Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/11/2019 Qui
Tema e genere: Diretto da Trevor Nunn il film è tratto dal romanzo di Jennie Rooney, La ragazza del KGB, a sua volta ispirato all'incredibile storia vera di Melita Norwood, scoperta colpevole di spionaggio contro l'Inghilterra a più di ottant'anni, e per questo chiamata "nonna spia". La catena di ispirazioni ha quindi prodotto un film che, con una spolverata leggera di thriller, affonda le radici nel genere romantico e sentimentale.
Trama: La storia di Joan Stanley che, nata inglese ma simpatizzante del partito comunista e dell'Unione Sovietica, divenne funzionaria del governo britannico per essere poi reclutata come spia dal KGB a metà degli anni Trenta del Novecento e che riuscì a trasferire segreti militari e politici mantenendo la sua identità segreta per oltre mezzo secolo.
Recensione: L'ambientazione di Red Joan ci riporta al tempo della II guerra mondiale in Inghilterra, con scenari e atmosfere simili a quelle di The Imitation Game. Anche qua al centro della vicenda ci sono un gruppo di scienziati che lavorano a progetti segretissimi: prima per contrastare l'asse tedesco-giapponese, poi per conquistare una supremazia sul blocco dominato dall'Unione Sovietica. Con un gioco di continui flashback il film alterna la cronaca dell'arresto dell'anziana Joan Stanley, con le scene di gioventù, quando la donna prima facente parte di un ristretto gruppo di fisici si fece manipolare da molti e successivamente divenne una spia. I presupposti per un thriller ad alta tensione c'erano quindi tutti, ma la mancanza di verve e l'eccessiva linearità l'hanno affossato. Perché sulla carta Red Joan doveva essere un film tra il dramma sentimentale e la storia concitata di spionaggio ma si è rivelato essere un film già visto e assai noioso. Un po' perché la regia di Trevor Nunn è anonima, un po' perché lo spettatore sa già dove andrà a parare il film. Anche il tema femminista del film è trattato senza verve, così come la sceneggiatura sembra un po' indecisa se presentarci Joan come una vittima delle manipolazioni del belloccio di turno o come una donna indipendente, che rischia tutto perché crede nella pace data dall'equilibrio atomico. Judi Dench, anche se confinata quasi esclusivamente nelle scene al commissariato dopo l'arresto, recita con l'usuale bravura e credibilità, la Cookson dà il meglio di sé nelle scene iniziali, quando si presenta per la ragazza intelligente ma poco avvezza alle cose di mondo, in compenso le scene di flashback risultano presto abbastanza ripetitive e confinate sempre in ambienti ristretti, i personaggi di contorno molto stereotipati e anche le motivazioni di Joan e dei suoi accusatori vengono ripetute senza eccessiva convinzione. Da una storia vera di questo livello, nella quale sono state in gioco milioni di vite umane, sarebbe stato lecito aspettarsi un thriller coi fiocchi, invece così, senza alcuna tensione, né almeno un tentativo di respiro epico (il confronto con altri film di genere, come ad esempio Il ponte delle spie, è impietoso), la montagna partorisce il classico topolino: un raccontino intorno al caminetto, quello messo in scena dal regista Trevor Nunn (più noto per le regie teatrali, e più impegnato con film tv che al cinema), con tazzine e centrini ricamati, nel quale tutto sembra superfluo, a partire (purtroppo) dal talento di Judi Dench.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Il regista (che non offre alcun colpo di scena e che fa qui il compitino) divide la narrazione in due linee temporali: il presente, con Judi Dench a interpretare (ottimamente) la parte di Joan Stanley ottantenne, e il passato (Cambridge nel 1937), in cui la parte della giovane Joan è affidata a Sophie Cookson. Quest'ultima (seppur acerba e non ancora pronta a lasciare il segno) dà prova di carattere e grande espressività, risultando più che credibile nel confronto attoriale-temporale con Judi Dench. Peccato che entrambe (per non parlare del resto del cast, comprendente il Tom Hughes di Victoria e Stephen Campbell Moore) siano penalizzate da una struttura e una sceneggiatura ingenerose con entrambe. Il passato, infatti, teatro dei fatidici scambi di documenti, segreti e tradimenti, si rivela poco più che scenario di storie d'amore e sentimenti. Non che queste, di per sé, danneggino il film, ma la protagonista al centro di un intrigo internazionale è appiattita su un ruolo quasi secondario, trascinata nelle proprie azioni e decisioni, invece di intraprenderle col coraggio che meriterebbero. Tanto più che, osservando in parallelo le confessioni della Joan anziana, sappiamo già come la faccenda andrà a finire, e gli elementi che vengono mantenuti un mistero, oltre a essere piuttosto prevedibili, non sono sufficienti a creare la giusta suspense. Il ritmo, alternato tra passato e presente senza grande equilibrio, finisce per interrompere più di quanto concateni le due storie, a scapito del pathos, che ne risulta fiaccato. Si percepisce marcatamente sul finale, che tenta di dimostrare come il racconto del presente non fosse mero strumento narrativo. Non ci riesce né risolleva, purtroppo, le sorti della pellicola. Una pellicola anche tecnicamente mediocre (allorché patinata e modesta).
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Il regista (che non offre alcun colpo di scena e che fa qui il compitino) divide la narrazione in due linee temporali: il presente, con Judi Dench a interpretare (ottimamente) la parte di Joan Stanley ottantenne, e il passato (Cambridge nel 1937), in cui la parte della giovane Joan è affidata a Sophie Cookson. Quest'ultima (seppur acerba e non ancora pronta a lasciare il segno) dà prova di carattere e grande espressività, risultando più che credibile nel confronto attoriale-temporale con Judi Dench. Peccato che entrambe (per non parlare del resto del cast, comprendente il Tom Hughes di Victoria e Stephen Campbell Moore) siano penalizzate da una struttura e una sceneggiatura ingenerose con entrambe. Il passato, infatti, teatro dei fatidici scambi di documenti, segreti e tradimenti, si rivela poco più che scenario di storie d'amore e sentimenti. Non che queste, di per sé, danneggino il film, ma la protagonista al centro di un intrigo internazionale è appiattita su un ruolo quasi secondario, trascinata nelle proprie azioni e decisioni, invece di intraprenderle col coraggio che meriterebbero. Tanto più che, osservando in parallelo le confessioni della Joan anziana, sappiamo già come la faccenda andrà a finire, e gli elementi che vengono mantenuti un mistero, oltre a essere piuttosto prevedibili, non sono sufficienti a creare la giusta suspense. Il ritmo, alternato tra passato e presente senza grande equilibrio, finisce per interrompere più di quanto concateni le due storie, a scapito del pathos, che ne risulta fiaccato. Si percepisce marcatamente sul finale, che tenta di dimostrare come il racconto del presente non fosse mero strumento narrativo. Non ci riesce né risolleva, purtroppo, le sorti della pellicola. Una pellicola anche tecnicamente mediocre (allorché patinata e modesta).
Commento Finale: A volte la fantasia supera la realtà ma in questo caso si può dire che la fantasia ha semplicemente preceduto la realtà. Il discorso è semplice: sebbene Red Joan racconti una vicenda incredibile e paradossale avvenuta 40-50 anni fa, bisogna fare i conti con diversi decenni di cinematografia spionistica. Quanto vissuto dalla protagonista della pellicola in fondo è già stato visto e rivisto dallo spettatore, che quindi ha bisogno di qualcosa in più per essere stupito. Il film non riesce invece ad andare oltre e si limita a raccontare dei fatti clamorosi per l'epoca ma quasi banali per il XXI secolo. Sicuramente la storia scorre fluida, alternando racconti puramente storici ad altri più romanzati. Non manca l'elemento amoroso né quello avventuroso, ma tutto viene solamente sfiorato e mai approfondito. Il vero punto debole di Red Joan (quello da cui mai riesce ad affrancarsi) è di essere stato battuto sul tempo da tante opere di fiction più coinvolgenti e realistiche di questa storia vera. Sottoutilizzando Judi Dench e non avendo un ritmo incalzante, Red Joan risulta purtroppo soporifero.
Consigliato: No. Certo, peggio di altri non è, ma proprio non convince.
Voto: 4,5
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