Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2021 Qui - Uno dei migliori film (di quelli fin qui visti) di Takeshi Kitano, capace di fondere con consumata esperienza brutalità e innocenza, sangue e romanticismo. Una pellicola che si snoda attraverso una narrazione a tratti molto lenta per poi esplodere in accelerazioni improvvise ed inaspettate. Egli scava nei suoi personaggi, analizza le cause della loro inquietudine e della loro tristezza. Il suo viso è perfetto per interpretare Murakawa, stanco yakuza e uomo disilluso, desideroso di abbandonare una vita che conosce troppo bene e dalla quale appare ostico affrancarsi. La sua fuga è destinata ad arenarsi su una spiaggia di Okinawa, qui insieme agli ultimi fidati uomini della sua banda troverà un non luogo, apparentemente fuori dal tempo e sconosciuto alle ferree leggi della criminalità, un posto dove rifugiarsi e potersi illudere che il fato sia in vena di deroghe. Il deserto dei tartari di questo Ronin moderno è un'oasi di pace, dove l'attesa viene ingannata in maniera giocosa, con scherzi e giochi infantili. L'abitudine alla violenza degli yakuza si trasforma, rigenerata da una semplice capanna sulla spiaggia e dal rumore delle onde, un luogo di pace che purtroppo sarà anch'esso raggiunto da un destino scritto molto tempo prima e che ritufferà nel suo mondo Murakawa, costretto ad affrontare quella realtà angosciante cancellata in maniera illusoria dalla permanenza sull'arenile. Il linguaggio cinematografico del regista/attore non è tra i più semplici, ma affascina grazie ad una poetica sanguinaria e malinconica, l'attitudine alla tragedia è ancora una volta resa mirabilmente in un finale che non ti aspetti e che colpisce con veemenza (la colonna sonora è quasi assente e la fotografia è sempre ottima). Decisamente un grandissimo lavoro, che unisce con sorprendente lucidità abbondanti dosi di violenza ad una poetica di fondo che rende/renderà Takeshi Kitano un autore unico nel suo genere. Voto: 7
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