Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/11/2019 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico del documentario del 2010 Marwencol, incentrato sulla vita ed i lavori dell'artista e fotografo Mark Hogancamp, che perse la capacità di parlare e di camminare, ma soprattutto la memoria, in seguito ad un pestaggio che lo ridusse in coma.
Tema e genere: Adattamento cinematografico del documentario del 2010 Marwencol, incentrato sulla vita ed i lavori dell'artista e fotografo Mark Hogancamp, che perse la capacità di parlare e di camminare, ma soprattutto la memoria, in seguito ad un pestaggio che lo ridusse in coma.
Trama: Un uomo reduce da un violento pestaggio si chiude in un mondo di fantasia "in miniatura", dove trasforma quanto gli accade in un universo (ai tempi della seconda guerra mondiale) di coraggio ed eroismo.
Recensione: Difficilmente sono rimasto deluso da un film di Robert Zemeckis (a parte forse La leggenda di Beowulf), che tra l'altro ultimamente ci regala pochi film (pochi ma buoni, vedasi The Walk ed Allied), evidentemente si mette al lavoro quando ha delle idee da sfruttare, questo film ne è la prova. Una tragedia umana veramente accaduta trasformata con maestria in una sorta di fiaba contemporanea interpretata da bambole che creano una sorta di realtà alternativa in cui il protagonista fugge per evitare di affrontare quello che gli è successo. Il film infatti, che vede protagonista un grandissimo Steve Carell, è ispirato ad una storia tanto assurda, quanto vera, e tratta della difficile vita di un ex illustratore, divenuto fotografo in seguito ad una violenta aggressione che gli ha cancellato tutti i ricordi del passato e la capacità di disegnare. Un percorso a dir poco tortuoso il suo, l'assenza di memoria lo aiuta a non riattaccarsi alla bottiglia, ma la nuova dipendenza da antidolorifici lo relega in un una nuova prigionia. L'unica possibilità di evasione è Marwen (dalla fusione fra il suo nome, Mark, e quella di una cotta, Wendy), ricostruzione in miniatura di un fittizio villaggio belga popolato da action figures e bambole femminili durante la seconda guerra mondiale dove vive il suo alter ego, il capitano Hogie, pilota americano tratto in salvo dalle abitanti di quel luogo dalla furia dei soldati nazisti. In bilico su un filo, la sua esistenza procede dunque parallela, tormentata dagli incubi che lo riportano alla sera di quell'aggressione (motivata, sembrerebbe, dalla sua passione per le scarpe femminili) e rinfrancata, per certi versi, dalle gesta del suo alter ego in miniatura. Gesta e situazioni immortalate da una serie di fotografie realizzate dallo stesso Mark, divenute poi oggetto di una mostra all'Esopus Space di Manhattan.
Robert Zemeckis si cimenta quindi in un esperimento affascinante, scandito da una costante alternanza tra reale ed immaginario, quest'ultimo animato genialmente dalla CGI, dove l'animo umano si riesce a mettere a nudo solamente per mezzo di totem di plastica e stoffa, incapace di comunicare ed essere realmente felice perché costretto in una silenziosa e buia gabbia che allontana qualsiasi persona cara. Steve Carell riesce meravigliosamente a rendere vive le emozioni, le turbe ed i disagi di un uomo dilaniato nell'animo e nella mente, sicuro di sé unicamente quando si riesce a rifugiare nella propria arte, pura e genuina. La continua alternanza tra finzione e realtà è dinamica, coinvolgente e permette ai 116 minuti di proiezione di scorrere velocemente, senza eccessivi intoppi, offrendo un mondo chiaro e di facile comprensione, ricco di contenuti artistici e sociali interessanti e degni di più riflessioni. Lo script, seppur si basi su una storia vera, è fortemente romanzato, sia per la componente in CGI che anima le bambole che abitano Marwen, sia perché aggiunge qualche particolare riguardo le effettive condizioni del fotografo, ma, ciò nonostante, permea sottopelle e offre diversi punti di analisi. L'animo umano viene infatti sviscerato attraverso una storia dal sapore agrodolce, ricchissima di spunti da poter, e dover, approfondire in più riprese. Attraverso un film fresco e coraggioso, non originale nei temi (in parte triti), ma con abbastanza cuore e perizia cinematografica da poter avvicinarsi a un largo numero di pubblico. Certo, non completamente ben narrato, che perde e si perde troppo, come se non sapesse poi bene come gestire questo spostarsi di ambito in ambito, situazione in situazione, dissimulazione e verità, che sono però alla base per il sostegno dell'opera, che rende nebulosi passaggi e collegamenti e, dunque, le proprie risoluzioni, ma al contempo una pellicola che sanguina come fa ancora il cuore del proprio protagonista, una tristezza velata che non permette a nessuno di non provare compassione e di affezionarsi tanto al personaggio principale quanto ai suoi comprimari. Benvenuti a Marwen offre anche una deliziosa autocitazione di Robert Zemeckis e nel complesso si tratta di un film imperdibile per gli amanti dei biopic e delle vicende di riscatto umano, sebbene non arrivi a commuovere come forse ci si sarebbe potuti aspettare.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Robert Zemeckis porta in scena una vicenda umana ricca di quegli spunti che hanno caratterizzato buona parte della sua produzione, in questo incrocio continuo tra reale e fantastico (guarda infatti al suo cinema con il solito sguardo divertito e nostalgico e al cinema tutto quale rifugio dove qualsiasi fantasia può trovare il salvifico sfogo da una realtà fatta di dolore e paure). Benvenuti a Marwen dosa con sapienza il racconto della vita reale di Mark Hogancamp con quella immaginata, in un continuo sovrapporsi che pone il film a metà tra live action e film d'animazione (anche se si concede, come ovvio, qualche libertà narrativa di troppo e qualche pistolotto sull'alcool francamente inappropriato). La realizzazione tecnica è perfetta (colonna sonora tra l'epico e il tenero che reca l'immancabile autografo di Alan Silvestri, fotografia interessante e minimalista) e alcune attrici, come Janelle Monáe e Gwendoline Christie, si vedranno quasi solamente nelle loro controparti in stile Barbie (sì Diane Kruger, no Leslie Mann ed Eiza Gonzàlez). Menzione a parte per Steve Carell, protagonista della pellicola: il suo personaggio è davvero ben reso, così delicato e fragile, eppure risoluto nell'affrontare i propri demoni. Perché la vicenda vedrà Mark Hogancamp costretto a guardare in volto il passato, durante il processo per il cui buon esito la sua testimonianza sarà fondamentale, così come nella necessità di superare le nuove dipendenze del presente. E insomma, una pellicola densa e, nonostante i temi trattati, leggera, veramente interessante.
Robert Zemeckis si cimenta quindi in un esperimento affascinante, scandito da una costante alternanza tra reale ed immaginario, quest'ultimo animato genialmente dalla CGI, dove l'animo umano si riesce a mettere a nudo solamente per mezzo di totem di plastica e stoffa, incapace di comunicare ed essere realmente felice perché costretto in una silenziosa e buia gabbia che allontana qualsiasi persona cara. Steve Carell riesce meravigliosamente a rendere vive le emozioni, le turbe ed i disagi di un uomo dilaniato nell'animo e nella mente, sicuro di sé unicamente quando si riesce a rifugiare nella propria arte, pura e genuina. La continua alternanza tra finzione e realtà è dinamica, coinvolgente e permette ai 116 minuti di proiezione di scorrere velocemente, senza eccessivi intoppi, offrendo un mondo chiaro e di facile comprensione, ricco di contenuti artistici e sociali interessanti e degni di più riflessioni. Lo script, seppur si basi su una storia vera, è fortemente romanzato, sia per la componente in CGI che anima le bambole che abitano Marwen, sia perché aggiunge qualche particolare riguardo le effettive condizioni del fotografo, ma, ciò nonostante, permea sottopelle e offre diversi punti di analisi. L'animo umano viene infatti sviscerato attraverso una storia dal sapore agrodolce, ricchissima di spunti da poter, e dover, approfondire in più riprese. Attraverso un film fresco e coraggioso, non originale nei temi (in parte triti), ma con abbastanza cuore e perizia cinematografica da poter avvicinarsi a un largo numero di pubblico. Certo, non completamente ben narrato, che perde e si perde troppo, come se non sapesse poi bene come gestire questo spostarsi di ambito in ambito, situazione in situazione, dissimulazione e verità, che sono però alla base per il sostegno dell'opera, che rende nebulosi passaggi e collegamenti e, dunque, le proprie risoluzioni, ma al contempo una pellicola che sanguina come fa ancora il cuore del proprio protagonista, una tristezza velata che non permette a nessuno di non provare compassione e di affezionarsi tanto al personaggio principale quanto ai suoi comprimari. Benvenuti a Marwen offre anche una deliziosa autocitazione di Robert Zemeckis e nel complesso si tratta di un film imperdibile per gli amanti dei biopic e delle vicende di riscatto umano, sebbene non arrivi a commuovere come forse ci si sarebbe potuti aspettare.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Robert Zemeckis porta in scena una vicenda umana ricca di quegli spunti che hanno caratterizzato buona parte della sua produzione, in questo incrocio continuo tra reale e fantastico (guarda infatti al suo cinema con il solito sguardo divertito e nostalgico e al cinema tutto quale rifugio dove qualsiasi fantasia può trovare il salvifico sfogo da una realtà fatta di dolore e paure). Benvenuti a Marwen dosa con sapienza il racconto della vita reale di Mark Hogancamp con quella immaginata, in un continuo sovrapporsi che pone il film a metà tra live action e film d'animazione (anche se si concede, come ovvio, qualche libertà narrativa di troppo e qualche pistolotto sull'alcool francamente inappropriato). La realizzazione tecnica è perfetta (colonna sonora tra l'epico e il tenero che reca l'immancabile autografo di Alan Silvestri, fotografia interessante e minimalista) e alcune attrici, come Janelle Monáe e Gwendoline Christie, si vedranno quasi solamente nelle loro controparti in stile Barbie (sì Diane Kruger, no Leslie Mann ed Eiza Gonzàlez). Menzione a parte per Steve Carell, protagonista della pellicola: il suo personaggio è davvero ben reso, così delicato e fragile, eppure risoluto nell'affrontare i propri demoni. Perché la vicenda vedrà Mark Hogancamp costretto a guardare in volto il passato, durante il processo per il cui buon esito la sua testimonianza sarà fondamentale, così come nella necessità di superare le nuove dipendenze del presente. E insomma, una pellicola densa e, nonostante i temi trattati, leggera, veramente interessante.
Commento Finale: Grande ritorno di Robert Zemeckis alla viva e struggente delicatezza di Forrest Gump con un film che utilizza una storia reale (raccontata dal suo vero protagonista in un documentario, dal titolo Marwencol, adattato con attenzione da Caroline Thompson e dal regista) per prendere di petto tematiche complesse (l'arte come mezzo di esternazione terapeutica dei moti dell'anima, la dipendenza da farmaci) mediante un oliato meccanismo di rimbalzi simbolici e vertiginosi dal "micro" al "macro", benché lo svolgimento sia in parte ripetitivo (e dall'epilogo più o meno prevedibile). Il film, stringi stringi, non è nemmeno così originale (con l'ingombro di modelli come Babadook, per il messaggio, tutt'altro che buonista, e The Lego Movie, per l'idea di simbiosi tra mondo del gioco e realtà), ma il rush finale (con tanto di autocitazione di Ritorno al futuro, che non è tuttavia l'unica di autocitazione) emoziona abbastanza, la regia è studiatissima e la tecnica di animazione dei figurini è impressionante.
Consigliato: Il film scorre via senza mai annoiare grazie anche alle pause che riportano alla realtà e lentamente spiegano cosa è successo nelle realtà creando un perfetto bilanciamento narrativo. Il risultato è più che buono e decisamente merita la visione, il mitico regista di Ritorno al futuro è sempre in gran forma.
Voto: 7
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