sta morendo di tumore finché una di quelle notti, 7 minuti dopo la mezzanotte, gli fa visita un mostro a forma di albero (c'è Liam Neeson dietro il motion capture), un tasso, che in altrettanti momenti gli racconterà tre storie.

giovedì 30 gennaio 2020

Il mio nome è Thomas (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/01/2020 Qui
Tema e genere: Un road movie drammatico che, dedicato a Bud Spencer, segna il ritorno di Terence Hill dietro e davanti la macchina da presa.
Trama: Thomas, arzillo anziano, in sella sulla sua moto verso la Spagna conosce la giovane scapestrata Lucia. Fra i due si crea da subito un legame di amicizia che viene cementato dalla forzata prosecuzione del viaggio insieme.
Recensione: Operazione nostalgia (giacché a prima vista sembrerebbe scritto su misura per il suo personaggio, sulla falsa riga di quello che fu il suo leggendario Trinità, solo aggiornato ai tempi nostri con una motocicletta al posto del cavallo, un incipit che è purtroppo però l'unica cosa interessante del film) per il buon vecchio Terence che dedica il film al compagno di tante, indimenticabili avventure, elaborando una storia che è una sorta di inno all'amicizia, alla libertà e alla vita con le sue tante strade da percorrere e i tanti luoghi da visitare nell'infinito cielo stellato. Una storia diretta però in maniera fredda, da fiction televisiva (un mondo a cui Hill sembra ormai assuefatto), interpretata in maniera ordinaria, dotata di dialoghi poco incisivi e scene che alternano banalità a poetica malinconia, senza avere il giusto fascino per meritare una considerazione maggiore. La regia di questo film, un film scritto dallo stesso Terence Hill in collaborazione con Luisa Tonon, e prodotto da Jess Hill (figlio dello stesso Terence), è infatti totalmente anonima, poco più che televisiva.

Cold Hell - Brucerai all'inferno (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/01/2020 Qui
Tema e genere: Thriller tedesco piuttosto inverosimile ma con una brava protagonista.
Trama: In Austria c'è una giovane tassista turca, scorbutica, sfiduciata e violenta, che si trova casualmente nel mirino di un curioso serial killer islamico. Siccome la polizia è più impegnata a cambiare pannoloni che ad indagare seriamente, lei decide di farsi giustizia da sola.
Recensione: Il regista austriaco Stefan Ruzowitzky è celebre per avere diretto Anatomy e Anatomy 2, due film dal taglio televisivo poco riusciti (e arrivati anche da noi in home video) che figurano tra i sui migliori titoli. Quindi c'era da aspettarselo che anche in questo caso sarebbe successo la stessa cosa, e infatti Cold hell (Die Hölle - Inferno), film dalle grosse potenzialità, purtroppo finisce per essere più simile a un tv movie Anni '90 (ovvero, in massima parte, noioso), penalizzato da una impostazione televisiva, priva di ritmo e vanificata (visto il tema) da una illogica forma di autocensura. La presenza di Tobias Moretti, ex Richard Moser (o commissario Rex) pur se a favore del film viene prontamente bilanciata (in negativo) dal ruolo di Violetta Schurawlow, attrice di talento, quindi non certo responsabile della parte designata da una sceneggiatura che proprio non funziona, riservandole un ruolo di fredda e inappropriatamente forzuta esperta di boxe.

Un uomo tranquillo (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/01/2020 Qui
Tema e genere: Specie di revenge movie, ma anche e soprattutto remake in salsa hollywoodiana di un film del 2014, ad opera dello stesso regista.
Trama: Quando Nels Coxman, pacifico autista di un mezzo spazzaneve, vede la vita di suo figlio stroncata da un'overdose, il suo tranquillo mondo va in pezzi. Incapace di rassegnarsi all'accaduto, l'uomo si mette sulle tracce dell'organizzazione criminale che gestisce il traffico di droga nel villaggio, eliminando uno a uno gli uomini che sono legati alla morte del ragazzo.
Recensione: Il senso di certe operazioni è incomprensibile, soprattutto quando Hans Petter Moland decide di rifare l'opera che l'ha reso celebre e fatto apprezzare, quando decide di ripetere abbastanza fedelmente il plot della pellicola originale, ma senza riuscire a farlo uguale, anzi, perché Cold Pursuit (anche in inglese, oltre a quello italiano, il titolo è più brutto in confronto all'originale) è un film annacquato se confrontato con il suo padre cinematografico. Questo remake infatti non possiede o perlomeno si vede solo a tratti, l'umorismo glaciale dell'omonimo norvegese. Di glaciale c'è sicuramente il paesaggio (nel primo film fondamentale ed indimenticabile, qui tuttavia riesce poco a farsi notare), ma l'alternarsi fra serio e commedia nera si amalgama male. Con l'intento di modificare la sceneggiatura con un humor meno nordico, Un uomo tranquillo finisce difatti per diventare una stonata via di mezzo tra un film dei Coen e la trilogia di Taken. Da una parte dovrebbe far ridere, con lo sketch ad esempio dei nomi dei vari personaggi che vengono fatti sparire man mano che muoiono, da qui anche il divertente gioco di parole del titolo norvegese (In ordine di sparizione), ma dall'altro siamo ben lontani dal gusto grottesco di Fargo.

Bushwick (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/01/2020 Qui
Tema e genere: Un action diretto a quattro mani piuttosto bene, soprattutto nelle sue numerose scene action dalla coppia Cary Murnion/Jonathan Milott, con la star da blockbuster Dave Bautista che figura, oltre che come coprotagonista, anche in veste di produttore esecutivo, rivedibile però tutto il resto.
Trama: Uscendo da una fermata della metropolitana di Brooklyn, Lucy scopre che il suo quartiere è sotto attacco da parte di alcuni militari vestiti di nero. Stupe, un ex componente dei marine, la aiuterà a malincuore a sopravvivere alla guerra civile scatenata dal tentativo di secessione del Texas dagli Stati Uniti.
Recensione: Non mi è molto piaciuta quest'opera, che di fatto si limita a seguire i due protagonisti in fuga attraverso il quartiere sconvolto dai combattimenti, tra scontri a fuoco e incontri a volte positivi a volte negativi. Le sequenze d'azione sono accettabili, anche se scarsamente realistiche. La protagonista femminile (interpretata da Brittany Snow) acquisisce un'ottima mira in poche ore di uso delle armi da fuoco, e, insieme "all'energumeno" (appunto l'ex wrestler Dave Bautista), riesce per parecchio a sfuggire ai colpi sparati dai nemici, in numero molto maggiore, ed estremamente "professionalizzati". La trama sembra poco più di un espediente per sostenere quanto mostrato su schermo, anche l'intreccio è di scarso interesse. Un paio di colpi di scena (nel mezzo e nel suo finale) non salvano la situazione (non aiuta né lo scarso doppiaggio né la sceneggiatura poco originale). Gli attori interpretano con poca convinzione personaggi piuttosto stereotipati.

Creed II (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/01/2020 Qui
Tema e genere: Sequel del film del 2015 Creed - Nato per combattere, ed ennesimo spin-off della saga di Rocky Balboa. Un dramma sportivo che riprende alcuni personaggi e vicende di Rocky IV (1985).
Trama: Adonis Creed, appena diventato campione dei pesi massimi, viene sfidato da Viktor Drago, il figlio dell'uomo che uccise suo padre sul ring.
Recensione: Questo sequel non aggiunge davvero nulla di nuovo a quanto ci è stato fin qui raccontato dell'universo espanso di Rocky. Il film di Steven Caple Jr. ribadisce, cita, ripete, arrivando anche a momenti in cui la rivisitazione del modello originale del 1985 è talmente derivativa da risultare grottesca. Creed II tuttavia è anche un film commovente e potente. Un film che si prende i suoi tempi con intelligenza, che sa creare una tensione narrativa accattivante ed empatica, e che riesce persino a commuovere in certi frangenti grazie ad una interpretazione più che discreta dei suoi attori. Micheal B. Jordan torna nei panni di Adonis sempre più in conflitto nel decidere quale strada percorrere, cercando di allontanarsi sempre di più dall'ombra e dal retaggio del padre da cui si sente inghiottito. Tessa Thompson interpreta nuovamente il personaggio di Bianca, che cerca di conciliare la sua vita da musicista emergente con quello che prova per Adonis tentando di dargli tutto il supporto possibile. Oltre a Sylvester Stallone che riprende il ruolo di Rocky Balboa e torna in veste di produttore, rivediamo anche Dolph Lundgren (c'è anche un piccolo cameo di Brigitte Nielsen) nel suo storico personaggio di Ivan Drago, rancoroso, segnato dagli anni e dalla vita dopo la ingloriosa sconfitta con Balboa. Interessante il personaggio di Viktor Drago interpretato dal pugile Florian Munteanu, cresciuto con l'odio del padre e con un grande desiderio di approvazione e di affetto. Se il (sorprendente) primo film di Ryan Coogler (qui solo produttore, nel frattempo ha firmato il deludente Black Panther) raccontava soprattutto l'inseguimento della figura paterna da parte dei figli, in questo secondo capitolo il tema diventa il superamento di questa eredità, anzi, l'assunzione stessa del ruolo paterno, dal momento che Adonis qui di fatto diventa padre. Così non deve sorprendere che il serrato match finale sembri quasi tingersi di contorni psicoanalitici, con la vittoria che diventa una questione privata anziché sportiva. Adonis e Viktor sono molto simili, entrambi chiamati di fatto non più a eguagliare i fantasmi paterni, ma a riscattarli.

Il film della Memoria: La douleur (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/01/2020 Qui
Tema e genere: Un ritratto femminile struggente e autentico è al centro de La douleur, tratto dal romanzo autobiografico di Marguerite Duras.
Trama: Nel giugno 1944, la scrittrice Marguerite vive con angoscia l'arresto e la successiva deportazione del marito Robert Antelme, figura chiave della Resistenza a Parigi. Per riuscire a ottenere maggiori informazioni sul marito, Marguerite inizia a frequentare Rabier, un agente della Gestapo francese. Anche quando la liberazione di Parigi è sempre più vicina, le notizie sulla sopravvivenza di Robert si fanno sempre più confuse.
Recensione: Tratto dall'opera autobiografica di Marguerite Duras, che mantiene i nomi reali, La douleur è un viaggio a ritroso nel tempo attraverso i ricordi e le parole, che nel film si mescolano ovviamente con le immagini, in un continuo andirivieni tra la Marguerite del presente (che ritrova i diari del 1944 e rivive i ricordi di quei giorni terribili) e quella del 1944. È il racconto di un dolore, appunto, ma anche di un'attesa e di un'assenza, e dei sensi di colpa di una donna che tradisce il suo uomo e teme di non vederlo più tornare. O forse, non sa nemmeno cosa sperare. Un grande peso nella vicenda ce l'ha il rapporto con altri due uomini: il collaborazionista Rabier e l'amante Dyonis. Con Rabier il gioco di ambiguità, di manipolazione reciproca e forse di una certa attrazione è teso e intrigante, e i dialoghi tra i due, negli incontri alla luce del sole eppure con il sapore del "proibito" e dell'illecito, sono interessanti, nella continua schermaglia, quasi un duello verbale. Senza contare che possono diventare l'esca per l'omicidio dello spregevole "funzionario". Più bloccato il confronto con il duro Dyonis, che gioca a far sentire in difficoltà Marguerite quasi a scaricare il suo (eventuale) senso di colpa. E poi c'è l'attesa, i pensieri/monologhi, le fughe nella città colpita dalle bombe, ma anche una giovane donna che sembra estraniarsi da tutto (la corsa in bicicletta, proprio durante un attacco aereo). Il film di Emmanuel Finkiel (ex attore ora regista a tutto tondo), selezionato dalla Francia per la corsa all'Oscar straniero (e vincitore di tre Premi César), è di nobile qualità letteraria, ed è prezioso storicamente nel ricordare ancora una volta a chi non sa quali periodi terribili abbia affrontato l'Europa solo pochi decenni fa, ed è significativo osservare i mutevoli umori della "folla", prima e dopo la liberazione dai tedeschi, come pure il dramma di chi tornava a casa dall'inferno con la mente sconvolta.

Il traditore (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/01/2020 Qui
Tema e genere: Selezionata per rappresentare l'Italia agli Oscar 2020 nella sezione del miglior film in lingua straniera, ma non è stato selezionata per la shortlist, questa pellicola biografica drammatica, diretta da Marco Bellocchio, narra le vicende di Tommaso Buscetta, mafioso e successivamente collaboratore di giustizia, membro di Cosa nostra.
Trama: Vita e confessioni di Tommaso Buscetta, collaboratore di giustizia contro la mafia per opera di Giovanni Falcone.
Recensione: Forse il mettere sul piatto l'ennesima storia di mafia, uno spunto decisamente poco innovativo almeno dal punto di vista del soggetto raccontato, non gli avrà fatto bene e non sia riuscito per questo ad entrare in certe liste (anzi, ne La lista), ma nonostante ciò, e nonostante questo film insista appunto su un tema purtroppo ancora attuale e tornato di moda in "campo cinematografico" soprattutto grazie a serie tv di successo (anche se gli Americani, sebbene con storie molto più romanzate, ci hanno sempre ben guazzato in questo genere con alcune pietre miliari), non si può indubbiamente dire che Il traditore sia un film inutile e non originale, anzi, non solo è utile ed in parte originale (almeno per il cinema nostrano che in questo ultimo anno ha sfornato altri due pezzi da novanta oltre a questo, penso ovviamente a Dogman ed Il primo Re), ma è anche e soprattutto un grandissimo film, una grandissima opera cinematografica. Un'opera realistica, cruda, una "ricostruzione storica" veramente accurata e dettagliata. Un film, che dallo scorso concorso a Cannes 2019, dove è stato presentato, non si è (sfortunatamente) portato a casa (nonostante probabilmente lo meritasse) nessun premio (c'è tuttavia da ricordare che nello stesso c'era Parasite, film coreano che sta facendo strage di consensi), che non annoia mai, che mischia i vari linguaggi cinematografici per raccontare fatti reali in maniera drammatica ma anche documentaristica (ripercorrendo la vicenda umana prima che criminale o processuale di Tommaso Buscetta, il più famoso pentito di mafia: anzi, "pentito" è una parola che rifiutava, non sentendosi tale). Tante le scene degne di nota, sia nelle immagini che nella colonna sonora e nella recitazione (dove a spiccare è ovviamente, anche se gli altri non sono da meno, penso a Luigi Lo Cascio e Fabrizio Ferracane, Pierfrancesco Favino, che si conferma ancora una volta un ottimo attore, superando però ogni precedente interpretazione, perché si cala benissimo a dovere nel personaggio controverso nonché ambiguo di Tommaso Buscetta, con i suoi valori, la sua cadenza, rendendolo molto simile all'Escobar di Benicio Del Toro).

La Promessa 2020, ovvero i film che vorrei vedere entro l'anno

Post pubblicato su Pietro Saba World il 23/01/2020 Qui - Due su due, ora spero di fare però tre su tre, ossia completare anche quest'anno, come nel 2019 appena trascorso (qui) e l'anno prima, la Promessa di vedere 10 film, anzi, di completare 10 obiettivi cinematografici, evitando così di non incorrere nella penalità, che quest'anno sarà vedere Dora e la città perduta, l'obbrobrioso live action di un cartone obbiettivamente scemotto. E come già accaduto precedentemente, questa speciale lista sarà divisa in due parti ben distinte, una facente parte la promessa in questione, l'altra con i titoli ancora mancanti degli Oscar 2016, 2018 e 2019, i titoli che cercherò e proverò (anche se non dipende molto da me ma dalla programmazione di Sky ed altro) a vedere prima degli Oscar 2020 in riferimento alla candidature di giorni fa e infine gli imperdibili quest'anno. Infine un piccolo bonus relativi ad i film d'animazione.

Altri quattro film (dopo quelli dello scorso anno) dell'eclettico regista giapponese, di questi ci sarà sicuramente Visitor Q

Stando a molti il peggior film di Steven Spielberg, sarà vero?

Tre film di quelli a me mancanti della sua filmografia, di questi ci sarà sicuramente Rabid

A Star Is Born (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/01/2020 Qui
Tema e genere: Esordio alla regia dell'attore Bradley Cooper (Il lato positivo, American Hustle) con un storia, ricca di musica e molto classica per Hollywood, già portata al cinema quattro volte.
Trama: Lui è una rockstar che per caso incontra lei, cameriera in un bar: la sente cantare, si innamorano e lui la lancia come stella. Ma all'ascesa di lei corrisponde il declino di lui.
Recensione: Ci sono storie che non passano mai di moda, che ciclicamente riappaiono in un eterno ritorno di fiamma con il pubblico: tra queste sicuramente A Star Is Born, giunta ormai alla sua quarta trasposizione cinematografica, dopo quelle del 1937, del 1954 e del 1976. La sempiterna favola è quella dell'affermato pigmalione che scopre il talento acerbo di una anonima ragazza e, innamorandosene, la lancia nell'empireo della celebrità, mentre nel contempo la sua stella sembra definitivamente appannarsi. Questa è la volta (dopo Janet Gaynor, Judy Garland e Barbra Streisand) di Lady Gaga, all'anagrafe Stefani Joanne Angelina Germanotta, diva del pop degli anni 2010 in fase di reinvenzione della sua carriera, ed oggi determinata più che mai ad affermare (dopo il training effettuato in un paio di stagioni della serie American Horror Story) il suo talento di interprete. Da questo punto di vista, Bradley Cooper le ha regalato una grande opportunità, scritturandola come protagonista: la Lady non solo dimostra di sapersela cavare come attrice, conquistando addirittura una nomination agli Oscar alla prima interpretazione, ma si consacra pure come musicista, attraverso il successo di critica e pubblico della colonna sonora (un mix fatto di ballad e pezzi country rock), culminato nella celebrata performance di Shallow, la canzone, di cui è anche autrice, meritatamente premiata (è davvero bellissima) nella stessa serata con la statuetta dorata. Passando a Bradley Cooper, anche lui all'esordio, nel suo caso alla regia, gli va riconosciuto di far partire l'opera con il piede giusto: nella prima parte del film decide saggiamente di affidarsi alla musica, procedendo con stile misurato attraverso un serie di scene che paiono costruite intorno ai momenti musicali. Questi, grazie alla bellezza delle musiche, all'indubbio talento vocale della sua protagonista, alla sorprendente voce rock a la Bruce Springsteen dello stesso Cooper, ed alla buona chimica della coppia, riescono ad emozionare ed appassionare.

Peterloo (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/01/2020 Qui
Tema e genere: Pellicola di stampo drammatico/storico (ma anche film di guerra) che narra le vicende del massacro di Peterloo del 1819.
Trama: Nel 1819, a Manchester, in località St. Peter's Field una tranquilla manifestazione di lavoratori si trasforma in rivolta quando l'esercito britannico con il suo attacco causa numerosi morti e feriti.
Recensione: Dopo l'esperienza (non proprio felice a parer mio) del biopic su Turner, Mike Leigh torna a dirigere un film d'epoca che descrive, nei minimi dettagli, tutte le vicende che hanno portato alla manifestazione operaia a St. Peter's Field a Manchester ed i fatti che l'hanno iscritta nella storia come Massacro di Peterloo, una delle pagine più vergognose della storia britannica. La Restaurazione sancita dal Congresso di Vienna aveva come scopo la cancellazione di trent'anni di storia iniziati con la Rivoluzione Francese, ma la Storia ormai aveva preso una piega tale che la fame e gli stenti di tanti non potevano più mantenere il benessere di pochi, arroccati su posizioni a dir poco medievali. Trattati come delle bestie le classi lavoratrici vogliono rivendicare i propri sacrosanti diritti e il regista mette perciò in opera uno dei suoi film più ambiziosi. Nulla da eccepire sotto il punto di vista tecnico. La ricostruzione d'epoca (costumi e quant'altro), i primordi della Rivoluzione industriale sono resi in maniera minuziosa (il film poi, presentato in concorso a Venezia 75, si apre con la battaglia di Waterloo e si chiude con la manifestazione di Peterloo, questo il nome poi attribuito all'evento, instaurando dunque un interessante rispecchiamento tra i due eventi storici), ma soffre di evidenti sottolineature nella narrazione. I personaggi sono alquanto schematizzati e tralasciando la mezz'ora finale dedicata al massacro di St. Peter's Field (polverosa, rumorosa, impeccabile nella sua orchestrazione e visivamente splendida, la scena della manifestazione, seppur in parte didascalica, resterà probabilmente come uno dei momenti più alti del cinema di Mike Leigh), Peterloo, la Waterloo della classe abbiente inglese, si riduce a due ore di comizio continuo che appesantisce oltremisura tutto il lavoro.

Stanlio & Ollio (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/01/2020 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico del libro Laurel & Hardy - The British Tours di 'A.J.' Marriot, questo film biografico/drammatico racconta dell'ultima tournée dal vivo dei due comici, al termine della loro carriera cinematografica, e del loro rapporto d'amicizia.
TramaStan Laurel e Oliver Hardy, il duo comico più famoso al mondo, nel 1953 affrontano un tour teatrale in Gran Bretagna. Acciaccati dall'età e con alle spalle un passato di gloria, i due vanno incontro a un futuro incerto: gli spettacoli, attraverso la nazione, si rivelano infatti deludenti, sebbene fan vecchi e nuovi continuino a divertirsi di fronte alle loro gag.
Recensione: L'ho aspettato parecchio ed avevo alte aspettative che sono state in parte ripagate. Il film infatti, diretto da Jon S. Baird, che si concentra su una parte della carriera di Stanlio e Ollio ai più sconosciuta e su aspetti personali tutt'altro che divertenti (anche se non mancano momenti simpatici), è un dolcissimo omaggio a questa coppia d'oro della comicità mondiale. Lineare, senza particolari sussulti ma godibile, l'opera rispetta lo stile cui i due fuoriclasse della risata ci avevano abituati. Non vi è nulla di eccessivo, di forzato: si sorride con gusto, ci si emoziona nel racconto. Anche perché oltre ad essere un biopic sincero e brillantemente prodotto, il film sembra anche essere una vera e propria storia d'amore fra due amici (un'apologia divertita e divertente del più introvabile dei sentimenti: l'amicizia vera e profonda, anche questo è Stanlio e Ollio). Due colleghi con una straordinaria chimica sul palco che, dopo una lunga e impegnativa tournée teatrale, capiscono di essere due veri amici. In tal senso risulta azzeccata la scelta di non fossilizzarsi sui loro successi o su una sorta di grande "imitazione" dei loro successi, ma bensì di scavare dietro il personaggio fino a scorgere la persona. Quanto la persona è diventata personaggio? C'è una grande malinconia, ma allo stesso tempo si ride, ci si diverte, grazie ad una comicità che si ripercuoteva nella quotidianità di questi due straordinari interpreti. A rendere tutto ancor più piacevole sono i due protagonisti, perfettamente calati nei rispettivi ruoli. Così tanto perfettamente che pochi istanti fanno sì che chi ha amato i due comici dimentichi totalmente (stupendi i momenti delle gag teatrali) di trovarsi di fronte ad attori che li interpretano (e ben ha fatto il doppiaggio a non cadere nel finto accento con cui in Italia son diventati famosi).

Il professore e il pazzo (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/01/2020 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico del libro del 1998 L'assassino più colto del mondo (The Surgeon of Crowthorne: A Tale of Murder, Madness and the Love of Words) scritto da Simon Winchester, film biografico drammatico che narra le vicende di Sir James Murray, che nel 1879 inizia a lavorare alla prima edizione dell'Oxford English Dictionary.
Trama: La storia dietro la creazione del primo dizionario storico della lingua inglese da parte del professor James Murray, il cui lavoro è divenuto complicato per via della partecipazione del dottor W.C. Minor, paziente di un ospedale psichiatrico.
Recensione: Film biografico e ambizioso che nasce dalla volontà di ripercorrere un momento fondamentale per la lingua inglese (ovvero la realizzazione del primo e rinomatissimo dizionario oxfordiano), Il professore e il pazzo (The professor and the Madman) poggia tutto il suo peso sul valore della storia e su un cast di grandi nomi in cui spiccano Mel Gibson e Sean Penn nel ruolo di co-protagonisti (il primo comunque risulta eccessivo in un ruolo che sicuramente gli piace troppo, con il suo senso di onnipotenza che pervade per tutta la durata del film, mentre il secondo è imprigionato, anche letteralmente, in un ruolo che non gli permette di svecchiarsi e che lo lega a passate interpretazioni, funzionano meglio i personaggi femminili: buona l'interpretazione di Natalie Dormer, anche se il suo personaggio vive un'avventura fin troppo prevedibile, mentre risulta perfetta nel ruolo di moglie devota e saggia Jennifer Ehle). Un confronto che tutto sommato diventa cuore e anima del film, perché vede il faccia a faccia tra un autodidatta assai volitivo e lucido e un uomo di studi (medico e chirurgo) parzialmente oscurato dalla malattia psichiatrica. Un confronto particolare e interessante che infine troverà nella passione per la lingua, e in tutte le sue sfumature, un terreno fertile di dibattito e unione. Eppure, al netto di un progetto interessante e di una storia con un suo indubbio potenziale, il film diretto da P.B. Shemran (collaboratore dello stesso Gibson che aveva contribuito alla scrittura di Apocalypto) mostra quasi subito le sue molte debolezze, dettate forse in particolar modo dalla non capacità della scrittura di rendere fluida e affascinante una storia con così tanti risvolti, valori e sotto-testi.

Animali fantastici - I crimini di Grindelwald (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/01/2020 Qui
Tema e genere: Secondo episodio della serie avventuristica di fantasia Animali fantastici, spin-off e prequel della serie cinematografica di Harry Potter, ispirata all'omonimo libro di J. K. Rowling.
Trama: Evaso dal carcere, Gellert Grindelwald si nasconde a Parigi e progetta di sottomettere il mondo alla sua ideologia. Newt Scamander cerca nuovamente di contrastarlo, spronato dal suo ex professore Albus Silente.
Recensione: Dopo il film del 2016 era salita tantissimo l'aspettativa per il prosieguo della storia di Newt Scamander (Eddie Redmayne), il (simpaticissimo) magizoologo uscito dalla penna di J.K. Rowling, ex studente di Hogwarts e protetto di Albus Silente, soprattutto perché ci si aspettava da questo secondo capitolo un deciso cambio di profondità, una narrazione più originale, e invece niente di tutto ciò. Rispetto al precedente (qui la recensione) non solo la sceneggiatura (già difettata) fa un ulteriore passo indietro ma i punti di forza un po' si scoloriscono. Ora però non voglio dire che questo film sia da bocciare nella sua totalità, anzi, si attesta come un film nella media, senza infamia e senza lode, ma anche se continua ad essere un film (ma comunque meno rispetto al primo) di buon intrattenimento, è innegabile non accorgersi che qualcosa non funzioni. Gli animali fantastici (che qui non sono più elemento importante e risolutivo per lo sviluppo della trama) ci sono (ed uno soprattutto bellissimo) ma molto meno che nel primo film (ritorna almeno l'adorabile Snaso cleptomane, che paradossalmente avrà pure un ruolo decisivo nello svolgimento della storia) ed è un peccato, perché erano davvero uno dei punti di forza della storia. Che questa volta è più cupa, centrata su arrovellate questioni genealogiche, più complessa e fine a se stessa. Animali fantastici - I crimini di Grindelwald mette difatti sul piatto tantissime storyline, troppi colpi di scena, sparando informazioni a raffica senza portare ad una destinazione comune. È vero che i thriller spionistici hanno una trama intricata, dove bisogna stare attenti a non perdere passaggi e a ricordare i volti dei personaggi, pena non capire nulla del film, ma qui siamo di fronte ad un film per un ampio pubblico che potrebbe sentirsi spiazzato di fronte a un puzzle difficile da riassemblare. Le storie infatti, per colpa di regia e sceneggiatura si intrecciano in modo caotico. La prima, che è sempre di David Yates, sembra un po' più stanca, qualche buona idea ma con un montaggio non sempre puntale e meno efficace anche sulle scene d'azione, la seconda, ad opera nuovamente della scrittrice britannica, è a tratti inconsistente, basata su scelte narrative talvolta forzate, o troppo scontate, con personaggi nuovi prima introdotti e poi sacrificati, e quelli vecchi sminuiti.

The Front Runner - Il vizio del potere (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/01/2020 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico del romanzo del 2014 All the Truth Is Out scritto da Matt Bai, questo film drammatico biografico ci fa partecipe dell'ascesa e della caduta di Gary Hart, candidato alla corsa per la presidenza USA nel 1988 e affossato da uno scandalo sessuale.
Trama: Nel 1988 Gary Hart, politico democratico, è considerato il favorito per la corsa alle elezioni presidenziali. La sua campagna subisce però una battuta d'arresto a causa dell'accusa di avere una relazione extraconiugale con l'attrice Donna Rice. In breve ciò porterà il senatore Hart ad abbandonare i suoi propositi elettorali.
Recensione: Nel corso degli anni, i film d'inchiesta sui personaggi pubblici sono stati numerosi: da Il caso Spotlight a Truth - Il prezzo della verità, sono stati in tanti a cimentarsi nel genere. Per non parlare dei political drama che ci hanno narrato dei presidenti americani, presidenti americani mancati, questo è il terzo che vedo negli ultimi 6 mesi, l'ultimo è stato Lo scandalo Kennedy. Insomma non è una novità, ma comunque The Front Runner, di Jason "Juno" Reitman (che torna dietro la macchina da presa dopo Tully, bella commedia sulla maternità), riesce nella missione non facile di raccontare (bene) una storia di trent'anni fa in grado di fare riflettere ancora oggi. Il film infatti, che offre una sfumatura su entrambi gli aspetti (l'uomo privato e quello "pubblico") di questo personaggio politico forse ingenuo, forse arrogante, costantemente in balia degli eventi, ha il grande pregio di spingere lo spettatore a ragionare sul ruolo dei media e del loro rapporto con i personaggi pubblici: fin dove è lecito spingersi? È davvero fondamentale per un personaggio di spicco rinunciare alla privacy ed essere irreprensibile da ogni punto di vista? E un personaggio irreprensibile è automaticamente il più adatto a governare un paese? Insomma tante domande ma sfortunatamente nessuna risposta, ma non che questo sia per forza un difetto, anzi, proprio per la capacità del regista di sospendere il giudizio, evitando risposte facili o sbrigative, evitando il conflitto e rifiutando di istruire il pubblico su come dovrebbe sentirsi riguardo ad Hart, lasciando così allo spettatore piena libertà di trarre le sue conclusioni analizzando i diversi punti di vista delle parti, che il racconto diventi più armonico e coinvolgente col passare dei minuti.

Il primo Re (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/01/2020 Qui
Tema e genere: Ambientata nel 753 a.C., anno di fondazione di Roma secondo la tradizione, la pellicola (di stampo epico drammatico) è una rivisitazione del mito di Romolo e Remo.
Trama: La storia di Romolo e Remo, fratelli che si amano visceralmente e che dovranno combattersi, all'alba di un impero millenario.
Recensione: Opera coraggiosa questo Il primo Re di Matteo Rovere (già fattosi notare con il bello ed adrenalinico Veloce come il vento) che, strizzando l'occhio a Valhalla Rising di Nicolas Winding Refn (ma distanziandosi da quella sua patina auto-celebrativa) e al celebre Apocalypto di Mel Gibson, confeziona un film per nulla scontato, viscerale, dalla violenta capacità espressiva, che tiene incollati alla sedia, disturbante ma attraversato da una visione del mondo e dell'uomo molto particolari. Più che un semplice film di cappa e spada (o peplum se si vuole), Il primo Re (un prodotto atipico nell'orizzonte della cinematografia italiana), grazie ad una sceneggiatura molto curata (merito anche dello stesso regista) propone un iter narrativo dove lo spettatore è posto di fronte a dilemmi tanto antichi quanto irrisolti. Il concetto di bene e male, nella sua accezione singola e universale, l'esistenza o meno di qualcosa di soprannaturale, di superiore e, nel caso vi si creda, il dilemma sulla natura di questa divinità, su quale rapporto ad essa ci leghi, se e quanto sia giusto farsi influenzare da essa. Perché al di là dei terribili combattimenti, della vita misera e oscena dell'epoca (assai lontana dai fasti hollywoodiani proposti per tanto tempo), questo film utilizza il mito, il racconto, per proporre una lettura sulla società, sull'uomo, sugli elementi fondamentali che hanno portato i nostri antenati a riconoscersi in usi, costumi e credenze comuni, a trovare un qualcosa che li unisse al di là della necessità di sopravvivenza. Il primo Re porta con sé certamente la tematica della famiglia come nucleo conflittuale, come universo ribollente di rancori e problematiche irrisolte, di passioni, tipico della filmografia di Rovere, ma riesce a coniugare il tutto nella dimensione storica, antropologica, che vede il fallimento inevitabile di un laicismo disgregante in favore di una religiosità atta a dare speranza e unità, fiducia in un futuro migliore deresponsabilizzato dalla semplice volontà dell'uomo. Film sulla storia, più che storico, Il primo Re è completamente slegato da opere parzialmente simili fatte in passato, ma soprattutto non addolcisce mai la pillola sulla terrificante realtà di quei tempi, non concede alcuna tregua nel ricordarci come la storia è scritta nel sangue e nella paura. La fede, la religione, qui è strumento di potere e morte, ma anche di unione e comunanza tra gli uomini. Il suo utilizzo come tutte le cose di questo mondo, pare dire il regista, dipende dalla mani di chi lo impugna come strumento, valeva ieri e vale oggi.

Captive State (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/01/2020 Qui
Tema e genere: Un thriller spionistico fantascientifico (ma la fantascienza è marginale), politico ed attuale.
Trama: Gli alieni hanno invaso la terra, ma un gruppo di resistenza a Chicago non si dà per vinto.
Recensione: Ne avevo lette di così tante cose positive che alla fine ci sono cascato, e ne sono rimasto scottato. Una delusione infatti (la prima del nuovo anno) quella scaturita da Captive State, che dalle premesse sembrava essere un film di forte interesse e di riuscita, ma non è così. Il film difatti, da un regista di action medio come Rupert Wyatt (suo il medio ma accattivante L'alba del pianeta delle scimmie), parte con premesse molto favorevoli, stuzzicanti, ma spreca molto presto le sue potenzialità di base, camuffandosi semplicemente sotto forma di film fantascientifico, ma scordandosi di coltivare quell'aspetto, a scapito di una vicenda di resistenza da una minaccia davvero troppo sbrigativamente e superficialmente sviscerata. Inutile affidarsi alle veloci apparizioni dei mostri alieni, resi inquietanti da un uso di effetti fulminei, validi ed efficaci per la durata di qualche attimo, ma poi scordati all'interno di una vicenda partigiana che viene sciorinata in tutta la sua consueta e già ampiamente vista burocrazia di resistenza che non lascia spazio più ad alcun momento di sorpresa o suspense. In questo senso il film appare come un tentativo ibrido scientemente pianificato di accontentare più palati, ma risultando alla fine quasi sempre inefficace a rendersi visivamente e narrativamente piacevole almeno al minimo sindacale, francamente dato erroneamente per scontato a scatola chiusa. Fantascienza, noir, spionaggio, dramma e thriller si fondono in un progetto che a posteriori può essere sicuramente definito come troppo ambizioso. Appare chiaro sin da subito che gli alieni altro non sono che un pretesto narrativo e che la loro presenza sullo schermo non risulti essere fondamentale. Idee nel film ce ne sono, come pure ambientazione e fotografia, ma la storia (più contorta di quello che è realmente, anzi, è pure prevedibile) sembra lasciare un po' tutto a metà. Gli alieni, raffigurati come simili a grossi ricci tentacolari, non sembrano né particolarmente intelligenti, né capaci di comunicare, come abbiano fatto a conquistare la Terra e a farsi amici la maggioranza della popolazione rimane un mistero. I resistenti affermano che gli alieni stanno prosciugando la terra da tutte le risorse, ma nel film come questo accada non si vede né si intuisce (e ancora, se è vero, possibile che in così pochi si oppongano?). Vera Farmiga è sempre brava e bella, ma non si capisce cosa c'entri il suo personaggio di misteriosa prostituta di mezz'età che spia tutti quelli che passano dal suo appartamento, John Goodman (che è comunque uno dei pochi punti forti del film, giacché l'attore riesce a sorreggere sulle sue spalle quest'opera ambiziosa paradossalmente troppo prevedibile nei suoi momenti salienti) nelle vesti di detective indaga, ma il fatto che sia stato collega ed amico del padre dei fratelli ribelli (uno dei due è interpretato da Ashton Sanders di The Equalizer 2 e prima ancora Moonlight) già fa sorgere dei sospetti.

Il meglio del meglio (da me visto e giocato) del decennio

Post pubblicato su Pietro Saba World il 07/01/2020 Qui - Inizialmente non avevo intenzione di fare questo post, anche perché ero sicuro che non avrei dormito la notte per riuscire a ricordarmeli tutti, ma poi giacché ho trovato un metodo abbastanza semplice per farlo (ovvero spulciando le tante classifiche del decennio uscite in questi giorni, ed è quindi stato più facile ricordarsi di alcuni titoli) e poiché alcuni di questi titoli ho giudicato e pure recensito, ho deciso di farlo. Ho deciso, pur ammettendo che facile non è stato affatto (basti pensare che la lista di film comprendeva all'inizio 50 titoli, ridottasi poi a 44), di fare queste classifiche, di dividere il tutto in tre categorie e di quindi farvi conoscere più in profondità che negli ultimi quasi 5 anni (di blog) la mia personale cinematografia (ma non solo) preferita. Comunque sia per i film che per le serie (che per i videogiochi) in considerazione sono stati presi titoli dall'otto di voto in su, tuttavia le 9 serie (naturalmente i 4 giochi) ma soprattutto le 16 pellicole che compongono il banner sono film che la soglia dell'otto l'hanno addirittura superata. E così eccovi il meglio del mio meglio del decennio.

venerdì 3 gennaio 2020

Shark - Il primo squalo (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/01/2020 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico in salsa prettamente action del romanzo horror fantascientifico MEG pubblicato nel 1997 da Steve Alten.
Trama: Un esperto di salvataggi subacquei (ritiratosi dopo un'incidente) viene ingaggiato da una stazione internazionale d'osservazione sottomarina per riportare in salvo una spedizione rimasta intrappolata, dopo aver subito un attacco dal Megalodonte, nelle profondità.
Recensione: Già dal titolo scelto dai titolisti italiani fuori di testa si riscontrano i primi palesi difetti di questo di certo non originale action. L'originale The Meg (che si capisce per cosa sta) diventa senza motivi validi Shark, come se si chiamasse così in inglese (ma non è vero). Poi, secondo titolo, Il primo squalo, che non si capisce che voglia dire, perché anche scientificamente è errato (caso mai, forse, il primo cugino dello squalo, ma forse). Oltre a trasmettere il messaggio che il titolista ha bisogno di ferie e psichiatri, trasmette anche false informazioni scientifiche. Comunque il film sfrutta una struttura piuttosto classica nel genere (forse troppo). Nonostante una durata forse esagerata, in cui si percepisce chiaramente come ci siano dei palesi momenti di stanca e noia, nella sua totale imperfezione, il film di Jon Turteltaub rientra nei perfetti canoni del blockbuster che punta semplicemente ad intrattenere. Intendiamoci, intrattenere non è sempre sinonimo di qualità, e andando a scavare con un po' più di acume nella pellicola, si notano infatti alcuni difetti macroscopici. Le scene di dialogo sono inefficaci e superficiali, non c'è da aspettarsi alcun riferimento scientifico ma soprattutto ci si abbandona al cliché e alle citazioni (una, ovviamente, dedicata a Lo Squalo) elementi fin troppo caratterizzanti di questo genere. Quando però si entra in acqua, e la battaglia inizia a consumarsi, Shark riesce a svolgere discretamente bene il suo lavoro. Jason Statham si conferma uomo fisico, in grado di "portare a casa" con disinvoltura moltissime scene d'azione facendole sembrare persino credibili (ma non cinematograficamente parlando il prodotto nel suo complesso). La squalo non fa paura ma riesce, grazie alle sue dimensioni, a trasmettere quantomeno un senso di minaccia reale che deve essere combattuta. Inoltre, la virata quasi "fantascientifica" verso la fine del film, dimostra la poca volontà di prendersi troppo sul serio.

Escape Room (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/01/2020 Qui
Tema e genere: Sfruttando lo schema logico ma mai delittuoso delle Escape Room, una delle attrazioni più in voga degli ultimi anni, soprattutto tra i giovanissimi, il regista dell'ultimo (blando) capitolo della saga di Insidious, ossia Adam Robitel, ne fa un teso thriller di grande fascino ai confini dell'illegalità.
Trama: Sei sconosciuti si ritrovano in una escape room impenetrabile, costretti a dover gestire una situazione che, del tutto fuori dal loro controllo, richiede intelligenza e ingegno per trovare degli indizi e sfuggire alla morte.
Recensione: Guardando Escape Room non possono che venire alla mente predecessori più o meno noti, tra i più prestigiosi dei quali si annovera senza dubbio Saw - L'Enigmista (2004) di James Wan, di cui si ritrova la sadica meccanica narrativa del ricatto che condanna a morte i meno inclini alla sopravvivenza a tutti i costi, e il mai abbastanza celebrato Cube - Il Cubo (1997) del talentuoso Vincenzo Natali, la cui meccanica narrativa da labirinto dell'orrore si trova qui replicata quasi fedelmente. A dare però carisma all'insieme e a suscitare l'interesse dello spettatore c'è sia la tematizzazione continuamente diversa delle stanze (in certi casi veri e propri allestimenti scenografici), che garantisce infinite possibilità anche per futuri sequel, sia la grande perizia realizzativa che coinvolge un po' tutti i reparti artistici e tecnici (Adam Robitel ha puntato molto sull'estetica e il film è visivamente interessante, con inquadrature dove pulsano il rosso e il blu per una fotografia moderna e suggestiva, ogni stanza del gioco è curata nel dettaglio e la scenografia è una co-protagonista invadente ma necessaria) e che è il vero punto di forza della pellicola.

Ancora auguri per la tua morte (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/01/2020 Qui
Tema e genereAuguri per la tua morte, insieme al sequel (questo sequel), rientra nella categoria horror e thriller a tratti ironico. Il primo ha un clima più "giallo" rispetto a questo qui, il quale invece è più sul genere sarcastico che "pauroso". Il tema è comunque sempre quello, il loop temporale.
Trama: Tree Gelbman scopre che morire più volte è stato sorprendentemente più facile dei pericoli che la attendono. Intrappolata ancora una volta in un ciclo temporale, dovrà scegliere tra il suo passato e il suo futuro.
Recensione: Qualche anno fa, nel 2017, ovviamente cinematograficamente parlando (io l'ho visto solo l'anno scorso), la nota casa di produzione cinematografica Blumhouse ha colpito il segno con Auguri per la tua morte. Così tanto che un sequel era prevedibile immaginare, ed eccolo qui, ecco Ancora auguri per la tua morte (in originale Happy Death Day 2U), che come il predecessore, presenta i connotati di una commedia teen piuttosto che del classico slasher movie. Il primo film era, infatti, una gradevolissima declinazione in chiave horror dell'idea alla base di Ricomincio da Capo di Harold Ramis, dove il protagonista Bill Murray si ritrovava a rivivere all'infinito il fatidico "Giorno della Marmotta". Il franchise prosegue riprendendo questo canovaccio e sfruttando i migliori ingredienti del primo capitolo (che si si avvaleva di un dinamismo degli eventi invidiabile, capace di coinvolgere lo spettatore senza mai annoiarlo), a partire dalla cura per la crescita di Tree, cui Jessica Rothe dona una rimarchevole vis comica oltre che una bellezza pulita e un'espressività degne della miglior Cameron Diaz. Si conferma infatti come una "scream queen" ilare e animata da una forza emotiva davvero non comune, qualità che potrebbero darle soddisfazioni anche in progetti più impegnati. Intorno alla lei ruotano molteplici e divertenti comprimari, soggetti anch'essi di un'attenzione tale, in fase di casting e scrittura, da rendere agevole ricordarne le psicologie e le peculiarità. In tal senso emerge ancora la discreta prova di Israel Broussard, capace di proporre un coprotagonista maschile insolitamente misurato e delicato. Non è scontato nemmeno il peso drammaturgico che viene concesso al credibile e struggente rapporto tra Tree e i suoi genitori, potenziando un altro degli elementi forti del precedente lavoro.

Teen Titans Go! Il film (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/01/2020 Qui
Tema e genere: Film d'animazione diretto da Aaron Horvath e Peter Rida Michail, adattamento cinematografico dell'omonima serie animata, parodia della serie animata Teen Titans a sua volta ispirata all'omonimo fumetto di DC Comics.
Trama: Il gruppo dei Teen Titans vuole un suo film, proprio come tutti gli altri supereroi. Incapacitati nel raggiungere il loro scopo, a causa della loro poca notorietà e dei loro buffi modi di combattere il crimine, il gruppo di eroi targato Dc Comics farà di tutto per ottenere ciò che vuole.
Recensione: Non avevo mai visto la serie, non avevo mai letto il fumetto di riferimento, non conoscevo i Teen Titans e il suo gruppo di supereroi (a parte il capitano di questa allegra brigata), ma ciò non mi ha impedito di godermi questa esilarante e singolare pellicola. Una pellicola che il quintetto speciale voleva con tutte le sue forze, e l'ha avuta. Giacché quasi tutti (nel mondo dei fumetti) ne hanno avuto una, tranne loro, loro giovani aiutanti dell'universo DC Comics capitanati da Robin, storica spalla di Batman, che una colpa avevano, quella di non aver una nemesi, un villain carismatico in grado di reggere il ruolo di antagonista di cui un film ha bisogno. In effetti la più grande impresa compiuta dal team di teenager finora è stata quella di trovare un ottimo posto dove mangiare burrito lungo la strada. Non esattamente una scena che si possa incastrare nei toni cupi e apocalittici dell'universo cinematografico DC. Ed è così che hanno avuto un film, un film d'animazione (ovviamente e giustamente), un film che prende in giro il proprio universo di appartenenza, le cadute rovinose dei suoi film (Lanterna Verde), le sequenze già passate alla storia delle stronzate (Batman e Superman che fanno pace perché la mamma di entrambi si chiama Martha, ma poi ricominciano a combattere perché i padri non hanno lo stesso nome), che dialoga coi rivali Marvel (la somiglianza tra Slade/Deathstroke e Deadpool, i cameo di Stan Lee) dichiarando implicitamente il complesso di inferiorità DC.

giovedì 2 gennaio 2020

Qualcuno salvi il Natale (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/01/2020 Qui
Tema e genere: Avventuristico christmas movie di genere prettamente fantasy di produzione Netflix diretto da Clay Kaytis, con protagonista Kurt Russell nei panni di Babbo Natale.
Trama: Kate e Teddy, un fratello e una sorella, decidono di filmare di nascosto Babbo Natale, mettendosi in una situazione che la maggior parte dei bambini possono solo sognarsi. Dopo essersi appostati per sorprendere l'arrivo di Babbo Natale, si intrufolano nella sua slitta e provocano un incidente, rischiando di far saltare il Natale. Durante questa incredibile notte, Kate e Teddy, insieme a Babbo Natale (in una versione davvero inedita) e ai suoi elfi, devono salvare il Natale prima che sia troppo tardi.
Recensione: La classica commedia natalizia, né più né meno. Eppure Qualcuno salvi il Natale, diretto dal co-regista di Angry Birds - Il film e prodotto da Chris Columbus (regista dei due Mamma ho perso l'aereo e sceneggiatore di Gremlins) ha un asso nella manica oltre a quest'ultimo pezzo da novanta, è Kurt Russell che con la sua incredibile presenza scenica e la versatilità e capacità di calarsi in qualsiasi tipo di ruolo, si manifesta indubbiamente come il plus dell'intera opera. E' infatti proprio grazie a lui e al senso di leggerezza che sa trasmettere il tutto che a questa pellicola un po' macchiettistica e che sa di già visto gli si perdonano tante cose. Innanzitutto non importa che la storia sia (come si evince dalla trama) quanto di più semplice (e tipico) si possa immaginare, se poi questa storia è capace di intrattenere praticamente tutti. Perché per quanto la pellicola sia sicuramente destinata ad un pubblico di giovanissimi, per quanto scorra su binari classicissimi (il titolo originale The Christmas Chronicles dice già tanto di questa rocambolesca avventura), e non abbia alcun colpo di scena, vi sono una serie di idee che lo rendono un film molto apprezzabile anche da un pubblico più adulto come me. Non solo perché mi ha ricordato alcuni classici del passato, non solo perché è ricco di spassose citazioni (con annesso un fantastico cameo nel finale), ma perché alcuni elementi di contorno risultano particolarmente efficaci. Peccato che lo stesso non si possa dire per la CGI degli elfi (molto bella tuttavia la trovata di farli parlare una lingua tutta loro), ma considerando il target, ci si può anche accontentare.

Il Grinch (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/01/2020 Qui
Tema e genere: Adattamento animato del grande classico letterario scritto nel 1957 dal Dr. Seuss.
Trama: Nel paese di Chissarà, una strana creatura verde guarda con disgusto i preparativi della gente per il Natale. Una festa che detesta e che cercherà di rovinare.
RecensioneIl Grinch è un personaggio da molto ormai entrato nell'immaginario collettivo, al pari si potrebbe dire, di quello Scrooge del Canto di natale di Charles Dickens con cui condivide alcuni tratti caratteriali. Tralasciando il confronto con la pellicola di Ron Howard che l'ha introdotto alla nostra generazione attraverso la straordinaria interpretazione di Jim Carrey (anche perché il personaggio animato, per quanto simpatico, è soltanto una pallida imitazione di quello interpretato da quest'ultimo), il nuovo film dello studio di animazione Illumination (Cattivissimo MePetsMinions) si propone di ridare nuova linfa al personaggio del Dr. Seuss, rivolgendosi soprattutto ad un pubblico di giovanissimi. Per fare ciò, i registi Yarrow Cheney e Scott Mosier, eliminano le atmosfere cupe, ne depauperano il carattere e tutto è più colorato e tenero, le immagini sono luminose e il Grinch è più umano, forse troppo, perché il film seppur piacevole nella sua scorrevolezza, è spesso stucchevole. Ora non che la "tenerezza" sia un male, ma sinceramente mi aspettavo di più, più che un film per bambini come tanti. Il registro comico non presenta particolare originalità, ricorrendo a stilemi piuttosto classici del genere, la trama seppur riesce a rendere in modo chiaro e lineare l'evoluzione del protagonista, offrendo una soluzione delle vicende gradevole e plausibile per quanto riguarda la caratterizzazione dello stesso, non è elaborata ed assomiglia troppo a precedenti della "casa".

Christmas & Co. (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/01/2020 Qui
Tema e genere: Christmas movie di genere fantasy (ma non del tutto) di produzione made in France.
Trama: Nulla sta andando per il verso giusto durante i preparativi per il Natale: i 92 mila elfi responsabili della preparazione dei regali per i bambini si ammalano tutti contemporaneamente. Per Babbo Natale è un duro colpo ma non ha altra scelta che quella di prendere le sue renne e recarsi urgentemente sulla Terra alla ricerca di una cura. Al suo arrivo, dovrà trovare degli alleati che lo aiutino a salvare la magia del Natale.
Recensione: Dopo la bella commedia Un amico molto speciale i francesi ci riprovano a fare un film sul Natale, non fanno del tutto centro come in quel caso, ma con Christmas & Co., film del 2017 diretto, interpretato e sceneggiato da Alain Chabat (grande caratterista francese), riescono nell'intento di proporsi anche in questo genere, con basi sufficientemente solide per il futuro. Comunque arrivato quasi per caso a Parigi dal Polo Nord, causa un'improvvisa malattia che aveva colpito gli elfi, Papa Noel (spinto al viaggio anche dalla "moglie" interpretata dalla sempre deliziosa Audrey Tautou) si  trova completamente "imbranato" rispetto al mondo che lo circonda, fatto di post-modernità, di tecnologia spinta all'estremo, di cose che lo attendono e che deve in qualche modo svolgere (pagamenti etc.), finendo persino in gattabuia, avendo a che fare con un avvocato scontroso (all'inizio finisce addirittura per colpirlo corporalmente, il prestante quarantenne con famigliola, Pio Marmaï con simpatici figli e graziosa moglie Golshifteh Farahani) e non sapendo letteralmente dove sia e con chi abbia a che fare (bellissimo elemento: non capisce assolutamente il valore del denaro e del comprare-vendere, dove l'avvocato si trova decisamente in difficoltà a spiegargli la cosa/considerazione che vale molti trattati di antropologia culturale  e sociale, fra l'altro...).