Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/04/2018 Qui - Ammetto che proprio non capivo come avesse fatto Baby Boss (The Boss Baby), film del 2017 diretto da Tom McGrath, a essere nominato all'Oscar 2018 nella categoria film d'animazione (premio poi andato come tutti sanno a Coco), non solo perché LEGO Batman: Il film sembrava avere tutte le carte in regola per entrare nel magnifico quintetto, ma anche perché il protagonista principale della storia (anch'essa non del tutto originale) non sembrava avere niente di originale nella sua caratterizzazione, simile a tanti altri. Eppure nonostante il neonato, giacché dopo Cicogne in Missione siamo di fronte nuovamente ad un altro cartone animato sui neonati, assomigli indistintamente tra una Maggie Simpson, uno Stewie Griffin e un Rallo Tubbs della situazione, senza dimenticare la storia di fratellanza che sembri ricalcare in parte quella di Julie e Mikey di Senti chi parla 2, il film, forse per lo più ad un pubblico di bambini, tuttavia molto carino e grazioso, riesce a rendersi particolarmente simpatico, interessante e alquanto, nei limiti del soggetto "riciclato", originale. Questo film d'animazione è infatti un piccolo gioiellino, tuttavia non memorabile. La Dreamworks Animation ci ha regalato tanti piccoli gioielli d'animazione, come "Shrek", "Kung Fu Panda" e "Le 5 leggende", e questo non è di certo al loro livello, ma è comunque una pellicola che farà felici i più piccoli (ma non solo), perché riesce a strappare qualche risata e ha un ritmo davvero invidiabile, considerando che dura un'oretta e mezza e offre una comunque storiella degna di visione. Si tratta difatti di un progetto in grado di entrare nel cuore di tutti, senza distinzione di età, perché affronta temi universali e allo stesso tempo riesce a divertire senza mai annoiare. È facile che a lungo andare le battute possano stancare lo spettatore, soprattutto se si tratta di un adulto, ma non è questo il caso. Merito di ciò è senza dubbio l'ironia graffiante che caratterizza l'intero film.
Un film particolare, perché si avvale di una sceneggiatura semplice a livello di sintassi, diretta e per nulla banale, che non lascia nulla al caso perché si avvale di battute ben studiate e volte a suscitare nello spettatore (giovane e altresì adulto) una profonda riflessione sulle difficoltà che un bambino può incontrare quando il suo ruolo viene messo a dura prova da una nuova presenza. Il film si basa infatti sui cambiamenti che si presentano in una famiglia nel momento in cui arriva un nuovo bebè in casa. Si può essere licenziati dalla propria famiglia? È questa la paura di Tim, il protagonista, che non vede di buon occhio il lieto evento. Ma la capacità maggiore è quella di emozionare il pubblico attraverso le piccole cose, un sorriso, un sguardo d'intesa, un pianto, un gesto d'affetto. La pellicola vuole anche guardare al mondo attuale e al problema relativo alla riduzione del numero di nascite che si sta verificando ultimamente in tutto il globo. Tema che per fortuna viene affrontato con una leggerezza tale da non disturbare la proiezione e, infatti, non viene approfondito quanto meriterebbe, ma trattandosi di un film d'animazione è anche giusto lasciare largo spazio alle risate. Non a caso il tutto viene raccontato dal punto di vista fantasioso di un bambino di 7 anni. Un bambino che si trova in perfetta armonia con i propri genitori, gioca con loro nei modi più disparati, entrando in mondi che solo i bambini possono creare e si addormenta con loro mentre narrano la favola della buona notte e cantano la sua canzone preferita, finché senza neanche consultarsi col primogenito, decidono di fare un altro pargolo. Come se non bastasse, il fratellino non causerà soltanto la riduzione delle attenzioni di mamma e papà, ma si rivelerà parlante e misterioso.
Il neonato infatti, abbastanza particolare perché vestito in giacca e cravatta e con a seguito una ventiquattrore (mandato in missione dalla Baby Corp per capire cosa sta complottando il proprietario di un'altra azienda, il quale sta cercando di far chiudere la loro impresa che sforna a tutto andare bambini per le famiglie che li desiderano) e alla base dell'idea di Marla Frazee, autrice del libro "The boss baby" (2010), sarà capace addirittura di rivelare al fratello maggiore cosa c'è prima della nascita, ovvero una specie di casa di produzione di neonati in cui non tutti sono diretti ad una famiglia, alcuni diventano adepti col compito di salvaguardare l'equilibrio dei valori dell'amore nel mondo, che non deve mai sbilanciarsi troppo verso i cuccioli degli animali, una delle trovate originali e fantasiose nate per distrarre i bambini dalla vera causa della nascita, adattata bene con una sceneggiatura di Michael McCullers molto citazionista (dal "tu non puoi passare" di Gandalf alla trappola de "I predatori dell'arca perduta"). Così al fine di scoprire perché presso le famiglie le nascite sono calate a favore della presenza di animali domestici, il piccolo bebè, con aiuto dell'odiato fratello (con cui col tempo i due mettono da parte le ostilità pur di raggiungere l'obiettivo comune, liberarsi l'uno dell'altro), farà di tutto per evitare che ciò accada e diventare un giorno il leader della Baby Corp. Affronteranno quindi una serie di situazioni rocambolesche che li avvicineranno più di quanto non avessero mai potuto immaginare, alla fine infatti impareranno a volersi bene reciprocamente. In tal senso il risultato finale, seppur prevedibile nella trama e nei facili sentimentalismi (ma parliamo di un film d'animazione mainstream, era inevitabile), è, al di là delle trovate comiche, dell'animazione perfetta e del buon doppiaggio, esilarante.
Baby Boss infatti, seppur inizi come il consueto film per famiglie in cui un bambino teme appunto il classico arrivo in casa del piccolo rivale che gli cambierà la vita (o teme che ciò avvenga, come nel francese Il piccolo Nicolas e i suoi genitori), si trasformi poi in un'avventura action, scatenata e a tratti un po' confusa, dove anche se credibilità e verosimiglianza non sono più richieste, riesce a farsi apprezzare. Perché al di là della trama irreale soprattutto per ciò che concerne la figura di un essere adulto travestito da neonato (uno stratagemma narrativo originale ma forse fin troppo surreale che ricerca situazioni sempre più esagerate e paradossali) e con un'importante e pericolosa missione da compiere, che in ogni caso appassiona e diverte, il film tratta esplicitamente delle tematiche interessanti e quanto mai reali ed attuali quali appunto, il calo delle nascite a favore dell'acquisto di un animale domestico, la paura vera dei fratelli più grandi di essere affettivamente spodestati dai fratellini più piccoli che monopolizzano tutte le attenzioni dei genitori, e l'amore reciproco che dovrebbe esistere tra fratelli e sorelle che diventano in pratica dei complici. E quindi proprio perché vista in questa prospettiva la pellicola assume valore, nonché funge da insegnamento ai bimbi di collaborare con i propri fratelli, diventando amici, complici attraverso i giochi e le avventure vissute insieme, cementando così dei sentimenti positivi e sinceri l'uno per l'altro che dureranno negli anni sino all'età adulta e per sempre. Tuttavia e purtroppo temi comunque non esposti efficacemente che fa risultare Baby Boss decisamente un film superficiale. Anche perché il cattivo di turno (una multinazionale che cerca di soppiantare "sul mercato" i bambini con i cuccioli di cane) se da un lato pare introdurre una severa critica, per nulla campata per aria, alla nostra società poco amica dei bambini, dall'altro lato non ha sufficiente spazio e caratterizzazione per acquistare il giusto peso.
Nell'insieme però il prodotto è di buona fattura e merita senza dubbio la visione, moderno nei messaggi senza essere troppo innovativo, veloce nel ritmo pur conservando una certa cura per la trama e la leggera critica sociale. Perché anche senza puntare a dire cose davvero importanti sulla famiglia, sull'essere fratelli e sul crescere, facendo rimanere quella sensazione tipica di quando si ha di fronte una buona idea non sfruttata al massimo delle sue potenzialità, per difetto di ambizioni, il film si lascia vedere con piacere. Le gag difatti sono innovative, diverse da quelle che siamo abituati a vedere sul grande e piccolo schermo, e altresì imprevedibili (piene di gustose citazioni). Certo, anche una parte finale in cui, pur senza troppa originalità, il senso di fratellanza tra i due si impone, ma nonostante questo, pur perdendo la progressiva carica dirompente della prima parte del racconto, aderendo invece a schemi più precisi e lineari, esso non intacca più di tanto il risultato, giudizio complessivo di Baby Boss, per lo più positivo. Non solo perché la regia, che si avvale di qualche inquadratura insolita, è di Tom McGrath, che ha firmato anche la trilogia di "Madagascar", insieme a Eric Darnell e solo nell'ultimo a Conrad Vernon, e "Megamind", ma anche perché le musiche spesso in sintonia con le scene degli inseguimenti, e la semplice ma d'impatto, movimentata ma mai fuori luogo colonna sonora, sono del maestro Hans Zimmer, affiancato da Steve Mazzaro, in più tra i doppiatori originali spiccano i nomi di Alec Baldwin (Baby boss), del grande Steve Buscemi (il villain Francis Francis) e di Tobey Maguire (narratore). Un cartone dunque "per famiglie", pieno di scene spassose e con un personaggio, il boss bebè, davvero curioso, che passa repentinamente dalla tenerezza di un poppante alla serietà e professionalità di una specie di agente segreto, con voce profonda (geniale).
Perché insomma i dubbi su questo film della Dreamworks erano giustificati ma, alla fine della proiezione, si sono rivelati assolutamente infondati. Fin dalle prime sequenze, infatti, Baby Boss delinea una perfetta situazione di scontro tra la realtà che circonda Tim e quella prodotta dalla sua fervida immaginazione che viene oggettivata dal team dei creatori in modo accattivante e surreale. La stessa costruzione da commedia è retta da basi che non rischiano mai di cedere perché equilibrate da un versante formale perfettamente accordato. Nelle fantasticherie ad occhi aperti, gli animatori si sbizzarriscono inserendo le sequenze d'azione più adrenaliniche che, ovviamente, cozzano fortemente con i loro protagonisti, dei semplici poppanti, generando un inevitabile effetto comico che fa presa sullo spettatore. L'idea alla base della narrazione è quella che una sorta di catena di montaggio, alla nascita dei bambini, li assegna alla famiglia o al lavoro d'azienda. I dirigenti occupando una posizione delicata e, sovente, si trovano a svolgere una serie di missioni segrete. Come in "Cicogne in Missione" è da notare ed apprezzare proprio questa bellissima sequenza dove viene mostrata la modalità , divertente e spiritosa, in cui vengono creati i bambini e gli atteggiamenti da "manager" sicuri ed autoritari, sostenuti anche da un'efficace mimica facciale, del baby boss protagonista che risultano sicuramente esilaranti e buffi. A tal proposito buffi e simpatici, altresì ben tratteggiati sono tutti i protagonisti. Certo, seppur la narrazione risulta intrigante e intelligente (perché se riuscite a sorvolare alla premessa piuttosto sconcertante vi ritroverete a godere di dialoghi scattanti che non generano punti morti), forse un po' prevedibile e non del tutto efficace è la scelta di mostrare la realtà attraverso gli occhi fantasiosi del bambino, tanto che alla fine rimane comunque il dubbio su ciò che si è visto, se si sia trattato del frutto della fervida immaginazione del protagonista oppure se ci fosse un fondo di verità, è un film guardabile e apprezzabile da giovani e meno giovani col cuore di bambini. Voto: 7