martedì 31 agosto 2021

Al di là delle montagne (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Passato, presente e futuro, una Cina che, nella visione di Jia Zhangke, sta cambiando velocemente ma con la speranza che da qualche parte rimangano radici e tradizioni. Uno spaccato della vita di Tao (Tao Zhao) da Fenyang (città natale del regista) all'Australia, in un arco di 25 anni, partendo dalla fine del 1999, con una puntata nel 2014 e un finale nel 2025, tre momenti nettamente distinti dai diversi formati dello schermo. Tre atti drammatici impreziositi da un uso superbo (presumibilmente della regia) di fotografia e ambientazione (per essere il suo mio primo film che vedo ha notevoli doti) e con un'eccellente interpretazione del cast. All'inizio tutto sembra un po' schematico, poi a poco a poco ci si lascia trasportare dalla grande forza emotiva della storia. Questo è un film profondo e lirico, grazie anche a due personaggi femminili che incidono con la loro forza/speranza emotiva. Ed è un film sfacciatamente sentimentale, e non è una grossa colpa. E ciò che rende pregevole questa pellicola è l'atmosfera malinconica e nostalgica (peraltro molto ben emblematizzata da una canzone di una cantante cantonese) che prevale e pervade l'intera vicenda, creando un'opera, forse un poco troppo lenta nella prima parte, ma alquanto poetica e suggestiva. Un'opera molto ambiziosa nei contenuti, talvolta troppo didascalica e semplicistica in alcuni passaggi, ma stimolante. Tra fuochi artificiali e canzoni occidentali (Pet Shop Boys in particolar modo), Al di là delle montagne è quindi un film, seppur in parte anche irrisolto nel suo finale, da vedere. Voto: 7

L'uomo che uccise Hitler e poi il Bigfoot (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Suppongo ma potrei anche sbagliare, che chiunque legga un titolo del genere, guardando anche la locandina, la prima cosa che pensa è di vedere una trashata assurda. Ecco, niente di tutto questo, perché l'elemento trash non si vede nemmeno con il telescopio Hubble. La pellicola (scritta, diretta e co-prodotta dallo sconosciuto regista americano Robert D. Krzykowski) prende rapidamente dei toni malinconici e nostalgici. Tale tonalità rimane per tutta la durata del film, creando un forte contrasto con l'assurdità delle missioni a cui ha partecipato e parteciperà il protagonista, uomo tutto d'un pezzo, al quale la guerra ed il governo ha tolto in fondo una vita normale. Sam Elliott è un attore di tutto rispetto ed è l'aspetto migliore di questo film che purtroppo pecca molto in scrittura, con buchi di sceneggiatura vistosi e con la scansione dei numerosi flashback non proprio indovinata (imbarazzanti i momenti clou). Comunque non è facile giudicare un film del genere, un film che almeno è originale, ma l'originalità non sempre basta. Voto: 5,5

Peninsula (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Deludente questo sequel di Train to Busan. Non che il suo predecessore fosse un capolavoro, ma era un film tutto sommato divertente e ben fatto (una bella sorpresa indubbiamente). Anche Peninsula tutto sommato ha una struttura che nella sua semplicità si lascia vedere ed intrattiene per tutta la sua durata. Probabilmente il desiderio di esportabilità verso mercati esteri ha influenzato non di poco il suo stile. Tutto il film è parecchio derivativo, troppo per un film coreano e più conforme agli standard americani. Uso sproporzionato della CGI sia per gli zombie che negli inseguimenti, con i primi più simili ai birilli e gli automezzi non lontani dall'essere delle trottole. Grana grossa da film d'azione americano e tornando sul discorso inseguimenti credo che Peninsula sia un po' Fury Road con gli zombie (in CGI). Peccato perché Yeon Sang-ho, anche nell'animazione è un bravo regista (vedasi Seoul Station, prequel del sorprendente film del 2016) e secondo me ha fatto un film a metà strada tra il live action e l'animazione, senza eccellere nell'uno o nell'altro. Voto: 5

Timecrimes (2007)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Pellicola spagnola costruita con sagace ingegno (nonostante la penuria di mezzi), Timecrimes stupisce per l'incredibile efficacia con cui il regista (quel Nacho Vigalondo di cui si è sempre parlato bene da questo punto in poi, e giustamente, anche se il suo ultimo Colossal non mi ha convinto) riesce a catalizzare l'attenzione dello spettatore mediante un processo di scrittura che, seppur tutto fuorché originale, mantiene un livello di tensione pressoché costante. Con l'ausilio di una manciata di attori (4, tra cui egli stesso, ma bravo è soprattutto Karra Elejalde) e di un numero limitato di location (due interni e qualche ripresa esterna in mezzo ai boschi), l'autore mette in scena una storia fatta di loop temporali e di meccanismi di scrittura che disegnano con apprezzabile equilibrio una discreta concatenazione degli eventi (sebbene, nelle battute finali, una leggera confusione inizi a palesarsi). La fotografia desaturata, dal canto suo, viaggia a braccetto con una regia essenziale ma attenta, dove il montaggio, semplice e solido, funge quasi da narratore, ogni inquadratura, difatti, sarà utile al fruitore per decifrare lo sviluppo degli eventi che si dipaneranno per tutto l'arco della durata. Minimale ma affascinante, Timecrimes è quindi un più che riuscito thriller fantascientifico, nonché la dimostrazione di come non servano ingenti somme di denaro per realizzare qualcosa di sorprendente. Voto: 7

L'ora più bella (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Their Finest (tratto dal romanzo Their Finest Hour and a Half di Lissa Evans e ribattezzato in italiano L'ora più bella, da non confondere con L'ora più buia, anche se paradossalmente di Dunkerque si parla ugualmente) propone un soggetto interessante: la macchina del cinema durante il periodo bellico. La curiosità di osservare l'impostazione di certe pellicole in un momento difficile come quello della guerra, per farsi anche veicolo di propaganda. Un film (a metà tra il dramma e la commedia, regalando massicce dosi di emozionalità, non solo amorosa) che ha nella coralità del cast il suo punto forte, Gemma Arterton e Bill Nighy in primo luogo. Un film (diretto da una regia senza grosse pecche, da Lone Scherfig) mai retorico o sopra le righe (cosa per niente scontata quando si ha come sfondo la guerra), che tratta inoltre con intelligenza la tematica dell'emancipazione femminile. Però è un film che sembra perdere il suo punto focale in sotto-trame ridondanti e poco utili rispetto alle aspettative del soggetto iniziale. Si lascia guardare con piacere, ma nulla di più. Voto: 6

Tommaso (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Coinvolgendo la moglie Cristina e la figlia Anna, l'esperto regista Abel Ferrara ambienta in un quartiere romano un ritratto della propria carriera ed esistenza (sorta di meta-cinema autobiografico), con Willem Dafoe (molto bravo) che oltre ad interpretarne l'alter ego richiama in un paio di sequenze "L'ultima tentazione di Cristo". Vuole riflettere sui fallimenti passati e l'astinenza dagli eccessi come una condanna per l'artista che proprio in essi trovava l'ispirazione, alternando lo scorrere monotono e semplice della vita ai momenti di rabbia e incomunicabilità tra Tommaso (che non è il Tommaso della Bibbia o quello interpretato da Kim Rossi Stuart nel film omonimo del 2016) e la moglie, e rende le visioni e i sogni (pruriginosi) come unici sfoghi nel tormento per la sua repressione. La sincerità è indubbia e lo stile molto semplice con fotografia sobria e movimenti di macchina fluidi alternati a sprazzi bruschi funziona, ma le allusioni al film di Scorsese per sottolineare il contrasto interiore tra sregolatezze e l'educazione cattolica del protagonista (e del regista) sono didascaliche, e il tono generale è alquanto auto-assolutorio. Film curioso, disomogeneo ed imperfetto, che si segue più per affezione al protagonista (bello sentir recitare Dafoe in italiano) che per il valore della sceneggiatura in sé (con annessi generosi nudi). Finale un po' confuso, ma l'esperienza complessiva soddisfa, seppur solo in parte. Voto: 5,5

An Elephant Sitting Still (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Non c'è speranza, è inutile andare avanti, così Hu Bo (il regista esordiente e poi suicida) si piazza "dietro", proprio dietro ai suoi protagonisti. Li segue da vicino (quasi come "Il Figlio di Saul"), di spalle e filma in secondo piano un mondo di miseria spesso fuori fuoco, fatto di anime controluce, buie, aride, misere. Miseria, povertà, sporcizia, non c'è luce, non c'è sole, solo inquinamento e qualche volta la pioggia. Per tutto il film Hu Bo mette a nudo il disagio di vite che non hanno nulla, non ambiscono a nulla, dove la prepotenza è l'unico linguaggio comune. Ma esibito è il disagio del regista, che si maschera dietro ai suoi "parasite", senza dar loro alcuna possibilità di riscatto, alcun coraggio, alcuna scintilla. Parlano per conto suo come se fosse il testamento suo pensiero. E' malessere, un tale vuoto da ritrovare in un pachiderma seduto, fermo, un riferimento. Un totem per trovare un senso che non c'è. Ho apprezzato la messa in scena, la tecnica, l'anima, le interpretazioni, finanche la colonna sonora. Eppure questo destino ineludibile, questo mal di vivere, questa (estrema) essenza nichilista non è casa mia (non sempre almeno) e l'insieme non giustifica tale lunghezza esagerata. Già, perché dura quasi 4 ore questo film, un film che tra l'altro originale non è, i destini di più persone s'incrociano per poi scontrarsi, si è già visto, inoltre la tematica allude in parte al film Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, insomma nonostante l'intensità c'è banalità, e quindi più che definirlo discreto non riesco. Voto: 6,5

Lontano lontano (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Altro colpo a bersaglio del bravo Gianni Di Gregorio (attore, regista e sceneggiatore) che, memore del successo di Pranzo di Ferragosto (e dei suoi altri), punta ancora su semplicità e romanità per emozionare lo spettatore con una storia non trascendentale ma ricca di brio e umanità (veleggiando come al solito tra il sorriso e il sospiro, con uno stile che è ormai ampiamente riconoscibile). Pochi attori (anche ed ovviamente lui stesso) ma ben collaudati, tra cui il compianto Ennio Fantastichini, che terminate le riprese del film ci lascerà (un film prodotto a distanza di cinque anni dal precedente film del regista romano, ovvero Buoni a nulla). La pianificazione del progetto di partire per l'estero e le prime difficoltà pratiche, la parte migliore del film. Di una commedia gradevolissima che tratta argomenti sociali di attualità che spaziano dalla famiglia al lavoro, dalla situazione pensioni alla burocrazia, dall'amicizia all'emigrazione, dalla ricerca di un posto più vivibile alle incertezze e alle paure che comporta una scelta di vita. Tutto trattato con garbo, ironia e un velo di malinconia, diretto senza sbavature, realizzato e interpretato al meglio per garantire una visione interessante e gradevole da seguire. Voto: 6

The Assassin (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Se visivamente si ha poco da eccepire, vista la confezione che Hou Hsiao-Hsien (questo il suo primo film che vedo) imbastisce e propone, non si può invece esaltarsi per quanto riguarda l'iter narrativo che in molti frangenti risulta estremamente lento, tanto da distrarre e confondere chi guarda. Il coinvolgimento inevitabilmente ne risente e The Assassin non riesce ad essere incisivo e interessante quanto avrei voluto, non facendomi godere appieno della storia. La sufficienza è meritata per il comparto visivo che si fa preferire, compresa l'avvenenza e la bravura di Shu Qi, ma il racconto non mi ha particolarmente convinto. Un film di cappa e spada in cui i combattimenti sono brevissimi ed accessori, violenza stilizzata e coreografica, totalmente funzionale alla sinfonia visiva che si para di fronte ai nostri occhi. Eppure, l'impressione finale è che anche il film, non solo gli scontri armati, manchi di sangue e carne dolorante. Un arazzo che stupisce, ma non si imprime negli occhi, una rarefatta parabola filosofica che ci colpisce, ma non ci lascia feriti in "poltrona". Voto: 6

The Rider (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Cinema indipendente e dalle pretese autoriali, The Rider è la pietra tombale sul western e il mito della frontiera. La regista Chloé Zhao (quella del pluri-premiato recente Nomadland) mette in scena la toccante storia di un "cavaliere" dei rodeo impossibilitato ad esibirsi dopo un infortunio e ci racconta con ritmo dilatato e una sceneggiatura molto asciutta, tutta la tensione della perdita e il dolore dell'impossibilità. La fine del sogno, per citare l'aggiunta (come sempre bruttina) al titolo originale (Il sogno di un cowboy). È nella mano di Brady che non si apre, nel corpo dell'amico paralizzato, negli espedienti e nel vizio del padre, nell'alone di miseria e sudiciume che fa da sfondo alla storia che la regista dipinge (reiterando alcuni classici stilemi del genere) tutto l'abisso reale verso cui è ormai sprofondato il "west" e la sua narrazione. E anche se qua e là il discorso pecca di ingenuità e poca originalità, la giovane regista riesce a raccontarci una sempre più rara storia di sentimenti e realtà. Un racconto intimo, senza la trappola del giudizio, onesto e pulito (attori non professionisti di grande bravura). Un'opera sensibile e profonda che, facendo riflettere sulla necessità di venire a patti con i propri sogni, riesce a commuovere senza forzature. Voto: 7

Sputnik (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Non male. Sicuramente riuscito nei primi 60-70 minuti: l'idea è abbastanza originale, il mostro ben realizzato senza abuso di CGI, l'ambientazione (base militare sovietica) e l'atmosfera (da guerra fredda) molto belle. Tutto sommato potrebbe essere benissimo una sotto-trama di Stranger Things o parte di uno dei tanti sequel di Alien (da notare che il simbionte alieno sembri proprio un incrocio tra uno xenomorfo ed un demogorgone). Peccato si perda un po' nella seconda parte quando ci si concentra troppo sui drammi dei protagonisti e l'alieno passa in secondo piano. Buono il commento sonoro, doppiaggio più che dignitoso. Solido nella regia, sobrio negli effetti speciali e ben interpretato. In conclusione, come esordio non è male, certamente con un po' più di attenzione avrebbe potuto portare a casa un voto ancor più positivo (purtroppo non si può fare a meno di notare una certa superficialità nelle scene presentate, man mano che si va avanti, soprattutto nei personaggi che vengono caratterizzati in maniera contraddittoria e discontinua), ma ci si accontenta. Voto: 6

Alone (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Il soggetto di questo film è un concentrato di visto e rivisto, persino nelle dinamiche non presenta nulla di originale, però la resa sullo schermo devo dire che è buona perché non avendo nulla di particolare da offrire, presenta innanzitutto una buona costruzione dei personaggi. Personaggi molto lontani dai soliti schematismi che allontanano, o almeno riducono al minimo le forzature di sceneggiatura, difetti tipici di questo genere di film che di solito sono zeppi di situazioni illogiche per non dire stupide. Il serial killer pur strizzando l'occhiolino alla figura di "Ted Bundy" ha una resa più che soddisfacente (buono in questo senso il lavoro di Marc Menchaca). Inoltre la tensione è ben costruita fin dall'inizio (merito indubbiamente anche del regista John Hyams, che firma probabilmente il suo miglior prodotto filmico), dove l'occhiolino semmai lo strizza a Duel e mantenendosi sempre costante grazie anche allo scenario naturale in cui la donna (una sorprendente Jules Willcox) è completamente sola ed in costante pericolo. Un buon lavoro non c'è che dire. Voto: 6

venerdì 27 agosto 2021

Zatōichi (2003)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2021 Qui - Personaggio di culto in Giappone, il massaggiatore cieco viene "riletto" da Takeshi Kitano che realizza una pellicola di evasione allontanandosi dai temi (un po' più impegnati) del suo cinema tradizionale. L'apparente semplicità di Zaitochi è però contraddetta dalla molteplicità dei temi trattati e degli stili adoperati. Non solo film di arti marziali, ma anche pochade, farsa e dramma. Il film realizzato (sebbene si tenda a mettere un po' troppa carne al fuoco) risulta molto piacevole. Eppure ad essere onesti senza la presenza (e il tocco magico) dell'impagabile Kitano, questo suo "film di samurai" meriterebbe al massimo un paio di stelle. Personaggi appena abbozzati, colpi di scena fiacchi e assai poco sorprendenti, discutibile ricorso ad effetti speciali fin troppo artificiali, struttura spezzettata e frammentaria, una parte centrale che arranca faticosamente tra lungaggini e lentezze assortite, ma per fortuna c'è lui, il geniale regista/attore a riempire gli innumerevoli spazi vuoti nelle maglie di una sceneggiatura troppo sfilacciata e a dare una risposta ai tanti "perché" che il film pone. Takeshi Kitano, basta inquadrarlo di sbieco nella sua camminata curva e strascicata per riempire lo schermo ed illuminare un'opera altrimenti deludente, egli, con Zatoichi, mette in scena un'indimenticabile personaggio, tenero, buffo, dimesso e auto-ironico (davvero esilaranti alcuni momenti del film), un paradossale esempio di invincibile perdente (lo so: è un ossimoro) nel quale è difficile identificarsi ma che è davvero impossibile non amare. E poiché Kitano è Kitano, alla fine salvo Zatoichi dalla stroncatura aggiungendo una terza stella e sarei tentato di aggiungerne persino una quarta per premiare un finale a dir poco straniante (nella sua totale assurdità) con balletto in vago stile Bollywood, ma francamente sarebbe un po' troppo: voto sufficiente. Voto: 6

Brother (2000)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2021 Qui - Il primo e (ancora) ultimo film di Takeshi Kitano girato in terra americana. Un film meno romantico, più politico e più tradizionale dei precedenti, ma un noir comunque notevole. Kitano e lo Yakuza-Movie, attraverso stragi e bagni di sangue profondi messaggi e riflessioni sulla natura e la crudeltà umana. Egli (anche qui nelle doppie vesti di attore e regista) dipinge il mondo degli yakuza come un mondo complesso, naturalmente dominato dalla violenza e dal sangue, ma anche un mondo dove conta moltissimo l'onore, il rispetto, la fedeltà e il coraggio, e spesso in alcuni personaggi, come per esempio il miglior amico di Kitano, è veramente difficile inquadrarlo nella posizione del cattivo seppur fa parte di una "famiglia" di assassini. Un film coinvolgente, dove (appunto) tutti i personaggi sono estremamente interessanti e tutti hanno veramente qualcosa da dire. Su tutto e tutti domina un senso di solitudine e di fatalità dove, però, nell'ultima parte affiora una voglia di riscatto morale. Ma siamo in un noir, e questo riscatto avverrà solo dopo un bagno di sangue e non prima (attenzione: parziale spoiler in arrivo!) di una simbolica rinuncia alla vendetta. Film molto violento, freddo, ma (come ho già detto) anche piuttosto notevole. Colpiscono l'eleganza della messinscena in generale e i toni freddi della fotografia (grazie ai quali, però, risaltano ancora di più i momenti di violenza) che usa soprattutto colori funerei e colpisce anche l'apparente lentezza della narrazione che trasmette l'inquietante sensazione che tutte le situazioni possano degenerare da un momento all'altro. E, nonostante tutto, il regista lascia scorrere, in filigrana, una vena di salutare ironia che non guasta mai. Brother non è tuttavia uno dei migliori film di Takeshi Kitano, la violenza un po' troppo parossistica ed esasperata, ed è anche un film che forse non riesce a dire completamente tutto ciò che vorrebbe, ma può bastare. Brother per gli amanti del noir e dello yakuza-movie è imprescindibile. Voto: 6+

Sonatine (1993)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2021 Qui - Uno dei migliori film (di quelli fin qui visti) di Takeshi Kitano, capace di fondere con consumata esperienza brutalità e innocenza, sangue e romanticismo. Una pellicola che si snoda attraverso una narrazione a tratti molto lenta per poi esplodere in accelerazioni improvvise ed inaspettate. Egli scava nei suoi personaggi, analizza le cause della loro inquietudine e della loro tristezza. Il suo viso è perfetto per interpretare Murakawa, stanco yakuza e uomo disilluso, desideroso di abbandonare una vita che conosce troppo bene e dalla quale appare ostico affrancarsi. La sua fuga è destinata ad arenarsi su una spiaggia di Okinawa, qui insieme agli ultimi fidati uomini della sua banda troverà un non luogo, apparentemente fuori dal tempo e sconosciuto alle ferree leggi della criminalità, un posto dove rifugiarsi e potersi illudere che il fato sia in vena di deroghe. Il deserto dei tartari di questo Ronin moderno è un'oasi di pace, dove l'attesa viene ingannata in maniera giocosa, con scherzi e giochi infantili. L'abitudine alla violenza degli yakuza si trasforma, rigenerata da una semplice capanna sulla spiaggia e dal rumore delle onde, un luogo di pace che purtroppo sarà anch'esso raggiunto da un destino scritto molto tempo prima e che ritufferà nel suo mondo Murakawa, costretto ad affrontare quella realtà angosciante cancellata in maniera illusoria dalla permanenza sull'arenile. Il linguaggio cinematografico del regista/attore non è tra i più semplici, ma affascina grazie ad una poetica sanguinaria e malinconica, l'attitudine alla tragedia è ancora una volta resa mirabilmente in un finale che non ti aspetti e che colpisce con veemenza (la colonna sonora è quasi assente e la fotografia è sempre ottima). Decisamente un grandissimo lavoro, che unisce con sorprendente lucidità abbondanti dosi di violenza ad una poetica di fondo che rende/renderà Takeshi Kitano un autore unico nel suo genere. Voto: 7

Violent Cop (1989)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2021 Qui - La prima regia di Takeshi Kitano ha uno stile grezzo e discontinuo con un ritmo a tratti incerto, ma porta già con sé quasi tutti gli stilemi del suo cinema. Notevole la capacità di dipingere un antieroe servendosi di una storia dai toni acri e cupi, dove domina il cinismo, dove cane mangia cane, dove non c'è spazio per la redenzione. È lui il Violent Cop del titolo, laconico, scostante con i colleghi, incurante dei superiori, determinato come un automa nel suo lavoro (la sua interpretazione è unica, divertente e straniante, quindi perfettamente inserito nel film, il gioco sul genere poliziesco). Il suo unico rapporto umano sembra essere quello con la sorella portatrice di un handicap e sarà proprio questo legame a causarne la rovina nel disperato, lancinante finale, che è a tutti gli effetti la cosa migliore del film. Il film infatti, o la storia, parte abbastanza bene e sembra seguire una determinata strada, salvo poi un po' perdersi e non ritrovare quasi più la bussola. Alcuni fatti sembra accadano per puro caso mentre altri son descritti in maniera abbastanza confusa. Anche dal punto di vista della regia si poteva fare certamente molto meglio, alcune parti hanno un taglio veramente singolare e spesso non si capisce cosa stia accadendo sullo schermo. Il finale risolleva le sorti della pellicola, una pellicola comunque ben costruita, capace di mettere in luce quelle che saranno le peculiarità della cinematografia di Kitano con grande lucidità e trasporto. Nonostante qualche rallentamento eccessivo la trama si lascia seguire con piacere, miscelando l'azione più truce (presente qualche scena piuttosto cruda) con momenti intimi di incredibile dolcezza. Non a caso la violenza visiva che esplode senza preavviso ed è alternata a momenti più riflessivi rappresenta la cifra stilistica più evidente di un film che si distingue anche per l'interpretazione del suo protagonista e la particolarità della colonna sonora. Insomma un esordio apprezzabile ma non certo sfolgorante per un attore/regista di culto che in seguito farà certamente di meglio. Eppure penso che con qualche accorgimento questo film sarebbe potuto essere molto migliore dato il suo potenziale, ma non tutte le ciambelle vengono bene al primissimo tentativo. Voto: 6,5

Takeshi Kitano Filmography

Post pubblicato su Pietro Saba World il 27/08/2021 Qui - Ho conosciuto Takeshi Kitano, o Beat Takeshi (suo pseudonimo), nelle vesti di attore, ma (stranamente) non in quelle di regista. Cosa c'è di strano? C'è che tutti i film da lui diretti li ha pure interpretati, ma io non ne sapevo niente. C'è che degli altri film in cui è stato protagonista o co-protagonista pochi sono "arrivati" qui da noi, quindi qualcosa non quadra. E tuttavia col dubbio di aver già visto alcuni suoi film, mi sono approcciato alla visione di questi quattro film della sua filmografia senza alcuna reminiscenza. Cosicché dopo Sion Sono e soprattutto Takashi Miike, altro regista giapponese, considerato anch'esso uno dei più importanti registi orientali viventi, sviscero nella sua totalità. Ed a proposito di Miike e Kitano, seppur personalmente preferisco il primo, difficile dire chi è il migliore tra i due, sono due registi con stili completamente diversi di fare cinema e/o di fare gangster-movie per esempio, la cosa sicura è che questi due registi sono perfettamente in grado di regalare perle cinematografiche pazzesche. Di sicuro per chi ama il cinema orientale, pellicole da conoscere e possibilmente vedere, come queste qui, che in parte definiscono il suo cinema. Per abbreviare, "Un cinema fatto di temi e stilemi che ritornano più volte lungo tutta la sua filmografia, dalla presenza più o meno silente della Yakuza, un elemento assolutamente ricorrente, dal tema della morte violenta e in particolare del suicidio, la presenza della natura, evidenti riferimenti al cinema noir classico, sia nipponico sia occidentale. La sua regia minimalista, atta per unire una forte e desolante componente drammatica a inaspettati sprazzi di ironia, esaltando ancor di più i momenti di tristezza. Il suo umorismo è quasi sempre nero e di matrice nichilista". Per approfondimenti e tanto altro vi rimando direttamente alla pagina Wikipedia. Ma una cosa tuttavia è evidente, una particolarità che ho notato sorprendentemente, ovvero che Takeshi Kitano è praticamente il Sean Bean del cinema orientale, e non serve aggiungere altro, chi capisce intenda.

martedì 17 agosto 2021

Notte Horror 2021: Creepozoids (1987)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/08/2021 Qui - Ma chi me l'ha fatto fare! A partecipare? No, certo che no, anzi, è stato e sarà sempre un privilegio ed un piacere partecipare (per la sesta volta, e consecutiva, in otto edizioni compresa questa) alla Notte Horror, classica rassegna cinematografica estiva della blogosfera, e sempre ad opera della famosa combriccola di blog cinefili di cui giustamente faccio parte, ma a scegliere di vedere il film che ho scelto di vedere. Un film che potete vedere gratuitamente anche adesso, dopo aver letto questo mio post e prima che la serata continui alle 23 con il secondo partecipante di stasera, che sarà Director's Cut con Freaks, su VVVVID (basta registrarsi), ma che paradossalmente sconsiglio di vedere, infatti l'unica volta che una possibilità per tutti c'era, è la volta sbagliata. Certo, se si entra nell'ottica del B-movie ottantesco (o dovrei dire Z-movie), ci si può pure divertire, ma Creepozoids è talmente brutto che, da qualunque punto di vista lo si guardi, è una disfatta di Caporetto. Che poi in verità questo film nelle linee guida della rassegna entra e ci sta a pennello, preferibilmente anni 70-80-90, è del 1987, obbligatoriamente horror, ne riesce a cogliere il significato letterale del termine, nel senso che fa a dir poco raccapriccio per quanto è brutto, tassativamente tamarrata, è talmente trash che è stato diretto (quando la Asylum ancora non esisteva) dal Re del trash, da un certo David DeCoteau che di film così ne ha fatti (e ne fa ancora) a centinaia, quindi meglio non potevo scegliere, tuttavia mai mi sarei aspettato di vedere una trashata di questo genere e portata, che paradossalmente qualcosa ha di buono.

venerdì 13 agosto 2021

Gli ultimi fuorilegge (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Interessante western europeo (girato in Irlanda), sporco, cupo, fangoso e pieno di morti nonostante la violenza non sia affatto il fil rouge della pellicola, più improntata a portare a galla le contraddizioni di una società incapace di autogovernarsi. Il mito della frontiera tra canti religiosi e uomini senza scrupoli viene messo alla berlina mostrando il lato più oscuro di una nuova possibilità nata dalla violenza, che dalla stessa trae sostentamento venefico in un viaggio verso la coabitazione pacifica assolutamente utopico. Protagonista è il bravo Emile Hirsch, becchino di una piccola cittadina, in cui l'arrivo dello spietato Dutch Albert e dei suoi sgherri, gentaglia dal grilletto facile, permette all'uomo di fare denaro a palate. La mancanza di scrupoli però gli si ritorcerà contro nel momento in cui i malavitosi prenderanno di mira lui e la sua famiglia. Ivan Kavanagh realizza un lavoro allergico agli eroi di frontiera, aderendo ad un crepuscolare realismo che ben si sposa con gli ambienti depressi, inoltre azzecca un villain decisamente malvagio a cui dà corpo con consumato mestiere un diabolico John Cusack (era da un po' che non ne imbroccava una). Un buon film direi, avvincente al punto giusto. Peccato per il finale che lascia forse troppe cose aperte. Ed un po' di cura nei dettagli e un pizzico di attenzione in più nella sceneggiatura avrebbero senz'altro giovato alla votazione finale. Voto: 6+

Tokyo Godfathers (2003)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Dopo aver esordito con uno psico-thriller (Perfect Blue) ed aver intrapreso il difficile campo del memoir (Millennium Actress), quel grande amatore del cinema occidentale che fu Satoshi Kon si cimentò con un genere a lui apparentemente non congeniale, il blockbuster natalizio per famiglie. E un po' a sorpresa, ma non tanto, dopotutto Satoshi Kon è sempre una garanzia, egli firmò un prodotto notevole, nonostante un finale un po' affrettato che penalizza un po' il risultato finale. Disegni stupendi e curati nei minimi particolari, storia accattivante, personaggi mai troppo comuni (i tre protagonisti sono un travestito, un alcolizzato e una bambina scappata di casa per un futile motivo). Peccato però che abbia abbandonato in questo lavoro quel surrealismo che avevo tanto apprezzato nei suoi film precedenti per confezionare un prodotto più lineare: ecco infatti una favola natalizia, confezionata in maniera diversa dal solito ma pur sempre legata ad alcuni cliché (la ricerca di una dimensione familiare che i protagonisti hanno perso per gli eventi drammatici delle loro esistenze viene sublimata nella tragicomica avventura alla ricerca della madre di una bimba abbandonata proprio sotto le feste natalizie). Non mancano comunque le trovate geniali e lo humor tipico del regista giapponese, in grado di strappare qualche risata anche nei momenti più drammatici. Tokyo Godfathers è indubbiamente il film più "normale" di Satoshi Kon, forse non il più bello (personalmente ho notato, nonostante l'interesse provato durante la visione, certi rallentamenti nello svolgimento della trama, che mi hanno leggermente annoiato) ma comunque ugualmente riuscito. Voto: 6,5

Instant Family (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Il mestiere del genitore è difficile, quello del genitore affidatario lo è molto di più e se veramente il film in questione prende spunto da una storia vera, allora questo compito meriterebbe anche la beatificazione. Una dramedy discreta che propone tematiche nobili e di grande sensibilità, mettendo in evidenza il difficile rapporto generazionale e genitoriale mostrando un certo garbo, ma anche una evidente enfasi narrativa, capace di rendersi apprezzabile e godibile. Emozionante e spiritosa al tempo stesso grazie alla buona prova di tutto il cast. Mark Wahlberg è una garanzia e la Rose Byrne col suo fare "radical chic" è ben centrata nella parte. Le giovani leve (tra cui Isabela Moner, già ammirata in Soldado) se la cavano discretamente. Il regista Sean Anders, cavalcando il precedente successo ottenuto con la "saga" Daddy's home, dirige così un'altra commedia con al centro le dinamiche familiari puntando sulla brillantezza di talune situazioni e non calcando troppo la mano sul versante drammatico della vicenda, riuscendo a farsi sufficientemente apprezzare. Perché sì, il tessuto narrativo percorre lidi già battuti senza proporre niente di particolarmente originale, ma almeno è sincero nella sua attuazione. Voto: 6

Crescendo (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - La vicenda del celebre direttore incaricato di costituire un'orchestra giovanile israelo-palestinese e delle difficoltà incontrate è liberamente ispirata alla storia della West-Eastern Divan Orchestra. Non troppo originale per soggetto (compresa la storia d'amore tra i due musicisti accomunati dall'odio reciproco e dall'amore per la musica), né per realizzazione, coraggiosa la scelta di non cercare il lieto fine a tutti i costi. Bella prova corale del cast (non solo Peter Simonischek, lo si ricorda in Vi presento Toni Erdmann, ma anche tutti i giovani, da Sabrina Amali a Mehdi Meskar, italiano d'adozione), fotografia di maniera, ma efficace in cui spiccano anche le nostre Dolomiti. Non un capolavoro, ma certamente godibile (questo film tedesco diretto da Dror Zahavi), con un messaggio di fondo certamente da avvalorare nella sua accorata disamina sociale, culturale e musicale. Voto: 6+

Lucy in the Sky (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Astronauta della NASA dopo una missione nello spazio non riesce a tornare con i piedi per terra e l'incapacità di riadattarsi alla quotidianità viene esacerbata da una delusione sentimentale. Il regista Noah Hawley si sforza di dare significati più profondi ad un vicenda di cronaca che suscitò pochi anni fa molto scalpore negli USA nonostante la sua intrinseca banalità, ma il risultato è un film eludente: la protagonista (una comunque volenterosa Natalie Portman) nel suo progressivo distacco dalla realtà (ce lo fa vedere il regista tale disagio cambiando continuamente il formato da 16:9 a 4:3, ma alla lunga tale espediente è fin troppo ridondante) non suscita empatia, i personaggi di contorno come il marito e l'amante risultano sfocati, la lunga durata annoia (e non c'è nulla che possa giustificare l'inserimento di questo film nel genere fantascienza, fantascienza di cosa?!). Assurdo e inutile, giustamente stroncato da quasi tutta la critica. L'esordio dietro la macchina da presa dell'ottimo produttore e sceneggiatore di Legion è infatti pessimo, peccato. Voto: 4

Est - Dittatura Last Minute (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - L'aria dei meravigliosi anni ottanta si respira tutta in questo accattivante road movie che nella parte conclusiva si fa commovente, mentre nel suo evolversi non risparmia momenti divertenti grazie ai tre giovani protagonisti (imbranati dal cuore tenero) in viaggio verso Bucarest con una valigia da consegnare e varie disavventure da affrontare. Fa sempre piacere (a fronte di tanta corruzione e insensibilità) riscoprire il lato buono degli italiani, capaci di mettersi in gioco per aiutare chi ne ha davvero bisogno. Nostalgico ed educativo questo bel film, che ci permette di conoscere il regime comunista che era presente in Romania per molti anni e le privazioni incredibili a cui erano sottoposti i suoi abitanti. Ben scritto, ben recitato e ben diretto (da Antonio Pisu), con Lodo Guenzi del gruppo Lo stato sociale che si dimostra discreto attore in prospettiva. Un film classico come tanti road movie, ma dalla scrittura brillante, di sicuro si poteva fare di meglio, però anche così non dispiace. E' infatti un film discretamente piacevole tra commedia e dramma. Voto: 6+

Notturno (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - L'esperto documentarista Gianfranco Rosi, dopo tre anni di riprese, ci offre un film/documentario che mostra i confini mediorientali tormentati da conflitti e pallottole senza fine. Il risultato non sempre appaga (anche perché non aggiunge molto a una realtà che descrive, e che forse non conosciamo, ma si limita ad appuntare e lavorare di montaggio), nonostante la commovente visione dei bimbi con i loro disegni davanti a una maestra in sandali bianchi con tacco, e le scene familiari nella stanza in comune in attesa della caccia agli uccelli. Nel complesso non entusiasmante, soprattutto con il mattone dell'ospedale psichiatrico in cui c'è una "mezza" filippica contro l'ISIS. Si ha l'impressione che alcune situazioni siano state preparate cinematograficamente. Si vedono infatti immagini molto belle ma il senso di "non verità" aleggia un po' in tutto il film. Colpisce la totale assenza di un benché minimo accenno di sorriso, non colpisce invece questo film/documentario che "erroneamente" (a parer mio e di molti) venne candidato per rappresentare l'Italia alla 93ª edizione degli Oscar nella selezione per la categoria Miglior film internazionale, non entrò infatti nella cinquina e difficilmente poteva, non è all'altezza. Voto: 6

Wonder Woman 1984 (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Sequel di Wonder Woman, che dal confronto ne esce come un capolavoro, non lo era, ma fu una bella sorpresa e lasciava presagire una buona via per la DC. E invece, niente (al peggio non c'è fine), un film spiazzante da quanto male è stato sviluppato. Trama piuttosto tirata per i capelli con uno svolgimento decisamente banale. La faccenda dei desideri ha risvolti simpatici, anche se l'epilogo fa cadere le braccia. La cosa più sfiziosa di questo film è forse il cameo sui titoli di coda. Di chi? Facile immaginarlo. Per il resto questo Wonder Woman 1984 mi ha deluso in quasi tutti gli aspetti (è ovvio che gli effetti speciali facciano il loro dovere egregiamente). Nel suo tentativo di emulare in parte la serie e specialmente certi film supereroi di quegli anni (Superman in primis) perde i buoni spunti che presentava, lasciati cadere di fronte ad una spettacolarità che certamente su piccolo schermo si gode solo in parte. La (sempre gnocca) Gal Gadot fa il minimo indispensabile, mentre Chris Pine è l'unico che riesce a dare maggior pienezza al suo personaggio. I villain sono più adeguati al tono leggermente più brillante rispetto al primo film, ma tendono troppo alla macchietta l'uno, mentre l'altra antagonista sacrificata con un personaggio che meritava molto più approfondimento per le potenzialità che presentava (Pedro Pascal col toupet alla Trump e la Kristen Wiig che sembra una comparsa di Cats). Poteva durare di meno, quasi due ore e mezza sembrano un'eternità, nonostante non ci si annoi (avrebbero però giovato dei tagli qua e là). Delude anche la regia, si fa quasi fatica a credere che sia la stessa regista (ossia Patty Jenkins) del primo entusiasmante episodio. In conclusione, bruttarello andante. Voto: 5

Le streghe (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Deludente pellicola da un regista da cui ci si aspetta sempre qualcosa in più (dopotutto ha sfornato dei capolavori, lui che ultimamente con Benvenuti a Marwen fece un buon lavoro). Robert Zemeckis anche sceneggiatore insieme a Guillermo Del Toro (con un Alfonso Cuarón in più come produttore) provano a rinvigorire il romanzo di Roald Dahl aggiornandolo al giorno d'oggi con delle aggiunte random nella trama, ma il risultato, al di là della confezione lussuosa, delude. E' la regia ad essere poco incisiva e lo scontro, seppur per gran parte a distanza, tra la Octavia Spencer e la Anne Hathaway non riesce a essere incisivo più di tanto. L'interpretazione della prima è lodevole, anzi, insieme agli effetti visivi (che però rischiano di mangiarsi tutto il film) le uniche cose che si salvano, quella della seconda purtroppo no, snervante nel suo overacting eccessivo. Come al solito è la presenza di Stanley Tucci a portare qualche momento di frivolezza gradevole. Molto infantile e poco divertente è infatti questa storia di streghe e topini. Non si capisce dove voglia andare a parare (non si capisce a chi dovrebbe rivolgersi), una trama (appunto) flebile senza sorprese e tante ingenuità. Il problema di questo film è che non mi ha suscitato nessuna emozione, né paura, né divertimento, né suspense, non ricordo bene la trasposizione cinematografica precedente (quella del 1990), ma scommetto fosse migliore di questa nuova (non necessaria) versione. Peccato perché io a Del Toro e a Zemeckis vorrei pure bene, e tanto, ma questo è, un quasi fallimento. Voto: 4,5

Non succede, ma se succede... (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Per la regia spesso brillante e spigliata di Jonathan Levine, un esperto di commedie indiavolate (che qualche sbaglio l'ha però pure fatto, si ricordi di Fottute!), ed a volte pure autore con sprazzi di efficace e malizioso piglio narrativo che ricorda, qui in particolare, lo stile sfrontato e disarmante dei fratelli Farrelly dei tempi di Tutti pazzi per MaryLong Shot (titolo originale più indicativo di quello un po' insensato italiano) si trasforma poco per volta in una commedia sempre in bilico tra comicità a grana spessa, se non proprio greve, e quel politically correct camuffato per il suo esatto contrario. Di fatto il film ha momenti esilaranti che funzionano bene, e si giova di due protagonisti superlativi e che insieme funzionano clamorosamente bene: Charlize Theron, statuaria più che mai, ma capace di ridicolizzarsi e umanizzarsi anche restando un'icona di perfezione, ed un Seth Rogen pungente e masochista come appare nelle migliori produzioni cameratesche made in Judd Apatow o James Franco. Forse non propriamente originale per il soggetto e per come si sviluppa, ma il film di Levine appare (non per caso) come un prodotto gradevole, spigliato e dinamico, che intrattiene senza sforzi anche facendo uso di dialoghi e situazioni, a volte, un po' enfatici. Nonostante la durata, superiore alle 2 ore, il film scorre piacevolmente (il buon ritmo sopperisce a certe lungaggini), risultando così una commedia simpatica dove alla fine ci si accorge che non si è riso sguaiatamente ma si è sorriso in attesa del lieto fine. Voto: 6+

Lucky (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Paura, è questo il sentimento nuovo ed inesplorato con cui è costretto a fare i conti Lucky, novantenne che si considera quasi invincibile. La paura del vuoto, l'attesa di un epilogo già scritto che aspetta di essere vissuto. Lucky, fumatore e bevitore abitudinario, amante dei quiz e dei cruciverba, vede la sua routine quotidiana scossa da una scoperta del tutto inaspettata, una crepa nella sua natura invulnerabile: la vecchiaia. Negli 88 minuti che raccontano pochi giorni della sua vita, Lucky conduce con sé lo spettatore in un viaggio interiore che passa per esperienze e situazione della sua quotidianità. La fotografia, che sfrutta la luce naturale tipica dei paesaggi rurali degli States fa da cornice alle vicende ordinarie vissute dal protagonista che, grazie al confronto con gli altri personaggi riesce a maturare una riflessione, cruda quanto vera, sulla fugacità della vita e sulla mortalità. Come riacquistare l'equilibrio nel vivere, superando la paura della morte e affrontando l'ingiustizia che sembra la vita: è una delle domande a cui John Carroll Lynch tenta di dare una risposta con il suo primo film alla regia. E lo fa offrendoci una chiave, una strategia, una via, che ci appare scontata, quasi banale, tanto semplice quanto potente: sorridere. Un film (simile ma diverso dal bellissimo Una storia vera di David Lynch, qui presente come attore) sull'arte dell'invecchiare che tutti noi prima o poi sperimenteremo, inevitabilmente lento, ma mai noioso. Grazie a dialoghi ben scritti e a un cast talentuoso, il film riesce a mantenere l'interesse pur in assenza di grandi colpi di scena, l'umorismo agrodolce non è mai ruffiano e il film risulta un esercizio onesto e sentito. E quindi buon esordio alla regia per uno dei migliori caratteristi attuali del cinema americano, ed ottima performance di Harry Dean Stanton, quasi profetico, al suo ultimo (memorabile) film. Voto: 6,5

Tenet (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Esperimento riuscito a metà: nel senso che Christopher Nolan ancora una volta ha voluto sperimentare qualcosa mai visto prima, nella sua fissa col tempo e le costruzioni temporali presenta qualcosa volutamente ingarbugliato e di difficile fruizione, e in questo c'è riuscito, ma non è riuscito nel successo perché aldilà del progetto ambizioso quel che resta dello spettatore a fine visione è l'inebetimento di un sonoro martellante, la sensazione del vuoto e del WTF che lascia il film (un film non riuscito ma non per il suo essere troppo complicato ma per volerlo essere per forza). Insomma dal mio punto di vista "tanto fumo e poco arrosto", i capolavori di Nolan restano altri, questo resterà un esperimento originale al quale però difficilmente ci si affezionerà. Questa volta egli infatti nel ricercare il rompicapo perfetto è uscito un po' fuori tema confezionando un prodotto certamente originale ma poco avvincente. Come se non bastasse, egli riesce a costruire un muro invisibile fra lo spettatore e i personaggi. Tutto risulta freddo, asettico, privo di umanità. Non ci è consentito empatizzare con nessuna delle vicende dei protagonisti. Potrebbe succedergli qualsiasi cosa e non ne saremmo colpiti. Al regista manca proprio la capacità di farci sentire fisicamente i corpi degli attori. Come delle bellissime statue esposte in un museo che non possono essere toccate (in questo senso la  caratterizzazione dei personaggi non è delle migliori, nonostante le ottime prove attoriali, e di tutti). La sensualità è quindi bandita, perché altrimenti tutto potrebbe risultare "vero". Lo spettatore deve quindi essere sovrastato dalla potenza di fuoco del cinema Nolaniano, ricco di budget ma povero di cuore. Dopo il bellissimo Dunkirk mi aspettavo un altro approccio dal regista inglese che con questo Tenet firma sicuramente il suo film peggiore, anche se resta una pellicola interessante e di qualità, che merita la visione. Voto: 6

mercoledì 4 agosto 2021

Geekoni Film Festival: Le avventure di Rocketeer (1991)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/08/2021 Qui - Torna, a distanza di due anni dall'ultima volta, la rassegna cinematografica a tema ragazzi rinominata (giustamente e funzionalmente) Geekoni Film Festival, rassegna che, organizzata dalla cricca di blogger Nerd (la Geek League) di cui faccio anch'io parte, con il nickname Pan Fury, arriva quest'anno alla sua terza edizione, edizione che se non fosse per me, con la collaborazione di altri, non si sarebbe probabilmente mai svolta, ma ci siamo riusciti (certamente un bell'incentivo è stato il banner che ho creato per l'occasione, che troverete a fine post, che omaggia inequivocabilmente un caposaldo del genere "per ragazzi", ovviamente film degli anni '80, impossibile non conoscere, in tal senso ricordiamo il regista Richard Donner scomparso un mese fa). E dopo Labyrinth e successivamente Un maggiolino tutto matto, questa volta la mia scelta è ricaduta su di un film alquanto particolare, su di un'avventura ben congeniata che sa divertire, su di un film di fantascienza ambientato negli anni della seconda guerra mondiale nel complesso godibile. Appunto su (questo) The Rocketeer (tratto dal fumetto omonimo creato nel 1981 da Dave Stevens, l'opera più famosa dell'apprezzato fumettista e illustratore morto prematuramente nel 2008 a 53 anni), uno dei primi cinecomic, quando i cinecomic non si sapeva cosa fossero, ed anche uno degli ultimi/pochi film Disney che a dispetto del target non rinunciava (come adesso) alle sparatorie, agli inseguimenti, ai cattivi viscidi ed ai Nazisti per fare un film di questo genere. Un film dalle maestranze di tutto rispetto, dei pezzi da 90, mica pizza e fichi. Al timone ovviamente la Disney, che non ha mai badato a spese per i suoi innumerevoli film, soldi in questo caso spesi abbastanza bene, il film ha raggiunto (proprio quest'anno) i 30 anni ma non li dimostra, il merito è dell'aspetto tecnico della pellicola, di prim'ordine, in cabina (di regia) Joe Johnston, che ha sfornato qualche film discutibile (il recente Lo schiaccianoci e i quattro regni per esempio) ma che ha pure regalatoci quel piccolo cult di Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi, uscito due anni prima a questo e presumibilmente divenuto trampolino, e soprattutto quel grande piccolo cult di Jumanji (quattro anni dopo), però non solo questi due, alla sala comandi gli sceneggiatori Danny Bilson, Paul De Meo (già penne dietro la serie televisiva cult The Flash) e William Dear, alle frequenze (musicali) James Horner, vi dicono niente Titanic ed Avatar?, infine l'equipaggio, con Alan Arkin, Oscar al miglior attore non protagonista nel 2007 per Little Miss Sunshine, con Timothy Dalton, uno dei tanti James Bond cinematografici, con Terry O'Quinn, il John Locke della serie tv Lost, con Jennifer Connelly, vincitrice di un Premio Oscar nel 2002, con i caratteristi Paul Sorvino e Margo Martindale, con il giovane Billy Campbell. Il risultato? Un film decisamente figo, figo il casco (e il costume), figo il zaino a razzo e fighissima la ragazza (come fa girare la testa Jennifer non la fa girare nessuna, all'epoca poi ventenne e straordinariamente fulgida).