domenica 19 maggio 2019

Spider-Man: Homecoming (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/04/2018 Qui - È la rivisitazione del tema classico di Spider-Man ad opera di Michael Giacchino ad accompagnare il ritorno a casa dell'Uomo Ragno (un ritorno schietto, sincero, che vuole ridare lustro ad un eroe che forse sin troppo ne aveva perso a causa dei ben noti e gravosi problemi di licenza), e queste splendide note messe in fila con cosi tanto gusto e maestria dichiarano apertamente le intenzioni dei Marvel StudiosSpider-Man: Homecoming vuole essere un film unico, una storia mai raccontata prima, capace di divertire, appassionare, emozionare. C'è tutto in queste note, l'epicità, la freschezza giovanile, la coerenza storica di un personaggio che finalmente torna a casa per stupire, per prender davvero parte a quell'enorme progetto che è il MCU. E per farlo, in questa terza release del super eroe, la Marvel decide di spostare indietro le lancette dell'orologio, dopo la sua apparizione in Captain America: Civil WarTuttavia Homecoming non compie i voli pindarici di molti altri film Marvel, non si perde in spiegoni che ricostruiscano una certa continuity a uso e consumo dei più sprovveduti. Non fa nulla di questo, anche perché non pretende neanche di essere un tipico film sulle origini. Si prende infatti la briga di scorrere, anche grazie ad un cambio generazionale molto interessante, dall'inizio alla fine con invidiabile eleganza, complice un ritmo sostenuto e talvolta incalzante, in cui praticamente non si assiste ad alcun scivolone e in cui tutto ruota attorno a Spider-Man, alla sua adolescenza, lasciando che i comprimari facciano il loro lavoro, quando serve, ma senza ingombranti interferenze. Homecoming comincia così, con la sua filosofia da (classico) teen movie che presenta, fin dall'azzeccatissimo titolo, che sottintende sia al ritorno a casa Marvel dell'Uomo Ragno, sia alla settimana dell'Homecoming (ovvero il ritorno sui banchi scolastici dei giovani studenti americani), però alcuni risvolti etici e morali che lo rendono assimilabile a un vero e proprio racconto di formazione a sfondo supereroistico, ma senza tuttavia troppo giocare sui drammi adolescenziali, senza puntare troppo i riflettori sulle situazioni paradossali che proprio i teen movie sembrano tanto amare.
Homecoming è infatti un teen movie nella misura in cui racconta la storia di un ragazzo, Peter, che è un quindicenne con problemi, e soprattutto con poteri, a cui, come da archetipo, corrispondono anche tante responsabilità. La regia di questo film del 2017 è affidata a Jon Watts, giovane e promettente regista (anche se Cop Car non m'è piaciuto e Clown solo sufficientemente apprezzato), che dovrà dirigere un Tom Holland che fin da subito è sembrato perfetto (una scelta veramente azzeccata) nel ruolo di un Peter Parker adolescente e insicuro. Il suo nuovo Peter Parker infatti è un vero e credibile teenager (cosa che difficilmente si poteva dire dei precedenti interpreti) e che aggiunge ulteriore accento al miglior personaggio (non me ne vogliano i cultori di altri super eroi) dell'universo Marvel. Egli difatti convince perché dimostra con i fatti di che pasta è fatto, e non cerca di spiegartelo né di giustificarlo. In questo senso c'è un netto distacco dai film precedenti. Non c'è alcuna genesi del supereroe. Non c'è alcun trauma infantile e nessun "da grandi poteri derivano grandi responsabilità" che facciano istantaneamente invecchiare il protagonista, anche perché Jon Watts e gli sceneggiatori compiono un'operazione decisamente interessante e per certi versi estremamente coraggiosa (ma riuscita abbastanza) spazzando via i sensi di colpa e i dilemmi esistenziali degli Spider-Man incarnati da Tobey Maguire e Andrew Garfield e prendendosi diverse libertà narrative, come la cancellazione del personaggio di Zio Ben (rimpiazzato nel ruolo di mentore del protagonista da Tony Stark) e il ringiovanimento imponente dello stesso Peter Parker e della zia May. Peter quindi rimane il ragazzino che è, ed anche i suoi comprimari sono lì per ricordarglielo, comportandosi esattamente come lui. Questo permea la pellicola di un senso di humor che non risulta mai forzato, e che alleggerisce un po' ogni scena. Il risultato è uno Spider-Man adolescente che si muove con goffaggine e imbarazzo nella società contemporanea, districandosi fra modernità e una necessaria trasformazione da bambino a uomo prima ancora che da uomo a supereroe.
La trama di questo Spider-Man: Homecoming è dunque molto ben delineata, quasi scontata sotto molto aspetti ma con appunto un humour davvero irresistibile. Tuttavia c'è anche spazio per le sorprese, con delle svolte inaspettate che lasciano a bocca aperta e contribuiscono ad arrivare alla fine di questo primo capitolo con la speranza che sia in un attimo già il 2019 per vedere il sequel già in lavorazione. Dato che, anche se Spider-Man: Homecoming è, alla fin dei conti e comunque, una storia d'origini, riuscendo ad evitare tutti i cliché che hanno accompagnato le incarnazioni precedenti di Spidey, il film grazie a una regia pulita, talvolta ispirata, e a una scrittura che riesce a creare un contesto credibile, ben amalgamato all'universo di cui fa parte e, soprattutto, non banale, si fa tantissimo apprezzare. Proprio perché, rifacendosi al cinema adolescenziale anni '80 di John Hughes (la citazione esplicita a Una pazza giornata di vacanza in questo senso rappresenta molto di più di un mero omaggio), Jon Watts presenta con efficace leggerezza un Peter Parker goffo, imperfetto e a tratti frivolo, che si divide fra le sue improvvisate imprese, lunghe sessioni di costruzioni della Morte Nera Lego con l'inseparabile amico Ne(r)d (Jacob Batalon) e la prima cotta adolescenziale per Liz (Laura Harrier). Anche se il punto di vista è sempre quello degli adolescenti di oggi, quasi costretti dalla società a cercare di ottenere tutto e subito e a rinunciare prematuramente alla propria componente fanciullesca, d'altronde il film racconta del giovane Peter Parker che, entusiasta della sua esperienza con gli Avengers, torna a casa, dove vive con la zia May, sempre però sotto l'occhio vigile del suo nuovo mentore Tony Stark. Peter cerca di tornare alla sua routine quotidiana (distratto dal pensiero di dover dimostrare di valere di più dell'amichevole "vigilante" di quartiere) ma quando appare l'Avvoltoio, tutto ciò a cui Peter tiene maggiormente viene minacciato. Ma ovviamente i suoi errori e gli adulti, che qui giocano un ruolo fondamentale per la riuscita del film, l'aiuteranno a capire molte cose, a trovare una sua consona dimensione.
Come una dimensione universale trova il film, che trova la giusta miscela fra azione, humour e sfumature adolescenziali, rivelandosi una visione piacevole e appagante sia per il pubblico giovane o giovanissimo che per quello adulto. Sempre parlando di adulti (a parte la sempre fantastica Marisa Tomei), Robert Downey Jr. si rivela il solito formidabile interprete, aggiungendo al suo istrionico personaggio delle sfumature più adulte, quasi paterne, che, pur nel clima leggero e scanzonato che contraddistingue il film, donano profondità al rapporto fra Tony Stark e Peter Parker. A meritare un plauso è però soprattutto Michael Keaton, che tratteggia il miglior villain visto ultimamente nei cinecomic (tolto forse il Kurt Russell di Guardiani della Galassia 2), scavando nella disperazione dovuta ai soprusi subiti dal suo personaggio e dipingendo un Avvoltoio quanto mai realistico e mefistofelico. Uno di quei cattivi in cui ci si può anche immedesimare, perché non puramente malvagio e quindi avulso dalla normalità, ma spinto da sentimenti comuni e condivisibili, come quello di volere il meglio per la propria famiglia, con in più l'impagabile pregio di avere uno scopo e con esso la forza, la determinazione e, per certi versi, la disperazione sufficienti per perseguirlo. Il fatto poi che proprio Keaton, dopo Birdman, interpreti il ruolo dell'Avvoltoio, è una di quelle trovate a metà tra l'omaggio e l'ironia (e un pizzico di genialità), che sono una parabola perfetta dell'intero Spider-Man: Homecoming. Un film che smonta i canoni e le abitudini dei film Marvel e sceglie di perdere una qual certa teatralità in favore di una più funzionale e apprezzabile semplicità. Una scelta ponderata, che rende il film godibile, piacevole e mai noioso e che, soprattutto, dà ai personaggi che la meritano la dignità di cui hanno bisogno. Non un palliativo, non un contentino nell'attesa che lo "spider-verse" cinematografico faccia finalmente il suo corso, ma una produzione con tutti i crismi che, pur facendo parte del canone degli Avengers, sceglie di prenderne le distanze in virtù di una strada più genuina, sincera, per certi versi "popolare", lasciando che il personaggio competa, innanzitutto, con i problemi che gli sono più congeniali e che, prima di diventare un nuovo simbolo del supereroismo, sia semplicemente "un amichevole Spider-Man di quartiere". E non è poco.
E se a ciò ci si aggiunge lo spettacolo tipico di un Marvel movie, fatto di chiassose citazioni, riferimenti assolutamente pop ed anche un certo auto-reverenzialismo, che non perde l'occasione di ricordare con affetto alcuni attimi, alcuni momenti, del genuino cinema di Sam Raimi, con situazioni che apertamente vi si rifanno e che anzi talvolta vengono richiamate dagli stessi personaggi, su tutti, proprio l'Avvoltoio, che in certe espressioni, in certe battute di lucida follia, nella presenza tecnologica e al contempo demoniaca della sua armatura, gioca con le identità rimandandoci, con i ricordi, alla straordinaria e spaventosa interpretazione del Norman Osborn di Willem Dafoe, il risultato non può che essere più che discreto, anche se tuttavia non esente da difetti. Fra le maggiori pecche del film infatti sono certamente da evidenziare una fotografia abbastanza anonima, anche e soprattutto nei momenti più concitati, e una certa superficialità nella caratterizzazione dei personaggi secondari, ridotti a poco più che comparse (come nel caso di zia May) o a stereotipi triti e ritriti, come quello dell'amico nerd ancora di salvezza per problemi tecnologici. Inoltre, a voler essere onesti, ci sono alcune mancanze in termini di cast, che portano a situazioni un po' deludenti. Shocker, per dirne una, occupa nell'economia generale un ruolo del tutto marginale, tanto da non riuscire a definirlo un vero e proprio villain. Flash Thompson (Tony Revolori di Grand Budapest Hotel), allo stesso modo, perde ogni accezione del personaggio originale, trasformandosi in un odiosissimo ragazzino ricco qualunque, perdendo anche ogni riferimento alla carriera sportiva e, volendo, alla sua archetipica ottusità. Sono due esempi celebri, che forse brillano particolarmente in senso negativo, ma per fortuna l'equilibrio del cast (comprendente anche Donald Glover, Jon Favreau, ZendayaGwyneth Paltrow e Jennifer Connelly, che dà voce a Karen, l'IA del "folle" costume di Spider-Man) e della pellicola in generale è tanto buono, che il fastidio sarà archiviato rapidamente, troppo presi da tutto il resto del film. Anche perché tutti gli aspetti sull'ambiente della scuola e sui rapporti tra coetanei sono cose che nel film assumono risvolti più profondi e significativi di quanto ci si aspetterebbe.
Idem per le trovate e le sorprese ben disseminate nel corso della storia, che in alcuni momenti regalano una tensione degna di un thriller. Non da ultima la conclusione tutt'altro che scontata, del film, che (una volta tanto) fa desiderare veramente un'altra avventura dell'Uomo Ragno. In tal senso è geniale la seconda post-credit (ma anche la prima) e ovviamente l'immancabile cammeo di Stan Lee. Tra i pregi da segnalare altresì una funzionale ed efficace colonna sonora, anche se il pregio maggiore è quello di aver scelto bene il ruolo dell'attore interprete di Spider-Man. Perché nonostante i dubbi iniziali, prova decisamente convincente e solida quella del giovane Tom Holland, perfettamente a proprio agio e in parte in ogni situazione. Tom Holland infatti, che ci offre probabilmente il miglior Peter Parker di sempre, vuoi per età anagrafica, vuoi per lo stile divertito e scanzonato che ricalca il personaggio nella sua forma migliore, riportandolo al suo piacevole status di goffissimo, ma funzionale, eroe alle prime armi (come nei cartoni animati), convince, con e senza maschera, e riesce a risultare sempre a suo agio tanto nelle situazioni più stupide e caciarone (in uno stile cinematografico che talvolta sembra quasi ricalcare il già iconico Deadpool) sia in quelle più serie, profonde, quando posato il costume il giovane Parker deve fare i conti con se stesso, e con le proprie responsabilità. Forse anche le mie, tanto che da profano del fumetto, posso anche permettermi il vanto di tralasciare la poca verosimiglianza del personaggio di Mary Jane, qui lontanissima dall'affascinante liceale dalla rossa chioma, ma la scelta di sostituirla con una ragazzina mulatta, pungente, solitaria e massimamente cinica, che si rifiuta di onorare un monumento costruito grazie al lavoro degli schiavi (perché non trae in inganno la cotta adolescenziale del giovane Peter), mi sembra invece molto positiva e capace di dare vigore a un personaggio finora piuttosto insignificante (anche se le due precedenti non erano affatto due losche figure, anzi). C'è solo da sperare che gli spunti che offre possano essere approfonditi negli eventuali capitoli successivi che, appunto, si aspetta con curiosità.
Perché Spider-Man: Homecoming è un film che sa essere eccellente per molti aspetti, che per altri segna qualche lieve zoppicamento ma che, in linea di massima, non risulta mai brutto o stancante per lo spettatore. Il suo pregio è certamente quello di mettere in scena personaggi carismatici e ben scritti, e di lasciare a Spider-Man tutto lo spazio di cui il personaggio ha bisogno. D'altronde a differenza delle premesse, che sembravano riservare a Iron Man un ruolo ben più ingombrante, Homecoming è invece un film genuinamente basato su Peter Parker, sui problemi della sua adolescenza, sul dogma che un piccolo eroe può avere problemi anche nel suo piccolo mondo, problemi che in ogni caso vanno fronteggiati e di cui qualcuno deve prendersi la responsabilità, non importa se la sfida è insormontabile. Poiché tralasciando la genesi, e mettendo da parte ogni riferimento alla celebre quote per cui "Da grandi poteri etc.", questo Spider-Man cerca di capire da sé quanto sia importante assumersi certe responsabilità, e quanto ancora prima di ciò sia importante tenere i piedi per terra, lasciando che attorno alla morale, semplice ma mai stucchevole, esploda in un mix dinamico e appagante il resto del film, capace di mettere in mostra anche un aspetto per certi versi inedito del ragno cinematografico (e non di Peter), la sua goffaggine, la sua incapacità, la sua adattiva sperimentazione del ruolo di eroe. Dopotutto ispirato dai grandi Vendicatori, ma confinato nel Queens, come un Bruce Springsteen nazional-popolare (il riferimento non è casuale), Spider-Man è un eroe della gente, che per la gente si impegna, scende in strada, e che in nome della gente resta fedele a se stesso. Marvel e Sony scelgono allora di non rinarrare il mito delle origini, lasciandolo sapientemente da parte in un trascorso mai visto ma che, per forza di cose, per lo spettatore è ovvio, e in fondo è bene così. Tuttavia e tirando le somme, quello di Spider-Man: Homecoming non è forse il migliore Uomo Ragno di sempre, dato che presenta alcune lacune (non di certo le botte tra i supereroi, probabilmente non così importanti, ma sempre graditissime), ma si rivela lo Spidey perfetto per il mondo contemporaneo, oltre che una new entry di altissimo livello per il Marvel Cinematic Universe. Non a caso in poco più di 2 ore godibili e scorrevoli, la Marvel centra l'ennesimo importante successo, mettendo in scena senza fronzoli e orpelli un teen movie d'azione di ottimo livello, e ponendo al contempo solide basi per lo sviluppo narrativo di un personaggio che avrà certamente un considerevole spazio nei cinecomic dei prossimi anni. Voto: 7,5