domenica 19 maggio 2019

Jackie (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/04/2018 Qui - Nella sua ultima opera Pablo Larraín (artefice del bellissimo No: I giorni dell'arcobaleno ma anche del personalmente deludente Neruda) elabora il ritratto di Jackeline Lee Bouvier e lo fa attraverso il resoconto di una intervista che la vedova del presidente americano rilasciò a un giornalista della rivista Life poche settimane dopo il tragico evento. Jackie infatti, film biografico del 2016 diretto dal regista cileno, rievoca i pochi giorni precedenti l'omicidio di Kennedy durante la campagna elettorale del 1963 a Dallas, l'omicidio stesso, nonché la complessa organizzazione dei suoi funerali, in cui le ragioni di stato dei politici e dell'apparato di sicurezza si scontrarono duramente con il dolore di Jackeline e il suo desiderio di seguire a piedi il feretro del marito. Il ritratto che ne esce è quello di una donna al tempo stesso fragile e determinata, molto attenta a evidenziare il ruolo che aveva avuto alla Casa Bianca a fianco del presidente, nonostante fosse a conoscenza delle numerose frequentazioni di Kennedy sia con altre donne, sia con personaggi oscuri della criminalità organizzata, e dei non idilliaci rapporti che intercorrevano tra lei e i tanti rappresentanti della famiglia del marito. Il ritratto di una donna bella, giovane, colta, aristocratica, che due colpi di carabina alla testa del celebre coniuge, insieme al suo vestito rosa macchiato di sangue, consegnarono alla storia. Tuttavia il film, che nel 2017 ha ricevuto tre candidature ai Premi Oscar nella categoria Miglior colonna sonora, Migliori costumi e Miglior attrice protagonista a Natalie Portman (vincendone nessuno), seppur girato con cura e che si avvale di una comunque buona regia (ma privo di anima, di pathos, di spessore emotivo), non convince e non soddisfa. Nessuna empatia per il personaggio, verboso e noioso quanto basta. Eppure la materia trattata (i giorni immediatamente successivi all'omicidio del presidente JFK visti attraverso la prospettiva della madre dei suoi figli) si prestava a una narrazione intensa, persino epica. Invece è come se sul film spirasse un vento gelido che immobilizza i protagonisti e li devitalizza, li "congela" in una dimensione di immobilità spirituale, ancor prima che fisica.
Anche perché non so se la ricostruzione del personaggio sia veritiera, ma Jackie (una figura storica marginale che ha forse influenzato la moda e tenuto banco a livello di gossip, ma che nella sostanza non ha lasciato traccia) appare (ingannevolmente) come una donna volitiva, sicura di sé e senza dubbi (cosa che altri hanno smentito). Inoltre sembra una donna più preoccupata di apparire che non di essere. Certo, molto probabilmente l'ambiguità della sua figura è volutamente messa in evidenza, fragilità contro ostinazione, grande capacità di calcolo contro crolli psicologici violenti, e certamente questo film complesso è sicuramente ponderato e altresì volutamente idiosincratico, e inoltre sviscera bene le molteplici maschere della first lady indossate con disinvoltura, la donna rassicurante e sposa devota per la televisione, la compagna capace di insinuarsi oltre il consentito, la madre spiazzata, la vedova coraggiosa e la vedova rabbiosa, l'immagine, il gioco, i vestiti, i gioielli, le pillole, l'alcol, l'ambizione, tutto abbozzato, lasciato intendere fino al calcolo freddo di presentarsi alla nazione con ancora indosso gli abiti impregnati del sangue del marito, ma (come detto) non funziona, resta tutto fuori fuoco, tra la pretesa di una recitazione al limite dell'imitazione e la volontà contraddittoria di rileggere liberamente la storia (in tal senso ridicolo l'accento che viene pretestuosamente posto e riposto sul matrimonio perfetto dei Kennedy, che perfetto non era). Perché quest'ennesimo film sull'assassinio del presidente Kennedy in cui la protagonista, stavolta, è la moglie, interpretata comunque da una Natalie Portman in vena, seppur racconti ciò che nessuno ha mai raccontato, non discosta mai nel girare e rigirare sempre sul dolore più o meno verosimile di Jacqueline.
Verosimile poiché non solo il film, tutto parlato, o meglio raccontato, è un po' troppo monocorde risultando un tantino noioso, ma non è neanche (senza oltretutto enfasi) tanto sincero. Giacché il film (che corre volutamente in maniera poco lineare, tra flashback e ritorni), che si muove su due piani, il piano del presente, con un giornalista che visita Jackie da poco rimasta tragicamente vedova per intervistarla come lei stessa ha richiesto (ma in cui sembra dire solo falsità come quelle dei giornali, tanto che alla fine il film ci lascia con questo senso amaro dell'impossibilità di ricostruire una verità da affidare alla Storia) e il piano dell'immediato passato o quasi, in cui vengono rivissuti gli attimi infiniti dell'assassinio di JFK (ricordi e scene però già viste) o altre scene della vita da First Lady (in cui possiamo anche vedere la sua moltitudine di vestiti, visivamente belli ma non eccezionali secondo il mio modesto, anzi, forse inutile, parere), e in cui viviamo il dolore e il dramma di una donna ferita, spaventata e che reagisce con aggressività, in qualche momento rallenta, e affatica lo spettatore. L'obiettivo di svelare aspetti di quel momento storico meno noti, e allo stesso tempo di mostrare retroscena della vicenda umana e psicologica dalla parte di chi resta sono raggiunti, tuttavia non c'è un pezzo di storia, l'evento è visto (troppo) dall'interno, dalla sfera privata, pur con molto fasto, molta eleganza, molta messa in scena ma con pochi contenuti. Infatti in questo film senza slanci e senza tante emozioni (le uniche scene intensi quelle dell'assassinio, con il capo di Kennedy tra le braccia della moglie), di salvabile oltre all'interpretazione della Portman, perché inutile negare, lei che ho sempre adorato è bravissima (un vero pezzo di bravura, anche se doppiata con una brutta voce), ci sono i dialoghi.
Dialoghi fra la Portman, Peter Sarsgaard (Bobby Kennedy), Billy Crudup (un giornalista nella parte certamente più riuscita, e in cui egli ne esce quasi vittorioso e viene disegnato come un personaggio addirittura più affascinante e intelligente della stessa First Lady) e il compianto John Hurt, alla sua ultima fatica prima della morte (che interpreta un sacerdote), tutti veramente brillanti e seri come si conviene ad un prodotto di questo genere, perché per il resto purtroppo non sembra andar oltre la modesta fiction che passa in televisione oggigiorno. Non per questo però è una pellicola mediocre, anche perché è comunque ben costruita e con una interessante sceneggiatura, ma risulta alla lunga piuttosto noiosa e ripetitiva, specialmente nelle sequenze dei finti documentari che la vedova del presidente aveva girato subito dopo l'elezione del 1961 per illustrare al popolo americano gli ambienti della Casa Bianca e il mobilio posto al suo interno (forse sarebbe stato preferibile avvalersi solo di filmati d'epoca originali). Certo, altresì il film si lascia guardare, ma non l'ho trovato certo il capolavoro che molti dicono. Atmosfera fin troppo funerea e plumbea, dove il mondo intorno a lei sembra privo di colori, gelido, indifferente (così tanto che i colori smorti sembrano anche entrare nell'interiorità dei protagonisti, rendendoli a volte bidimensionali), per una tragedia che vorremmo finalmente spiegata in ogni minimo particolare. A tal proposito si potevano comunque dare più cenni storici e più approfondimenti, invece anche se la pellicola (tuttavia tecnicamente nella media) ha dalla sua l'aver raccontato un particolare momento storico dal punto di vista della first lady, poco è davvero interessante e poco resta davvero impresso, neanche l'originale, ma spesso invadente e dissonante colonna sonora.
Larraìn costruisce così un film incompleto, ma non per difetti di regia (assolutamente valida nonostante un ritmo piatto) e di sceneggiatura (solida, ma che non mi ha esaltato), ma fondamentalmente per limiti del personaggio, la Jackie del titolo, comunque ben interpretata che ha però poco da offrire allo spettatore. Incentrare tutta la narrazione sulla morte, il funerale e l'abbandono della Casa Bianca della ex first lady è semplicemente semplicistico (personalmente ho avuto la sensazione di assistere ad un lungo funerale di poco meno di due ore), si è parlato ampiamente dell'omicidio di JFK e purtroppo il regista si fa prendere un po' troppo la mano in una vicenda che sinceramente non appassiona più di tanto ormai (anche se rimane ancora oggi l'unico degno di analisi ed interesse di un'operazione cinematografica che purtroppo non aggiunge niente al tragico evento storico). Perché Larrain, come in Neruda, trasfigura un film biografico in una rappresentazione d'autore. Una trasfigurazione algida e statica (altresì "commerciale") che non convince nonostante la confezione pregiata. Giacché esso costruisce un film formalmente molto accurato, ma privo di una sua dimensione emozionale. Con Jackie, insomma, Larraín realizza un bel biopic incentrato su uno dei personaggi pubblici più adorati della storia contemporanea, che tuttavia difetta di un pigro ritmo narrativo e di una serie di interpreti di contorno (che restano forse volutamente nell'ombra) che aggiungono poco o niente all'economia generale del film, sorretto precipuamente da una prodigiosamente trasformistica Natalie Portman. Peccato ma comunque Larrain (la fase cilena del suo cinema è forse la migliore) si è già fatto notare per altri film (migliori), vedremo in futuro cosa ci riserverà. Intanto rispetto a Neruda si sale almeno di uno scalino, anche solo per la simpatia ed empatia della fascinosa ed elegante signora Kennedy rispetto al poeta e politico cileno. Voto: 6