giovedì 28 novembre 2019

Most Beautiful Island (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/11/2019 Qui
Tema e genere: Sospeso tra thriller psicologico, dramma e film di denuncia sociale, Most Beautiful Island racconta la storia di Luciana, una giovane donna spagnola immigrata a New York, con alle spalle un lutto che non ha ancora superato, che si ritrova inavvertitamente protagonista di un crudele gioco in cui vengono messe a rischio delle vite per l'intrattenimento perverso di pochi privilegiati.
Trama: Luciana, una giovane donna immigrata a New York, si sforza di sbarcare il lunario mentre tenta di sfuggire al proprio passato. Come ogni giorno, affronta una serie di problematiche e imprevisti quando, prima che la sua giornata sia finita, un lavoro si trasforma in qualcosa di stranamente ambiguo.
RecensioneMost Beautiful Island segna il claustrofobico esordio alla regia di Ana Asensio e tocca temi forti e delicati come la condizione degli immigrati e lo sfruttamento dei più deboli, tralasciando però qualcosa che andava approfondito. Della storia si è già detto, e comunque il tutto porterà (per colpa della sua amica Olga, Natasha Romanova) ad un luogo in cui la ragazza correrà un insospettabile pericolo. Da qui inizia forse la scena più bella di un film che, comunque, non convince fino in fondo, con la tensione che aumenta esponenzialmente avvicinandosi alla scoperta del reale fine della festa: nessuno dice nulla alla protagonista, mentre le altre donne presenti in questo scantinato newyorkese asettico e spoglio entrano, a turno, in una stanza, con la porta che si richiude alle loro spalle, cui fanno seguito applausi o urla. Luciana cerca di capire cosa c'è in quella borsetta chiusa ermeticamente che le hanno dato, e quel lavoro che le frutterà 2000 dollari rimane misterioso fino a quando non lo dovrà affrontare, senza poter ormai più scappare né tirarsi indietro. Luciana ha con sé un dolore: qualcuno, probabilmente sua figlia, non c'è più, lei non è a New York solo per lavoro, ma per fuggire da un passato che vuole dimenticare e lasciarsi alle spalle. Il film cerca di mettere in scena sia la solitudine di una donna che non sa come sopravvivere in una città sconosciuta dove non ha nessuno, sia l'elaborazione del lutto per aver perso una delle persone più importanti della sua vita. Di questo Luciana si sente responsabile, forse per essere ancora viva mentre sua figlia non lo è più. Tuttavia la questione non è chiara, e sapere qualcosa in più sul passato di Luciana avrebbe arricchito il film e il personaggio: cosa ha perso? E cosa cerca? Troppe le domande che vengono lasciate senza risposta, tra cui quella su cosa l'esordiente (alla regia) Ana Asensio voglia realmente dire. Luciana probabilmente capisce qualcosa di sé nel corso della storia, ma non è chiaro se riesca a trovare quello che cerca o a sentirsi nuovamente viva attraverso quella terribile esperienza, tanto da domandarsi se ciò che cercasse davvero fossero effettivamente quei 2000 dollari. Suspense a parte, il lungometraggio della Asensio ha l'ambizione di dare un senso di amarezza, ma lo fa attraverso l'utilizzo di espedienti banali, per suscitare una reazione forte nello spettatore, che distraggono dalla poca efficacia del film.
La regia piuttosto semplice mette in evidenza un altro punto di forza, non sfruttato al massimo: il contrasto, continuo tormento che la stessa protagonista vive. La fotografia a tinte chiare tendenti al giallo crea un'ottima contrapposizione con la crudezza e la durezza di tutto il film. A Luciana e alla stessa Olga viene richiesto un out-fit particolare, viene imposta l'eleganza per diventare poi vittime di un gioco perverso, come se la loro condizione fosse inevitabile: vengono scelte da altri per puro sadico divertimento, elemento che sottolinea la situazione di Luciana, immigrata spagnola inevitabilmente sola in un mondo pronto ad inghiottirla, che si fida e crede in un sogno americano che la delude, in cui vige comunque lo sfruttamento dei più deboli. Lei stessa sembra vivere una perenne contraddizione, se continuare a vivere e a lottare o arrendersi e lasciarsi andare. E insomma riuscito a metà.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: E' girato abbastanza bene dalla Asensio che fa tutto qui (è anche la protagonista), diciamo però che la storia (ispirata a fatti veri, pare) è parecchio minimale (anche in termini di durata). Cioè, il film vive di un unica idea e per quanto narrata piuttosto bene, si risolve un po' in una bolla di sapone. Si poteva osare di più (tecnicamente è ben poca cosa), ma capisco il budget e tutto il resto.
Commento Finale: Tante le possibili interpretazioni del film, ma nessun chiaro messaggio. La regista sembra voler sottolineare la condizione di sfruttamento dei più deboli, l'ipocrisia di chi si offre di aiutare (ma solo per un piacere personale), e fino a quanto si è disposti a spingersi per sopravvivere, temi troppo labili e quasi sfuggenti in un film che aveva in partenza delle ottime potenzialità. Most Beautiful Island sembra un lungometraggio che non lascia abbastanza allo spettatore se non delle idee e degli spunti di riflessione, ma quale sia il messaggio e la condizione delle protagoniste su cui puntare davvero l'attenzione rimane un mistero, rendendolo un lavoro incompleto che lascia poche sensazioni forti e molte troppo sottili, forse causate dalla pretesa di voler dire troppo.
Consigliato: Dipende da cosa vi aspettate dal film, se vi aspettate molto resterete delusi, altrimenti no, però in quest'ultimo caso non è detto che vi piaccia o che riesca a convincervi abbastanza.
Voto: 5,5

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