martedì 20 ottobre 2020

Rabid - Sete di sangue (1977)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/10/2020 Qui - Secondo significativo lungometraggio (dopo il più riuscito Il demone sotto la pelle, di cui questo può considerarsi come una sorta di versione extended) diretto con certo stile da un regista ossessionato dal sangue e dal corpo. David Cronenberg mantiene infatti, nel tempo, una sua particolare visione del cinema fantastico connotandolo spesso di significati morali e, a suo modo, educativi. Perché Rabid, con la sua centralità del contagio tramite sangue e saliva (l'apertura sotto l'ascella della protagonista, che tutti avranno capito cosa il regista voleva far ricordare, ricomparirà anche in eXistenZ) non anticipa forse l'imminente scoperta del morbo dell'AIDS (ufficialmente annunciata nel 1981)? Domanda pleonastica, così come è scontato il messaggio che il regista sembra voler lanciare contro i rapporti occasionali (non a caso sceglie come protagonista principale una famosa pornostar) e le possibili conseguenze che portano a malattie sessualmente trasmissibili. E, ancora, non è forse un sintomo di sfiducia nei confronti dell'istituzione medica la figura del dott. Keloid che, testando un nuovo tipo di trapianto, è la causa scatenante dell'epidemia? Pur essendo evidente una continuità con il film precedente (il già menzionato Shivers) e con quelli successivi, nonché un taglio narrativo e una cifra stilistica che definiscono la regia come qualcosa di estremamente personale, appare evidente come qui Cronenberg subisca l'influsso del più celebre (all'epoca) George A. Romero: per come propone gli infetti (sorta di zombi deambulanti e con bava alla bocca) e per un secondo tempo claustrofobico e ossessivo con la messa in quarantena dell'ospedale e (in progressione) con la presenza di forze dell'ordine in tute di contenimento biologico che rimandano, per associazione, a La città verrà distrutta all'alba. In conclusione, e con evidenza di un budget molto contenuto, il risultato finale supera le aspettative per la valida regia di Cronenberg, in grado di ottenere il massimo dallo staff tecnico (notevoli un paio di incidenti autostradali) e soprattutto dagli attori: la sfortunatissima Marilyn Chambers dimostra qui di essere stata ingiustamente assorbita dal mercato a luci rosse, quando avrebbe meritato un ruolo più costante nel cinema "normale". Non perfetto ma buon film. Estremo e non per tutti, ma con momenti memorabili. Voto: 7 [Qui Scheda]

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