Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Attraverso il genere, il racconto di come l'avidità prima uccide l'anima e poi le persone. L'arrivo di due ebrei in un villaggio ungherese fa riemergere le vicende legate all'Olocausto: come angeli della morte, il loro muto camminare per le strade condanna senza parole e le dinamiche fra coloro che dalla deportazione avevano guadagnato, saltano minate dai sensi di colpa. L'incedere della narrazione è incalzante e progressivamente cresce in maniera sensibile l'inquietudine degli abitanti del villaggio. E' un momento storico incerto, tra la cacciata di vecchi invasori e la venuta dei nuovi, ma come detto è la coscienza nera che viene a galla, la tematica principale che sta più a cuore al regista, di Ferenc Török. Lui che sceglie il bianco e nero e fa bene, ci rammenta i vecchi album di famiglia e c'infonde conforto prima di toglierci abilmente l'aria con personaggi quasi grotteschi, schiacciati da paure auto-inflitte. La forza della pellicola risiede nel suo tocco gentile, negli infiniti dettagli e nel suo silenzio. Un silenzio che favorisce la suspense, che amplifica la sottile e affilata ironia, che ci regala le inquadrature migliori. Un silenzio garbato e mai scontato, funzionale all'esplosivo epilogo e a mantenere la quiete necessaria per non dimenticare il passato, per riflettere sul presente e per (si spera) diventare esseri umani migliori. Perché in breve, 1945 è un film elegante oltreché fine e necessario. Senza la potenza de Il figlio di Saul, ma una riuscita visione dell'argomento da una diversa prospettiva. Voto: 6+
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