Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Non c'è speranza, è inutile andare avanti, così Hu Bo (il regista esordiente e poi suicida) si piazza "dietro", proprio dietro ai suoi protagonisti. Li segue da vicino (quasi come "Il Figlio di Saul"), di spalle e filma in secondo piano un mondo di miseria spesso fuori fuoco, fatto di anime controluce, buie, aride, misere. Miseria, povertà, sporcizia, non c'è luce, non c'è sole, solo inquinamento e qualche volta la pioggia. Per tutto il film Hu Bo mette a nudo il disagio di vite che non hanno nulla, non ambiscono a nulla, dove la prepotenza è l'unico linguaggio comune. Ma esibito è il disagio del regista, che si maschera dietro ai suoi "parasite", senza dar loro alcuna possibilità di riscatto, alcun coraggio, alcuna scintilla. Parlano per conto suo come se fosse il testamento suo pensiero. E' malessere, un tale vuoto da ritrovare in un pachiderma seduto, fermo, un riferimento. Un totem per trovare un senso che non c'è. Ho apprezzato la messa in scena, la tecnica, l'anima, le interpretazioni, finanche la colonna sonora. Eppure questo destino ineludibile, questo mal di vivere, questa (estrema) essenza nichilista non è casa mia (non sempre almeno) e l'insieme non giustifica tale lunghezza esagerata. Già, perché dura quasi 4 ore questo film, un film che tra l'altro originale non è, i destini di più persone s'incrociano per poi scontrarsi, si è già visto, inoltre la tematica allude in parte al film Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, insomma nonostante l'intensità c'è banalità, e quindi più che definirlo discreto non riesco. Voto: 6,5
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