sabato 9 novembre 2019

La città incantata (2001)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/11/2019 Qui
Tema e genere: Film d'animazione che, liberamente ispirato al romanzo fantastico Il meraviglioso paese oltre la nebbia della scrittrice Sachiko Kashiwaba, scritto e diretto da Hayao Miyazaki, narra le avventure di Chihiro, una bambina di dieci anni che si introduce senza rendersene conto, insieme ai genitori, in una città incantata abitata da yōkai (spiriti). Qui i genitori della bambina vengono trasformati in maiali dalla potente maga Yubaba e la piccola protagonista decide di rimanere nel regno fatato per tentare di liberarli.
Trama: Una bambina di dieci anni, durante il viaggio che la porterà alla sua nuova casa, giunge ad una città popolata di fantasmi. Chihiro, per sopravvivere, dovrà rendersi utile lavorando. 
Recensione: Siamo in molti a considerare Hayao Miyazaki uno dei più bravi cineasti d'animazione, nonché fumettista, sceneggiatore e produttore giapponese, fondatore dello Studio Ghibli insieme al collega Isao Takahata. La sua particolare sensibilità verso il mondo dell'infanzia la si può apprezzare nei numerosi film che prediligono temi tanto cari al divenire adulto. Il mio vicino Totoro, Ponyo sulla scogliera, Kiki - Consegne a domicilio, Laputa - Castello nel cielo rappresentano il mondo dell'infanzia, bambini che si preparano a capire le avversità del mondo (e anche questa pellicola, proprio come gli altri film che lo hanno preceduto e che lo hanno seguito, pone al centro della propria narrazione una figura a metà strada tra l'infanzia e l'adolescenza, un essere in divenire che deve ancora capire quale sia la strada da intraprendere, e che ovviamente troverà il suo posto nel mondo). La città incantata (titolo originale "Sen to Chihiro no Kamikakushi"), premio Oscar 2003 (ad oggi l'unico cartone animato giapponese a cui è stato assegnato un Academy Award come miglior film d'animazione), è un vero capolavoro di arte cinematografica d'animazione, in cui la forte sinergia tra i mezzi di comunicazione che Miyazaki usa, crea una vera e propria cultura visiva del genere, con una sintassi ricca di unità crescenti di segni e simbologie che caratterizzano il cinema del cineasta nipponico, che in questo film (che ha più contributo al successo mondiale del suo creatore, che aiuta tutt'oggi a sdoganare i pregiudizi sull'animazione giapponese) trova forse il suo manifesto massimo. Ne La città incantata, infatti, ricorrono tutti quegli elementi che hanno rappresentato una sorta di status quo nella produzione del regista e che ne hanno formato in qualche modo non solo lo stile, ma anche (e soprattutto) la poetica. Da una parte la condanna allo sfrenato consumismo, che in questo caso viene simboleggiato palesemente dalla trasformazione degli ingordi genitori in maiali senza senno, dall'altra l'inno sempre presente alla natura, che in questa pellicola assume come sempre un ruolo avvolgente, quasi allucinatorio. Allucinatorio non a caso, travestito da fiaba per bambini, una grandissima fiaba, e nel miglior senso del termine, di quelle che quando sei bambino ti fanno innamorare per l'ambientazione magica e pittoresca, ma allo stesso tempo ti spaventano per via di una serie di inquietanti avvenimenti che non ti lasciano certo indifferente, ma che ti aiutano ad esorcizzare le tue paure (come quelle della protagonista che imparerà a comportarsi da adulta ed abbandonare tutti i suoi vizi più fastidiosi e le convinzioni sbagliate), questo racconto si rivela difatti altamente allegorico, nonostante ciò, si dimostra adatto a tutte le fasce di età, grazie proprio ad una narrativa interpretabile su più piani di lettura.
La città incantata è un film il cui simbolismo è talvolta netto, talvolta interpretabile, in cui ogni personaggio nasconde una chiave metaforica. Miyazaki, giacché La città incantata anche se per come affronta la vicenda non è solo una favola per bambini, dà sfogo alla critica sociale. Ed ecco che gli abitanti del mondo parallelo, depredati del loro nome e quindi del loro libero arbitrio, diventano metafora dell'alienante società lavorativa giapponese. Chi non ha un lavoro non vale niente, tutti sono costretti a lavorare senza sosta per la spietata padrona, la cui avidità capitalista è ben rappresentata dal comportamento col quale gestisce i bagni e dall'attaccamento alle gemme preziose che esamina di continuo. L'aspetto ecologista e ambientalista di Miyazaki è ancora una volta a dir poco evidente, e in quest'opera viene rappresentato dal sofferente Spirito Maleodorante. Un fetido ammasso melmoso contenente spazzatura e cianfrusaglie di ogni tipo, il cui sgradevole involucro nasconde un limpido fiume. Ennesima e aspra critica Miyazakiana sull'inquinamento ambientale da parte dell'uomo. L'uomo senza volto, invece, rappresenta l'effimero. Uno spirito senza volto, appunto, che dispensa denaro per accalappiarsi le grazie degli abitanti della città. Ma il denaro è un valore virtuale, conduce a una felicità fittizia, tant'è che le pepite da lui rilasciate spariscono in breve tempo. Si inserisce quindi un altro dei temi cari al regista, quello dell'innocenza dei bambini come cura per l'ipocrisia del mondo, infatti lo spirito è sempre spiazzato dal continuo rifiuto dei doni da parte di Chihiro, che sa di non farsene niente dell'oro, in quanto il suo interesse è quello di salvare genitori e amici. Il personaggio di Yubaba è leggermente più complesso. È un personaggio estremamente caricaturale, sia nell'aspetto che nei modi, del resto come gran parte dei villain targati Studio Ghibli. È una strega malvagia e autoritaria, morbosamente legata a suo figlio Bo, un neonato gigante il quale a causa della patologica ossessività della madre non ha mai visto l'esterno della sua stanza. Yubaba ha una sorella gemella, Zeniba, la quale abita in un luogo raggiungibile dalla città termale soltanto tramite un treno. Zeniba è anch'essa una strega, ma a differenza della sorella ha un animo buono e utilizza esclusivamente magie benevole. Le due hanno lo stesso identico aspetto (e non è che Studio Ghibli abbia bisogno di riciclare personaggi), come a suggerirci che in realtà potrebbero essere la stessa persona. Il luogo in cui abita la gemella di Yubaba, infatti, potrebbe essere visto come una sorta di dimensione parallela, e Zeniba, appunto, potrebbe essere nient'altro che la raffigurazione di una Yubaba alternativa e casalinga, la quale, senza cariche governative, sarebbe diventata un'adorabile e mansueta donna di casa. Significando che spesso, il ruolo che rivestiamo, cambia inevitabilmente il nostro modo di essere. L'elogio all'apparato tecnico quando si parla di Miyazaki e Studio Ghibli è tanto superfluo quanto doveroso. Le ambientazioni al solito lasciano a bocca aperta, da panoramiche con colori vivaci a tenui paesaggi in dissolvenza, da prati soleggiati a suggestivi scorci notturni, ogni immagine è ricca di dettagli, e nessun personaggio è messo come riempitivo a mo' di manichino, persino le comparse sono sempre mobili e armoniose nello svolgimento delle loro azioni. Anche le musiche suonano incantevoli, e accompagnano perfettamente per tutta la pellicola.
Per quanto riguarda i difetti, ne ho trovati principalmente due. Uno è il ritmo, soprattutto tra la prima parte e la metà della storia, che risente di alcuni passaggi di eccessiva lentezza e che avrebbero potuto essere condensati in meno tempo, riuscendo meglio a gestire l'azione. Comunque il lieto fine, seppur prevedibile, chiude perfettamente il cerchio tracciato all'inizio. L'altro è più soggettivo, nel senso del livello di partecipazione ed emozionalità, rispetto ad altri di Miyazaki, di un livello più basso. Ma queste debolezze non turbano troppo il giudizio finale (anche se sul voto pesano), La città incantata è un ottimo film d'animazione assolutamente sopra la media, uno dei maggiori capolavori di Miyazaki, la cui visione è raccomandata a tutti.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Giunto dopo le fatiche de La principessa Mononoke e dopo uno dei molti annunci di ritiro infine non concretizzatisi, La città incantata sintetizza con un linguaggio sempre più ricco i temi cari sin dagli inizi di carriera al regista, calandoli in un contesto totalmente fiabesco e allegorico. Il lato visionario si scatena grazie alla molteplicità di forme assunte dai diversi spiriti che abitano le terme di Yu-baba, le musiche di Hisaishi Joe sono tra le più struggenti mai ascoltate e la narrazione coniuga in maniera esemplare le esigenze di entertainment (travolgente il dinamismo delle sequenze di azione, come quella di Haku inseguito dagli omini di carta animati) e i momenti più intimisti, in cui Chihiro trova il tempo di riflettere sulla sua condizione e di comunicare empaticamente con lo spettatore, aiutandolo a comprendere l'universalità del messaggio del film. A livello tecnico si è fatto un ottimo lavoro, i disegni e gli sfondi sono un piacere per gli occhi. Infine per quanto riguarda il doppiaggio (perché è inutile parlare del cast originale, anche se comunque tra questi da segnalare doppiatori già letti in altri lavori e che leggerò in altre produzioni che presto spero di vedere), non saprei quale versione avrò visto (forse l'ultima), ma soddisfa ampiamente.
Commento Finale: Una città magica dalla bellezza sfolgorante attraverso la quale il regista rappresenta il mondo moderno, altrettanto superficiale e colorato e pieno di lucenti inganni. Ancora una volta il grande maestro giapponese racconta la realtà vestendola dei sogni di una favola, non tralasciando però temi importanti come la passione, l'amicizia, l'amore e l'ardimento. Una favola "vera" in grado di suggerire ai più piccoli come far fronte alle vecchie e nuove paure, regalando agli adulti irripetibili momenti di poesia. Tuttavia, anche se il film mi è piaciuto tanto, non riesco ad attribuirgli nulla di più di ottimo, perché in confronto ad altri (di Miyazaki) capolavori, non mi ha lasciato le stesse sensazioni.
Consigliato: Adatto ad un pubblico di ogni età, da non perdere assolutamente se non l'avete ancora mai visto.
Voto: 8

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