venerdì 31 luglio 2020

Taj Mahal (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Una pellicola, una storia, caratterizzata da una recitazione fredda e distaccata dove gli attori (colpa, forse, di una sceneggiatura piatta e di una regia priva di sussulti che si limita a raccontare, a suo modo, purtroppo sommariamente e con poca forza, uno specifico fatto di cronaca avvenuto a Mumbai nel 2008 che provocò numerose vittime) fanno il loro compitino e basta, senza trasmettere emozioni, senza far partecipi lo spettatore di quelle sensazioni di sconforto, paura, tensione e smarrimento che inevitabilmente una situazione limite come un attentato terroristico si porta dietro. Inverosimile in molti momenti, imbarazzante in altri (tutto il personaggio dell'italiana in luna di miele, interpretato da Alba Rohrwacher, è un inutile riempitivo già visto mille volte), calato sulle spalle ancora fragili di una giovane attrice (la bella Stacy Martin, che poi è l'unico motivo per cui ho visto questo film) che da sola regge quasi tutto il film, senza riuscire a convincere del tutto, il film di Nicolas Saada (che enfatizza alcune situazioni che perdono così credibilità) fallisce anche per il tentativo di risolvere il film d'azione in un finale di introspezione psicologica, per insegnarci che, da una simile esperienza, se ne esce definitivamente cambiati. Sicuramente è così, ma ci sarebbe voluta ben altra sceneggiatura perché questo concetto si trasmettesse allo spettatore, che a fine visione rimane un po' infastidito da un film che non sembra avere una meta precisa. In ogni caso, film probabilmente guardabile ma poco coinvolgente. Voto: 5

Suspiria (1977)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Assieme a "Profondo Rosso" il film che segna il top della produzione di Dario Argento, un film eccellente sospeso tra horror gotico, favola ed efferatezze tipiche del cinema di paura degli anni 70/80. E' anche il capitolo che dà il via alla cosiddetta Trilogia delle Tre Madri (poi continuata con il fiacco "Inferno" nel 1980 e con l'inguardabile "La Terza Madre" nel 2007). Già straordinario per la location scelta, ovvero una scuola di danza posizionata all'interno della suggestiva Foresta Nera, trova nelle invenzioni scenografiche ed estetiche volute dal regista romano dei punti di forza straordinari. Le aspirazioni della giovane Susy (decisa a perfezionare i suoi studi di balletto, benissimo interpretata da Jessica Harper) si scontrano con un mondo inquietante dominato da antichi rituali, reso ancor più sinistro da scelte cromatiche stupefacenti, con un abbondanza di giochi di luce (soprattutto tendenti al rosso e al blu) in grado di alzare sensibilmente l'asticella della tensione. Da aggiungere alla perfezione estetica (determinata anche dalle pregevoli scenografie) la terrificante colonna sonora (ad opera dei Goblin), ingrediente indispensabile per la materializzazione di atmosfere opprimenti. La gestione dei tempi narrativi è notevole, Argento riesce a spaventare grazie ad un meccanismo elaborato nei minimi particolari. E' anche vero che dal punto di vista narrativo si potrebbe muovere qualche accusa, ma francamente lo script non incappa in gravi battute a vuoto. L'unico problema potrebbe risiedere nella linearità eccessiva, con relativo mistero non poi così impossibile da decriptare. Tutto sommato la sceneggiatura, non perfetta come spesso riscontrabile nei lavori del regista romano, si lascia comunque apprezzare, anche se poi a dominare c'è l'estetica, a solleticare le percezioni sensoriali dello spettatore calato in un incubo dal sapore atavico in cui la fiaba si trasforma nel più efferato degli incubi. Le morti spettacolari non mancano, Argento dà fondo alla sua tecnica ideando inquadrature di gran fattura, quindi ricorrendo alla fantasia macabra per creare omicidi piuttosto cruenti. Un cult a ragione, tra i migliori horror italiani di tutti i tempi. Voto: 8

Colossal (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Dal Nacho Vigalondo artefice del segmento migliore dell'ultimo deludente capitolo della saga V/H/S mi aspettavo decisamente di più, e di meglio. Con questo film tenta il salto internazionale definitivo, imbastendo un film che ha un piede negli Stati Uniti e un altro in Oriente, ma la testa è da un'altra parte, la confusione regna sovrana, e il salto è nella fossa. Il regista usa un elemento di origine "esotica" del cinema di genere sci-fi e disaster (i "mostri" giganti nati nel Secondo Dopoguerra, frutto della corsa al nucleare) per arricchire in maniera folle una "normale" storia di gelosia e vendetta, coi piedi ben piantati in importanti implicazioni psicologiche. Il risultato è certamente curioso. Però il film non è pienamente riuscito, zoppica un po', soprattutto nei tempi, ma dalla sua ha sicuramente una traccia narrativa intrigante e buoni attori, un bravo Jason Sudeikis, molto ambiguo e inquietante, e una brava Anne Hathaway, capace di bilanciare con talento i registri grotteschi e drammatici del film. A dispetto della situazione stramba e delle premesse supereroistiche, Colossal non è un film divertente: a partire dalla dipendenza dall'alcool della protagonista, la storia è molto tragica e, nel suo dipanarsi, mette in luce una discreta quantità di situazioni problematiche non poco angoscianti. Una delle tagline del film, non a caso, è: "C'è un mostro dentro ognuno di noi". Perciò, risulta un prodotto davvero difficile da definire e, forse, questo pastiche di contenuti eterogenei, a parer mio influisce anche sulla definitiva riuscita del film. Voto: 5

In Another Country (2012)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Anche il cinema coreano non è perfetto, ogni tanto può fare flop anche lui, come in questo caso, come nel caso di questo mediocre film diretto dal sudcoreano Hong Sang-soo. Va bene il messaggio, che sono molteplici, uno è sicuramente sulla direzione della vita che si può prendere, una specie di Sliding doors, uno sulla difficoltà di comprensione tra lingue, una specie di Lost in Translation, ma messi in scena non efficacemente, e con derive rispetto ai film citati di poca sostanza. Questo dramma sentimentale leggiadro infatti, vuole mescolare la realtà alla finzione del racconto (il film difatti narra di una giovane donna coreana che si accinge a scrivere una sceneggiatura per un film nella quale vengono raccontate tre storie diverse che hanno come protagonista tre donne francesi di nome Anne, interpretate sempre da Isabelle Huppert, le quali si trovano per diversi motivi personali in una spiaggia di una località balneare della Corea del Sud), ma l'assunto di partenza (la seduzione) non trova uno sviluppo adatto in grado di unire le tre facce del prisma all'analisi sulla figura maschile (ma anche femminile). La ricerca di punti di riferimento, amori o semplicemente una buona compagnia per risollevarsi da cocenti delusioni di diradano in dialoghi vacui e personaggi macchietta nonché irritanti (il bagnino, il monaco). Non c'è involuzione ma neanche evoluzione, non c'è dinamismo ma solo ridondanza. Un film in larga parte impalpabile, che si salva dal baratro grazie soprattutto all'attrice francese di cui sopra. Voto: 5

Euforia (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Una delle cose che resta a fine visione è sicuramente la serena malinconia che il finale contagioso trasmette inevitabilmente. Il film è sostenuto da una discreta regia, di Valeria Golino (alla prova seconda), ma da un plot con tante imperfezioni. I personaggi principali pur in scena per due ore rimangono piatti. Le interpretazioni sono buone, frutto di due attori di mestiere che si divertono in scena donando anche siparietti di spontaneo realismo. Purtroppo non basta, almeno a far andare oltre la sufficienza questa pellicola, pellicola che inoltre spesso indugia troppo nella classica commedia all'italiana con qualche tinta tragica. Anche perché tranne che per pochi momenti non ho mai sentito che fossero fratelli, non c'era quel legame, ancora di più se si pensa che le due facce sono totalmente diverse (Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea). Forse così dev'essere (poteva la regista non scegliere il suo ex?), ma un po' più di accortezza nella scelta del cast era dovuta. Neanche troppo chiari gli intenti della regista, non saprei quanto il vero tema della regista appunto sia la malattia o piuttosto il rapporto fra fratelli, praticamente inesistente, dove la malattia rappresenta solo il modo per fare i conti con esso (e poi, il sacro e profano costante, risulta non sempre consono). Qualche figura collaterale mi è sembrata infine superflua, come tutta la pletora di amici di Matteo, ma il film rimane comunque solido, soprattutto per il fatto che questo film sulla bellezza della vita riesca a trasmettere ottimismo. Alla fine non resta infatti altro che la sensazione di folle attaccamento alla vita, che ognuno affronta in modo diverso, con l'augurio di non perdere mai la scintilla dello stupore. Voto: 6

Kyoto Story (2010)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Negli studi cinematografici di Kyoto si annida il retaggio di un Cinema leggendario, come quello di Akira Kurosawa. Organismo vivo più che industria, nella Kyoto odierna quegli studios sono ormai monumento che decorano la via della città in cui s'incrociano le vite di Kyoko, studentessa e bibliotecaria part-time, e degli uomini tra cui è divisa, Kota ed Enoko, rispettivamente un aspirante comico e un accademico. Ma lungo la via ci sono pure un'università e il negozio di tofu dei genitori di Kota, a cui il ragazzo è tristemente destinato. E passa un tram fantasma come passano le generazioni e i desideri e le indecisioni, quelle di andare o restare. Incrocia dunque cinema e vita, Yoji Yamada, che più di chiunque altro alla sua veneranda età e con una marea di film diretti, riconosce come perfettamente integrati l'uno nell'altro. Kyoto Story è, come dice il film stesso all'inizio, una storia d'amore, ed è proprio così, senza troppi giri di parole. Il regista riesce a mettere su pellicola la forza di una ragazza che si trova ad un bivio nella propria vita, il tutto in maniera semplice e realistico. Kyoto Story è però non solo una storia d'amore, ma anche uno spaccato della vita di una via commerciale di Kyoto, dove non puoi fare altro che innamorarti tu stesso di loro. Ad arricchire la pellicola (tra gli attori ecco Min Tanaka in 47 Ronin) anche piccole istanze documentaristiche, sugli studi, sul quartiere e sulle persone. Una pellicola nel complesso carina il giusto, che nella sua semplicità trasmette sentimenti. Voto: 6+

Bone Tomahawk (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Per questo film avevo parecchie aspettative che si sono rivelate un po' esagerate. Intendiamoci, non è una brutta pellicola, anzi, ma me l'aspettavo ancora più interessante. L'esperimento infatti pare secondo me non del tutto riuscito. Già perché Bone Tomahawk è per metà western e per metà horror. Cosa che non è una novità, però è altrettanto vero che non si è mai abusato della miscela fra questi due generi. I temi in ogni caso sono i classici del west, nessuna sorpresa, sorprende invece il lato horror che qui vira sullo splatter, anche se pare esagerata questa continua demistificazione tutta americana del popolo pellerossa, che risulta qui portata all'eccesso: si sono inventati persino gli indiani trogloditi e antropofaghi. L'inizio è decisamente promettente e violento, poi la parte centrale, dedicata alla descrizione del viaggio (odissea degli squinternati eroi ed al loro approfondimento caratteriale), rallenta parecchio il ritmo e risulta un po' troppo verbosa. Infine la parte terminale, dove il terrore latente esplode in tutta la sua violenza, persino eccessiva in alcune scene davvero gore. Secondo me una sforbiciata di 10 minuti in mezzo non ci sarebbe stata male. L'esordiente regista S. Craig Zahler se la cava benino, aiutato dalla bella fotografia e soprattutto da un cast eccellente. Il vecchio Kurt Russell fa sempre la sua porca figura nei panni del paladino coraggioso, Richard Jenkins è ancora su alti livelli (anche se il suo personaggio mi pare un po' troppo pacato e colto), Patrick Wilson mi è piaciuto nell'incarnazione dell'eroe sofferente dall'inizio alla fine, mentre Matthew Fox ha il personaggio più defilato ma lo interpreta bene. Da segnalare in alcune particine il compianto Sid Haig e gli irriconoscibili Sean Young e Michael Parè. In sostanza, un film che mi è piaciuto, con una buona tensione, ma che poteva persino essere migliore. Voto: 6,5

Opera senza autore (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Il regista del pluripremiato Le vite degli altriFlorian Henckel von Donnersmarck, sceglie ancora una volta di raccontare la storia della Germania con questo suo ultimo film. Una narrazione fluida e coinvolgente, ma a tratti eccessivamente didascalica: egli non riesce a trattenersi dal desiderio, a volte quasi infantile, di raccontare tutto, troppo, di svelare ogni cosa (proprio ogni cosa, diciamo bene e male), togliendo allo spettatore la possibilità di vagare con l'immaginazione. Opera senza autore (che ha ricevuto due candidature ai premi Oscar 2019 nelle categorie miglior film in lingua straniera e miglior fotografia) si ispira liberamente alla vita dell'artista tedesco Gerhard Richter, trasposto nei panni del tormentato pittore Kurt Barnert (Tom Schilling, attore tedesco già visto recentemente in Suite francese e Woman in Gold). Il film affronta le stagioni della sua vita e il suo travaglio artistico (l'incontro con la bellissima moglie Paula Beer, bravissima in Frantz ed anche qui e con il professore Oliver Masucci, il fui Hitler in Lui è tornato), mentre attraversa tre epoche diverse, partendo da Dresda nel 1938 per poi arrivare a Dusseldorf negli anni Sessanta. Ogni elemento filmico, le musiche, la luce, gli ambienti, sono al servizio di un fedele ritratto storico della Germania (e questo va bene, fatto bene). Peccato solo che il film offri però un cinema di livello quasi amatoriale, servito da attori che paiono recitare in uno sceneggiato televisivo, compreso il divo Sebastian Koch. Ma a parte ciò buon film, anche se il messaggio difficile è da capire e da sbrigliare. Un film di consistenza in ogni caso e nonostante tutto, capace allorché di emozionare e di indignare. Ciò che sembra invece meno consistente, perché in qualche modo scontata, è la definizione del percorso personale e artistico del protagonista, tra luoghi comuni e romanticherie arbitrarie, in cui si avverte un po' di più il peso di un film probabilmente lungo (dalla durata di quasi tre ore) al limite della estenuanza. Voto: 6+

Kon-Tiki (2012)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Un'esplorazione mitica, entrata nella storia, di una spedizione e di un'esploratore, Thor Heyerdahl, entrati nella leggenda. Dimostrare, tramite un viaggio lungo 8000 chilometri, che la Polinesia fosse stata popolata da amerindi giunti nelle isole del Pacifico secoli prima a bordo di semplicissime imbarcazioni a vela. Lo stesso Heyerdahl documentò la traversata, e tale materiale venne poi montato nel documentario "Kon-Tiki" (dal nome della zattera) che fece il giro del mondo e vinse addirittura l'Oscar come miglior documentario nel 1951. Moltissimi anni dopo tale impresa, ecco arrivare dalla Norvegia una versione romanzata ma non troppo, inappuntabile da un punto di vista tecnico e appena discreta sotto quello più strettamente artistico. Buono è certamente il livello di tensione che non scade in nessun momento, cosa questa non così ovvia quando è noto a priori quello che accadrà, fantastica ed accecante la fotografia, non eccessivamente invadente l'uso della digitalizzazione. Nella colonna dell'avere metterei invece una sceneggiatura che scade a tratti inutilmente nel melodrammatico, cosa della quale si sarebbe fatto volentieri a meno, nonché le ridicole lunghe barbe posticce dei protagonisti nel finale. Insomma un buon film d'avventura ben confezionato, che racconta con garbo una storia vera certamente affascinante, che riesce a mantenere un appeal discreto per tutta la durata, anche perché mostra elementi di interesse e di emozionalità palpabile. In questo, aiuto concreto da il cast volenteroso (capitanato da Pål Sverre HagenIn ordine di sparizione e Seven Sisters, e supportato soprattutto da Gustaf Skarsgård, Floki di Vikings) e la regia calibrata, dei registi Joachim Rønning e Espen Sandberg (questo fu il secondo film in coppia, il primo Bandidas nel 2006, il terzo ci sarà cinque anni dopo, Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar), che all'epoca si guadagnarono la candidatura agli Oscar per il miglior film straniero. Non un gioiello, ma pellicola che vale comunque una visione. Voto: 6+

Corpo e anima (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Un uomo e una donna condividono lo stesso posto di lavoro ma entrambi hanno dei limiti che tenderebbero ad allontanarli se un evento surreale che li accomuna non li avvicinasse. Il titolo, programmatico, riassume in maniera netta l'argomento del film: si parlerà di corpo e anima, di come l'uno sia limitato dall'altro e di quanto sia difficile trovarne una sintesi nella realtà. Questo assunto e il successivo sviluppo sono quasi schematici e spinti quasi al limite del didascalico (i due protagonisti menomati nel corpo e nella mente, il collega disinibito e quello insicuro, il macello), rischiando sulla carta di limitare l'efficacia del film. Ma la regista Ildikó Enyedi riesce ad aggirare la trappola con un bellissimo gioco di traslazione: spoglia i corpi dei personaggi della loro espressività e la riversa sugli oggetti, evitando così il sentimentalismo senza perdere in sentimento. Ecco che quindi una saliera abbandonata in penombra dal suo amato si carica di vera malinconia e questa espressività degli oggetti evita le sottolineature e colma le (volute) lacune. A questo si aggiunge un'ironia surreale (ben supportata dalla recitazione in sottrazione dei due protagonisti, soprattutto di lei, Alexandra Borbély) che assieme a una gran cura delle immagini (belle le immagini dei cervi nelle foreste innevate e la canzone di Laura Marling) stempera con successo una certa crudezza che ogni tanto traspare (in tal senso, ed essendo ambientato in un mattatoio, occhio). Un film in sostanza che non rinuncia ad osare e vince la sua scommessa di mostrare un cuore celandocelo. Un film asciutto e rigoroso, dall'intreccio essenziale ma in realtà profondamente complesso, Corpo e anima si è aggiudicato l'Orso d'Oro (Festival di Berlino), nel 2018 designato dall'Academy come film rappresentante il cinema ungherese e candidato per l'Oscar al miglior film straniero. Voto: 7

Little Forest (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Un film, del coreano Yim Soon-rye, che si pone sulla "scia tematica" di un certo cinema d'animazione semplice e delicato (è tratto da un manga e sembra quasi un film Ghibli) e del regista giapponese Hirokazu Kore-eda, ma soprattutto ricorda molto Le ricette della signora Toku di Naomi Kawase per il suo essere un film dove ricordi e sentimenti sono indissolubilmente legati al cibo e alle stagioni. E infatti, percorso di consapevolezza che matura al ritmo lento del passare delle stagioni. Film delicato, vive di ritmi lenti e meditati. Parla di crescita, distacco, radicali scelte di vita. Viviamo un anno con la protagonista, tornata nel paesino immerso nella natura dove è cresciuta, dopo aver passato alcuni anni a Seul, a studiare e lavorare. Forte per lei è il richiamo della casa dove è stata felice, con sua madre, madre che ha deciso di andarsene (per sempre?) senza dire nulla, poco prima che lei partisse per l'università. "Sono tornata perché avevo fame" dice a un certo punto la protagonista, fame dei suoi sapori, entrati nel cuore perché significano famiglia (i piatti che sua madre le cucinava altro non erano che dimostrazioni di amore), sapori impossibili da trovare nei prodotti preconfezionati e incolori della città. Questo legame forte con il cibo (condiviso semplicemente con amici), ne vediamo tanto durante lo svolgimento del racconto (viene fame e voglia di cucinare durante la visione, sembra di sentire il profumo dei piatti), con  la natura, il senso della pazienza, la pazienza di aspettare che un seme germogli, la pazienza obbligata che la cura della terra impone segna il passo di questa storia che placidamente ci entra nel cuore facendoci anche riflettere sulla frenesia e lo stile delle nostre vite. Voto: 6,5

Confessions (2010)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Scritto e diretto da un regista (Tetsuya Nakashima) famoso per i suoi film pop e coloratissimi (questo è tuttavia il suo primo che vedo), Confessions è un film agghiacciante e allucinante, un film che procede a colpi di ralenti (fin troppo ostentati, talvolta), inquadrature geometriche e vertiginose e colori desaturati. E' un film cupo e violento (sicuramente memore della lezione del coreano Chan-wook Park e della sua trilogia della vendetta), un thriller angoscioso e inquietante, che non manca mai di far riflettere lo spettatore. Molteplici sono, infatti, i temi affrontati: dall'incapacità di comunicazione tra due generazioni (sia tra studenti e professori che tra genitori e figli), all'analisi lucida e spietata del mondo degli adolescenti, guastato da smanie di protagonismo e da fenomeni di bullismo (che, comunque, sono frutto dell'inattenzione degli educatori), alla questione della difficoltà dei legami familiari o, meglio in questo caso, della loro assenza, alle problematiche legate alla scuola, una istituzione in sfacelo, che incita alla competizione e al carrierismo più spietati, di fatto restituendo un'immagine desolante della società nipponica odierna (tema, questo, affrontato da molto cinema giapponese contemporaneo), ma forse anche di quella occidentale. Confessions (tratto da un romanzo) è tutto questo e molto altro ancora: un thriller ricco di colpi di scena (fin dallo scioccante prologo), visivamente eccezionale (anche se spesso estetizzante), un film dallo sviluppo narrativo interessante e incalzante, anche se piuttosto lontano dalla consuetudini della cinematografia occidentale. Buona la colonna sonora (che passa con disinvoltura da Bach ai Radiohead) e le interpretazioni degli attori (tra questi Yoshino Kimura di Sukiyaki Western DjangoTakako Matsu, interprete vocale di Let It Go di Frozen, per questo si è pure esibita alla cerimonia degli Oscar 2020, e Mana Ashida, "Mako Mori" da bambina in Pacific Rim). Terribile e spiazzante, ma visivamente notevole, il finale. Voto: 7

venerdì 17 luglio 2020

Atto di forza (1990)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/07/2020 Qui - Uno dei migliori film di Paul Verhoeven, ma seppur non il migliore in assoluto, uno dei più memorabili dei suoi e del cinema della fantascienza in generale, ci sono infatti scene/immagini entrate nell'immaginario collettivo e parecchie idee poi riprese da pellicole successive. Un action/fantascientifico frenetico, violento, fantasioso, dai molteplici twist e dagli spunti davvero originali, che non rivedevo da anni, e che ho rivisto con grande piacere. Perché tante sono le cose, a volte grottesche ed esagerate, che vi accadono all'interno, che ogni volta è un'esperienza. Ancora oggi è difatti abbastanza intrigante e piacevole da vedere, e pensare che sono passati 30 anni, compiuti proprio quest'anno. A proposito, se volete sapere tutto ma proprio tutto di questo film vi suggerisco di passare dal Zinefilo, che a questo film ha dedicato una rassegna (qui l'ultimo dei venti post dedicatogli). Atto di forza che appunto si difende bene tecnicamente e non, negli anni è così divenuto prodotto celebre. Celebre per la presenza di un gigioneggiante Arnold Schwarzenegger, di una sensualissima Sharon Stone (decisamente più bella e sexy qui che in Basic Instinct) e di Michael Ironside (sempre convincente), per essere uno dei migliori adattamenti di un racconto di Philip K. Dick (dal titolo Ricordiamo per voi, ovvero We Can Remember It For You Wholesale) e per i suoi strabilianti (esagerati, sin troppo pompati, quasi da presa in giro, ma fantastici) effetti visivi, all'epoca giustamente premiati con l'Oscar (tra i vincitori un certo Rob Bottin, storico truccatore ed effettista). La storia funziona benissimo, gli elementi d'azione si fondono benissimo con quelli fantascientifici, e per quanto in questo futuro simil-distopico dove la colonizzazione di Marte ha portato una tirannia sul pianeta rosso a discapito della popolazione mentre sulla terra marchingegni tecnologici creano realtà virtuali dove è facile smarrirsi, la sceneggiatura affascinante onori tutti i cliché possibili, l'azione frenetica e sanguinosa, i dialoghi spicci e certe singole trovate garantiscono lo spettacolo. Quindi malgrado qualche passaggio poco approfondito e qualche sequenza un po' pacchiana o esagerata Atto di forza rimane un grande film da vedere, dall'altissimo tasso di intrattenimento senza tralasciare i contenuti. Nel 2012 c'è stato il remake, ma niente in confronto. Voto: 7+ [Qui Scheda]

L'uomo fedele (2018)

Titolo Originale: L'Homme fidèle
Anno e Nazione: Francia 2018
Genere: Drammatico, Sentimentale
Regia: Louis Garrel
Sceneggiatura: Louis Garrel, Jean-Claude Carrière
Cast: Louis Garrel, Laetitia Casta, Lily-Rose Depp
Diane Courseille, Joseph Engel
Vladislav Galard, Bakary Sangaré
Durata: 70 minuti

Love story con Louis Garrel e Laetitia Casta. Marianne lascia Abel perché aspetta un figlio da Paul.
Alla morte di quest'ultimo, Abel riconquista la donna scatenando un putiferio.

La mia vita con John F. Donovan (2019)

Titolo Originale: The Death and Life of John F. Donovan
Anno e Nazione: Canada, Regno Unito 2019
Genere: Drammatico
Produttore: Nancy Grant, Xavier Dolan
Lyse Lafontaine, Michel Merkt
Regia: Xavier Dolan
Sceneggiatura: Xavier Dolan, Jacob Tierney
Cast: Kit Harington, Natalie Portman, Ben Schnetzer, Jacob Tremblay
Susan Sarandon, Jared Keeso, Kathy Bates, Thandie Newton
Chris Zylka, Amara Karan, Sarah Gadon, Ari Millen
Emily Hampshire, Michael Gambon, Dakota Taylor
Durata: 120 minuti

Xavier Dolan dirige Kit Harington e Natalie Portman in un'opera sul tema del divismo.
Un giovane attore ripercorre il suo controverso rapporto epistolare con una star della televisione.

5 è il numero perfetto (2019)

Titolo Originale: 5 è il numero perfetto
Anno e Nazione: Italia, Belgio, Francia 2019
Genere: Drammatico, Noir, Thriller, Gangster
Produttore: Marina Alessandra Marzotto
Mattia Oddone, Elda Ferri
Regia: Igort
Sceneggiatura: Igort
Cast: Toni Servillo, Valeria Golino, Carlo Buccirosso, Iaia Forte
Lorenzo Lancellotti, Vincenzo Nemolato, Mimmo Borrelli
Angelo Curti, Nello Mascia, Gigio Morra, Emanuele Valenti
Durata: 98 minuti

Toni Servillo, Valeria Golino e Carlo Buccirosso nell'opera prima di Igort, tratta da una sua graphic novel.
Un ex sicario della camorra torna in azione dopo l'omicidio di suo figlio.

Crucifixion - Il male è stato invocato (2017)

Titolo Originale: The Crucifixion
Anno e Nazione: USA, Regno Unito, Romania 2017
Genere: Horror, Thriller
Produttore: Leon Clarance, Peter Safran
Regia: Xavier Gens
Sceneggiatura: Chad Hayes, Carey W. Hayes
Cast: Sophie Cookson, Corneliu Ulici, Ada Lupu, Brittany Ashworth
Catalin Babliuc, Matthew Zajac, Iván González, Ozana Oancea
Javier Botet, Jeff Rawle, Florian Constantin Voicu
Radu Bânzaru, Maia Morgenstern, Andrei Aradits
Durata: 90 minuti

Dai produttori di "The Conjuring", un horror demoniaco tratto da una storia vera.
Romania, 2004: una reporter newyorkese indaga sul caso di una suora, morta durante un esorcismo.

Mio fratello rincorre i dinosauri (2019)

Titolo Originale: Mio fratello rincorre i dinosauri
Anno e Nazione: Italia 2019
Genere: Drammatico
Produttore: Isabella Cocuzza, Arturo Paglia
Regia: Stefano Cipani
Sceneggiatura: Fabio Bonifacci
Cast: Alessandro Gassmann, Isabella Ragonese, Francesco Gheghi
Lorenzo Sisto, Arianna Becheroni, Roberto Nocchi
Rossy De Palma, Gea Dall'orto, Mariavittoria Dallasta
Edoardo Pagliai, Saul Nanni, Sara Lacitignola
Durata: 95 minuti

Alessandro Gassmann e Isabella Ragonese in una pellicola di formazione di Stefano Cipani.
Un adolescente si confronta con la disabilità del fratellino, affetto dalla sindrome di Down.

Resta con me (2018)

Titolo Originale: Adrift
Anno e Nazione: USA 2018
Genere: Drammatico, Sentimentale
Produttore: Shailene Woodley, Baltasar Kormákur
Aaron Kandell, Jordan Kandell, Ralph Winter
Regia: Baltasar Kormákur
Sceneggiatura: David Branson Smith
Aaron Kandell, Jordan Kandell
Cast: Shailene Woodley, Elizabeth Hawthorne
Sam Claflin, Jeffrey Thomas, Grace Palmer
Durata: 95 minuti

Shailene Woodley e Sam Claflin contro la tempesta in una pellicola tratta da una storia vera.
Durante una traversata in yacht sull'Oceano Pacifico, una coppia viene travolta da un uragano.

La donna elettrica (2018)

Titolo Originale: Kona fer í stríð
Anno e Nazione: Islanda, Francia, Ucraina 2018
Genere: Azione, Thriller
Regia: Benedikt Erlingsson
Sceneggiatura: Benedikt Erlingsson, Ólafur Egilsson
Cast: Halldóra Geirharðsdóttir, Jóhann Sigurðarson, Jörundur Ragnarsson
Juan Camillo Roman Estrada, Björn Thors, Margaryta Hilska
Vala Kristin Eiriksdottir, Solveig Arnaldsdottir, Þórhildur Ingunn
Durata: 101 minuti

Commedia su una moderna eroina, a difesa della Terra.
La direttrice di un coro nasconde un segreto: è l'ecoterrorista a cui il governo e la stampa danno la caccia da mesi.

Stronger - Io sono più forte (2017)

Titolo Originale: Stronger
Anno e Nazione: USA 2017
Genere: Biografico, Drammatico
Produttore: Jake Gyllenhaal, David Hoberman
Todd Lieberman, Michel Litvak, Scott Silver
Regia: David Gordon Green
Sceneggiatura: John Pollono
Cast: Jake Gyllenhaal, Tatiana Maslany, Clancy Brown, Lenny Clarke
Miranda Richardson, Richard Lane Jr., Patricia O'Neil, Frankie Shaw
Katharine Fitzgerald, Danny McCarthy, Jimmy LeBlanc, Carlos Sanz
Cassandra Cato-Louis, Michelle Forziati, Sean McGuirk, Karen Scalia
Durata: 112 minuti

Un superbo Jake Gyllenhaal interpreta Jeff Bauman, l'uomo gravemente ferito nel corso dell'attentato alla maratona di Boston del 2013 e costretto a un sofferto recupero psicofisico.

La vita in un attimo (2018)

Titolo Originale: Life Itself
Anno e Nazione: USA 2018
Genere: Drammatico, Sentimentale
Produttore: Marty Bowen, Wyck Godfrey, Aaron Ryder, Dan Fogelman
Regia: Dan Fogelman
Sceneggiatura: Dan Fogelman
Cast: Oscar Isaac, Olivia Wilde, Mandy Patinkin, Jean Smart, Olivia Cooke
Sergio Peris-Mencheta, Laia Costa, Àlex Monner, Isabel Durant
Lorenza Izzo, Annette Bening, Antonio Banderas, Samuel L. Jackson
Durata: 115 minuti

Oscar Isaac e Olivia Wilde in un film sul destino e l'amore.
Il quarantenne Will ricostruisce la sua travolgente love story con la moglie Abby fino al giorno della separazione.

Crazy & rich (2018)

Titolo Originale: Crazy Rich Asians
Anno e Nazione: USA 2018
Genere: Commedia
Produttore: Nina Jacobson, Brad Simpson, John Penotti
Regia: Jon M. Chu
Sceneggiatura: Peter Chiarelli, Adele Lim
Cast: Constance Wu, Henry Golding, Gemma Chan, Lisa Lu
Awkwafina, Ken Jeong, Michelle Yeoh, Pierre Png
Nico Santos, Ronny Chieng, Selena Tan, Amy Cheng
Tan Kheng Hua, Koh Chieng Mun, Jimmy O. Jang
Markus Mok, Peter Carroll, Sonoya Mizuno
Durata: 100 minuti

Commedia romantica a cavallo tra due mondi: quello orientale e quello occidentale.
L'erede cinese di una casa reale deve presentare la fidanzata alla sua famiglia.

Un affare di famiglia (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/07/2020 QuiHirokazu Kore'eda, regista giapponese che con questo film ha vinto la Palma d'Oro al Festival di Cannes 2018, prosegue (nuovamente e dopo Ritratto di famiglia con tempesta) la sua analisi della famiglia giapponese e delle sue contraddizioni. Qui lo fa portando sullo schermo una famiglia disfunzionale che vive di espedienti e cerca ogni volta che può il sussidio statale (e fa capolino un certo sostrato politico che sottolinea le difficoltà economiche giapponesi). La tranquillità di questo nucleo famigliare sembra venir scossa dall'arrivo di una piccola bambina, accolta dalla famiglia prima con contrasti (soprattutto dal più piccolo) e poi via via accettata come parte della stessa. Ma qua e là vengono lasciati dei segnali su di una realtà diversa che poi viene esplicata nella seconda parte del film, dove si ribalta gran parte della costruzione precedente e dove il regista sembra volerci far rompere l'empatia che aveva costruito fino a quel momento. Perché l'assunto fondamentale che sta alla base della pellicola è che se è vero che non possiamo sceglierci i genitori, è altrettanto vero che "non si è madre perché si partorisce", ma è nell'amore e nella comprensione quotidiani che si costruisce la famiglia. E cinicamente Kore'eda ricorda che il denaro, e quindi le condizioni materiali di vita, è elemento altrettanto fondamentale della stabilità famigliare. Per tutto questo, per una regia posata, per la solita grande capacità del cinema orientale di rendere un'emotività sentita e mai mielosa e fine a se stessa (anche grazie ad attori di talento e di grande espressività, di grandi interpreti quali Kirin Kiki e Lily Franky), Un affare di famiglia è un film estremamente riuscito, toccante, semplice e tremendamente attuale, perché racconta una realtà che accomuna il cosiddetto "occidente" e l'estremo oriente (in questo caso giapponese). E dove i figli subiscono sempre le decisioni dei genitori che non hanno scelto. Meno coinvolgente di Father and Son, ma nel complesso leggermente migliore. Voto: 7+ [Qui Scheda]

mercoledì 8 luglio 2020

Si sente il mare (1993)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/07/2020 Qui - Un pregio e un difetto per Si sente il mare, commedia sentimentale che ruota attorno alla bella ma "capricciosa" Rikako, nuova studentessa giunta da Tokyo, e alla sua relazione con i coetanei, e amici, Taku e Matsuno, realistico e precipitoso. Realistico per via di un tratto grafico oserei dire "fotografico" tanto è la sua aderenza ad realtà palpabile, pacata e quotidiana. Precipitoso perché in un'oretta o poco più condensa una trama che si dipana su più piani temporali e spaziali, eppure non riesce ugualmente a dare una chiara visione della narrazione, lasciando non pochi snodi irrisolti. Il film (la cui importanza è limitata dall'essere stato ideato e pensato per la visione televisiva) è il primo prodotto dello Studio Ghibli a non coinvolgere direttamente Takahata o Miyazaki nello sviluppo: la regia è a cura di Tomomi Mochizuki, giovane regista che negli anni '90 ci aveva già deliziati con gli OAV di Orange Road (il soggetto originale però della scrittrice Saeko Himuro), a cui veniva nel lontano 1993 affidato appunto questo film, che probabilmente in pochi conoscono, anche io l'avevo sentito solo per nome ma ne sapevo veramente poco. Ne viene fuori un prodotto cinematografico incapace di espletare una definita funzione narrativa, incapace di realizzare una lista di priorità (è più importante l'amicizia o l'amore?), che trova conclusione in una banalissima idealizzazione del rapporto sentimentale, che presupporrebbe una solida spiegazione alla spalle, che non si ravvisa in alcun aspetto della pellicola (il film si interrompe quando, forse, si poteva iniziare a raccontare qualcosa di interessante). Una pellicola a cui manca il coraggio, che fatica a scrollarsi di dosso alcuni stereotipi del sentimento malinconico, cavalleresco, e che non lascia nessun senso di appagamento. Se non tracolla del tutto è solo grazie a una comunque buona professionalità del suo lato tecnico, dove non si eccelle di certo, ma si mantiene una generale gradevolezza, soprattutto nei disegni degli sfondi. In conclusione, sufficienza a questa piccolissima opera dello studio dei sogni, che qui fa sognare ben poco se non per alcune immagini dai colori e dalle sensazioni sempre gradite. Voto: 6 [Qui Scheda]

Pioggia di ricordi (1991)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/07/2020 Qui - Uno dei più misconosciuti film dello Studio Ghibli, in gran parte a causa della scarsa (quasi nulla) distribuzione al di fuori del Giappone (come parecchi altri arrivato in Italia più tardi, in questo caso nel 2015), il terzo di Isao TakahataPioggia di ricordi, tratto dall'omonimo manga di Hotaru Okamoto e Yūko Tune, è un film d'animazione totalmente fuori dalla norma (soprattutto per l'originalità della tematica proposta, dal momento che la vita sentimentale di una "office lady" di trent'anni era all'epoca un soggetto piuttosto insolito per un film di animazione), un racconto realistico, nostalgico e romantico pensato per gli adulti e indirizzato soprattutto alle donne (all'epoca pensavano che una storia così non si poteva adattare all'animazione, e invece sì, pure con buoni risultati, anche se per una sensibilità maschile la difficoltà di entrare in sintonia c'è, e c'è stata nel mio caso, dato che non è riuscito a coinvolgermi come avrebbe dovuto). E' un'opera semplice, toccante, a tratti divertente, delicata e pacata, che procede a passo lento fra continui flashback e lunghi intervalli riflessivi (una lunga nuotata nel mare dei ricordi questo è). Un'acuta analisi della condizione della donna nella società giapponese di ieri e di oggi, offre diversi spunti interessanti, anche se il suo ritmo lento e tradizionale, soprattutto in questo caso può annoiare. E infatti, nonostante le tematiche toccate siano le più varie, passaggio dall'età fanciullesca a quella adulta, sensibilizzazione verso la natura e tutti i problemi che una ragazzina di dieci anni possa avere fra scuola, amici, famiglia e le prime cotte, non sono riuscito minimamente a emozionarmi o ad essere coinvolto se non nelle ultime scene. Merita, comunque, almeno una visione, in quanto le qualità di altre produzioni Ghibli vi sono tutte, a cominciare dall'animazione (seppur, in questo caso, a tratti semplificata, paesaggi però stupendi) per finire su una bella colonna sonora. In conclusione un buon film per quanto riguarda tematiche e aspetto tecnico, forse poco accattivante per come congegnato, sicuramente statico in alcuni momenti, ma un bel anime introspettivo e delicato da scoprire e riscoprire. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Si alza il vento (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/07/2020 Qui - Un film storico e biografico basato su una storia vera, che ripercorre i momenti salienti dei primi trent'anni di vita del noto ingegnere aeronautico giapponese Jirō Horikoshi (progettista e inventore del Mitsubishi A6M Zero, aereo da caccia usato dalla Marina imperiale giapponese durante la seconda guerra mondiale). Fin da subito, appare così chiaramente che Si alza il vento è abbastanza diverso dalla maggior parte degli altri film Ghibli, che solitamente strizzano l'occhiolino ad un pubblico vasto e di ogni età. Infatti questa volta il target più cercato e voluto è sicuramente quello adulto, date la costante serietà e drammaticità delle vicende proposte. I personaggi sono pochi ma ben fatti, i loro caratteri sono quelli tipici dei classici film Ghibli: il protagonista dall'animo gentile, caparbio, ostinato, sognatore e stoico, gli altri personaggi maschili principali sono spesso intelligenti, professionali, saggi e lungimiranti, mentre le figure femminili hanno un carattere forte, deciso, puro, umile e fedele. Talvolta abbiamo l'opportunità di osservare come gli sguardi e i visi espressivi dei personaggi valgano più di tante parole. Il lato tecnico è indiscutibilmente di alto livello. Alla regia ecco Hayao Miyazaki, che non delude e ci delizia (l'omaggio all'Italia, le scene aeree che ricordano direttamente Porco rosso e la grandiosa rappresentazione grafica del grande terremoto del Kantou), doveva essere il suo ultimo come regista, per fortuna non lo sarà. Diversamente dagli altri film Ghibli però, questo cerca di rimanere fedele a una storia vera, con i suoi pro e i suoi contro: partendo da una storia vera si ha già un buon punto di inizio per l'opera, tuttavia ci sono anche parecchie limitazioni, e se si vuole mantenere la storia come realistica, vi è il rischio di produrre un lavoro non perfetto, le parti oniriche da sole potrebbero non bastare. Se da un lato abbiamo la drammaticità delle vicende storiche realmente accadute, dall'altra risulta esserci un "ammorbidimento" generale delle scene e dei momenti critici, e l'inserimento di elementi onirici talvolta utopici. Durante la visione dell'anime si ha come la sensazione che manchi qualcosa, non sono presenti alcune informazioni utili per far comprendere meglio la storia, inoltre ci sono diversi salti temporali di anni in cui non viene mai detto quanto tempo sia passato, né l'età dei personaggi. Non che questo fosse fondamentale, ma avrebbe dato maggior comprensibilità all'opera. I vari passaggi con gli anni che passano di volta in volta sono un po' caotici, come quasi a voler dire che sarebbe stato consigliabile leggere il manga prima di vedere il film (un film in cui da menzionare tra i doppiatori originali ecco Hideaki Anno, regista di Shin GodzillaMasahiko Nishimura, già in Princess MononokeJun Kunimura, attore nei due Kill Bill, e Mirai Shida, in Arrietty insieme con Keiko Takeshita, quest'ultima al terzo giro con Ghibli dopo La collina dei papaveri). Nonostante qualche perplessità, nel complesso è un bell'anime, godibile e interessante: è una ricostruzione biografica ben fatta e ricca di spunti anche filosofici (un anime non per caso candidato all'Oscar nel 2014). Voto: 7 [Qui Scheda]

La collina dei papaveri (2011)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/07/2020 Qui - Il ritorno di Goro Miyazaki alla regia di un nuovo film d'animazione lascia non del tutto soddisfatti. Suo fu l'esordio con I racconti di Terramare, favola fantasy che però non convinse la critica e pure il pubblico, questa volta ci prova con un racconto di formazione più vicino alle corde del padre e maestro Hayao Miyazaki, che ne firma la sceneggiatura (quest'ultima ispirata ad un manga), ma il risultato è il medesimo, ovvero poco convincente. Nonostante abbia infatti una trama abbastanza originale e pochino interessante (quanto purtroppo prevedibile), nel Giappone degli anni Sessanta i giovanissimi Umi e Shun, che condividono il sogno di cambiare il mondo, si innamorano, ma un segreto potrebbe dividerli, il film risulta lento e a tratti noioso a causa delle troppe scene ripetitive e a causa di interminabili sequenze utili solo per arrivare ai 90 minuti di durata. La regia di Goro Miyazaki quindi non brilla assolutamente risultando in alcuni punti prolissa e faticosa. Senza dubbio le sue abilità si sono affinate rispetto al suo primo film diretto, ma la strada che ha da percorrere è ancora lunga, però continuando nella giusta direzione egli può crearsi un suo stile e deliziarci con ottime pellicole. Cosa che ovviamente non è questa di pellicola, che dal punto di vista semantico è vuota, i personaggi di Umi e Shun avrebbero potuto essere sviluppati meglio, così come le loro vicende familiari, tanto che alla fine risulta molto più interessante la storia del palazzo da risistemare che quella dei protagonisti. La conclusione della vicenda, inoltre, mi è sembrata banale e sbrigativa (e delle canzoni avrei fatto anche a meno). Con questo non voglio dire però che La collina dei papaveri sia un brutto film, anzi, dopotutto esteticamente è molto ben fatto, bello anche il messaggio proposto (ovvero l'importanza di avanzare e di rinnovare senza radere al suolo il passato e la memoria di chi non c'è più), ma sicuramente poteva essere realizzato molto meglio. Perché nel complesso è sì un buon prodotto (ed in ogni caso meritano di essere menzionati tra i doppiatori originali Nao Ōmori, l'Ichi di Takashi Miike, e Keiko Takeshita, già in Arrietty), ma niente di più. Voto: 6+ [Qui Scheda]

I miei vicini Yamada (1999)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/07/2020 Qui - Film minore dello Studio Ghibli, anche perché visivamente il lavoro meno interessante, seppur sopperisce alla grafica elementare con una serie di gag ben realizzata che si dimostra vincente, I miei vicini Yamada, arrivato in Italia solo pochi anni fa, era il 2016, e in via home video, parte un po' in sordina ma in corso d'opera le battute si fanno sempre più spiritose e divertenti. A cavallo tra la le tematiche dei Simpsons e la leggerezza degli immensi PeanutsIsao Takahata adatta la striscia di Hisaichi Ishii sfornando probabilmente la sua opera più sperimentale, il primo film in CGI dello Studio Ghibli che preceduto da opere di ampio respiro quali La tomba delle lucciole e Pioggia di ricordi potrebbe apparire come un puro divertissment (e in effetti lo è) in attesa dell'epitaffio La storia della principessa splendente (grandissimo film), ma scavando a fondo ci si accorge come la mano autoriale del regista, il suo stile minimalista e le sue consuete tematiche riescono a conferire lirismo a quest'unione dei tanti "slice of life", alcuni divertentissimi, alcuni dannatamente commoventi, altri ancora un po' più fiacchi (da qui non il massimo) pur se dannatamente efficaci nel ritrarre un perfetto ritratto familiare giapponese medio-borghese degli anni '90. I dialoghi dei due matrimoni sublimati dalle sequenze oniriche più estreme presenti ai due poli estremi del film costituiscono una sorta di botta e risposta e offrono la giusta chiave di lettura per interpretare la polpa del film in un'ottica universale e disincantata, in piena linea con la poetica del regista. La vetta dei capolavori dello Studio non viene però raggiunta e nemmeno sfiorata, tuttavia I miei vicini Yamada, rendendo pieno onore alla fama del suddetto, con la sua poesia, la sua ironia e la sua profondità, spesso nascosta, come da tradizione Ghibli, nei dettagli, non dispiace affatto. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Ghibli Collection - Parte 2

Post pubblicato su Pietro Saba World il 08/07/2020 Qui - Ci son voluti due anni e due listoni (qui trovate la prima parte), ma alla fine il Progetto Ghibli/Miyazaki è stato portato a termine. L'avevo detto e così ho fatto, certo, il suddetto Progetto menzionava anche di recuperare anche altri film d'animazione, e penso che una buona parte dovrei vedere entro l'anno, ma il grosso dell'operazione è stato fatto. Infatti con questi cinque film (che comunque non ho visto grazie a Netflix) posso dire finalmente d'aver visto tutti i film di Hayao Miyazaki e della filmografia completa (sia i lavori prodotti che in collaborazione) dello Studio Ghibli. In tal senso, essendo gli ultimi, speravo di finire col botto, e invece nessuno è riuscito a colpirmi in maniera tale da raggiungere la Top 5 o la barriera dell'ottimo, ma comunque bello è stato questo viaggio (con film carini, diversi dal solito però sempre deliziosi), e poi impossibile è in ogni caso rimpiangere la visione di un film dello Studio, capace sempre di regalare emozioni. Avendo completato quindi, potrei anche stilare una classifica, in larga parte riscontrabile al post, ma per ora non ci penso, penso solo a farvi sapere cosa ne penso dei film in questione, invitandovi a leggere le mie recensioni, buona lettura.

venerdì 3 luglio 2020

Un 32 août sur terre (1998)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 00/07/2020 Qui - Denis Villeneuve è come il vino, migliora col tempo. Ha raggiunto la piena maturità con Blade Runner 2049 dopo un percorso che partito a parer mio non benissimo e in sordina (con un film sconosciuto ai più, quasi introvabile, che venne presentato alla cinquantunesima edizione del Festival di Cannes, nella categoria Un Certain Regard) si è poi rivelato di rilevante fattura, visto che questa sua prima opera, seppur già valente del suo talento, non rimane particolarmente impressa (strana, semplice e allo stesso tempo complessa, non un'opera di facile comprensione ma nemmeno di esagerata difficoltà interpretativa, eppure che non riesce personalmente a convincere). E tuttavia il trampolino perfetto per mettersi in mostra, ecco infatti poi arrivare il buon Maelstrom (simile ma diverso, intensamente bello) e Polytechnique, raggiungere grandi vette con La donna che canta, scendere un pochino, con Prisoners, rimanere all'altezza con Enemy, risalire con Sicario ed Arrival, infine arrivare sino al quasi capolavoro (a questo punto dal prossimo Dune è auspicabile aspettarsi qualcosa di grandioso). Il gran regista canadese esordisce nel lungo con questo bizzarro ma suggestivo lungometraggio, a volte buffo, a volte inquietante, dove la data improbabile del 32 agosto segna quasi una vita parallela della protagonista, che percorre nuove sensazioni e nuove consapevolezze grazie ad un incidente salvifico in grado di restituirle l'umanità perduta dall'arrivismo e dalla rincorsa cinica verso traguardi ingannevoli e di cui solo da quel momento riesce a percepirne l'inutilità, o almeno a comprenderne la natura superflua. Il film ha una regia accurata che si sofferma con classe e stile su particolari fotogenici e suggestivi, siano essi dettagli relativi alla bellezza delicata della fulva protagonista, siano invece inerenti alla suggestione prorompente e variegata del paesaggio naturale, che spazia con abilità  e disinvoltura dalla purezza florida della campagna canadese, al cemento geometrico della metropoli quasi asettica, al paradiso incontaminato e quasi lunare di Salt Lake City. La pellicola si avvale inoltre di una validissima ed intensa interprete, Pascale Bussieres, anche molto seducente e di una bellezza delicata, raffinata, quasi artistica, in linea con l'eleganza schietta ma anche ricercata che fa da sfondo alla vicenda. Peccato che Un 32 août sur terre (titolo internazionale August 32nd on Earth), nonostante il suo giustificabile carattere onirico-fantastico, sia inesplicabile nei contenuti. Ha sì il pregio di non annoiare, però arriva in fondo e dici: "e quindi?". Il regista prende un po' di qua e di la, ci mette del suo, mescola il tutto e ci restituisce una commedia ricercata (e non affatto da sottovalutare) che però non piglia. Un azzardo definirlo il suo lungometraggio meno riuscito, ma personalmente è così. Voto: 5,5 [Qui Scheda]

Sugarland Express (1974)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 00/07/2020 Qui - Al suo esordio al cinema Steven Spielberg dirige un drammatico e amaro road movie e fa subito centro. Se Duel era comunque un film per la TV o prioritariamente film TV, questo Sugarland Express, posteriore di tre anni, non solo segna il debutto del regista in un lungometraggio cinematografico, ma conferma uno stile insuperabile dell'autore che poi avrebbe segnato la storia del cinema. Già il talento l'aveva mostrato in Duel, qui continua a stupirci con una regia bellissima piena di virtuosismi, movimenti di macchina e una buona suspense per quasi tutta la durata. Molteplici i temi trattati, anche abbastanza precocemente considerato l'anno di uscita. Film che (dotato di una brillante sceneggiatura, vincitrice anche di un premio a Cannes) oscilla tra il dramma e la commedia, alterna scene forti a scene più ironiche e dissacranti. Sugarland Express è infatti un vivace film di inseguimento carico di tensione. Il regista approfondisce con abilità il concetto stilistico di Duel e pone le basi per sfornare l'anno successivo lo strepitoso successo commerciale del film Lo Squalo. Una giovane donna a cui hanno sottratto il bambino per darlo in affidamento ad un'altra coppia convince suo marito ad evadere per andare a Sugarland per riprenderselo. Oltre all'evasione i reati commessi nel lungo tragitto sono tanti tra cui il sequestro di un agente. La coppia viene inseguita da decine, anzi centinaia di auto (scene direi fantastiche) tanto da far diventare il lungo serpentone un vero e proprio fenomeno e gli abitanti dei paesi attraversati nella fuga si schierano a favore della giovane coppia organizzando accoglienze degni di eroi. In America tutto è spettacolo. La storia è tratta da un fatto di cronaca realmente accaduto. Buone le performance, specie la donna (una Goldie Hawn d'altri tempi), una pazza che urla un po' troppo, ma rappresenta un po' lo stile nevrotico dell'operazione (non si ci può comunque dimenticare di William AthertonBen Johnson e Michael Sacks). Il comparto tecnico è perfetto (come sempre nei film di Spielberg), e rende la pellicola più appassionante. L'atmosfera rustica e sabbiosa crea infatti una violenza implicita che colpisce molto. Stupisce anche il sonoro, specie durante le sparatorie, considerato l'anno in cui è uscito. Finale tesissimo e pieno di suspense. Poi la pellicola ha davvero un gran ritmo e non annoia mai, trovando sempre delle trovate carine. Magari se vogliamo andare a scrivere la cosa che magari non va molto bene, scriviamo che c'è una trama che quasi non esiste ma non è così grave come sembra (in questo caso). E insomma, seppur inferiore a Duel, più che discreto road movie è questo, il regista cerca ancora di stupire con un film fatto sulla strada e ci riesce, coinvolgendo in modo particolare, tirando in ballo temi interessanti e spingendo sull'acceleratore. Voto: 7 [Qui Scheda]

Brivido nella notte (1971)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 00/07/2020 Qui - Buon esordio alla regia di Clint Eastwood, il quale sforna un thriller (che indubbiamente risponde ai canoni cinematografici degli anni '70) davvero ben fatto (che sa cosa offrire allo spettatore). Ci sono tutti gli elementi per un buon film di suspense: calzante tensione (sebbene i nodi narrativi siano piuttosto prevedibili, il film tiene infatti bene la tensione e il senso di inquietudine), una trama (seppur semplice e poco articolata) misteriosa ed intrigante (un affascinante disc jockey notturno di un'emittente radio californiana decide di trascorrere la notte con una sua ammiratrice, ma dopo la breve avventura egli tenta di scaricare la ragazza, che però reagisce dando inizio a un'assillante persecuzione), un po' di violenza e una colonna sonora adatta (in tal senso emerge con decisione il gusto per la musica jazz, che accompagna come elemento dominante tutta la trama del film, il regista dedicherà perfino un'intera scena, decisamente non rilevante per il plot, al Festival di Musica Jazz di Monterey). C'è naturalmente anche qualche difetto: la sceneggiatura è deboluccia e a volte diventa troppo ripetitiva, ed il finale, un po' frettoloso ma comunque azzeccato. Il cast nell'insieme è buono (oltre a Clint Eastwood qui nelle vesti dell'attore principale), in cui spicca Jessica Walters che fa una grandissima parte. La regia (seppur acerba) è abbastanza buona. Poi la pellicola (Play Misty for me in originale, titolo che si riferisce alla canzone che Evelin chiede continuamente a Dave di trasmettere) ha davvero un discreto ritmo e si lascia seguire con attenzione senza mai annoiare e man mano che procede, diventa sempre più appassionante (forse soffre un tantino degli anni che si porta dietro, però il film offre una storia di vita quotidiana che si trasforma lentamente in un incubo terribile senza troppe esagerazioni o elementi surreali). Una cosa davvero bella del film è la scenografia, affascinante e adattissima per una storia del genere. I dialoghi invece sono un po' banali (altro errore di sceneggiatura). Insomma, un buon esordio alla regia del mitico Clint Eastwood. Certo, egli ha poi dimostrato di saper far meglio (grazie anche all'esperienza e al maggior numero di soldi a disposizione), ma si tratta di un punto d'inizio rilevante secondo me (un cult per appassionati, con Don Siegel nelle vesti del barista complice del disc jockey), un tassello importante di quel percorso che ha creato un'icona del cinema contemporaneo, il primo tassello del Clint regista. Voto: 6+ [Qui Scheda]

L'uomo che fuggì dal futuro (1971)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 00/07/2020 Qui - Esordio interessante, inedito e innovativo, per George Lucas, lontano dai canoni che lo renderanno famoso, ma tra le calde e confortevoli sicurezze di un produttore esecutivo come Francis Ford Coppola e di un soggetto che (per quanto accreditato come originale, per quanto ispirato ad un suo stesso cortometraggio di quattro anni prima) poggia salde basi nella letteratura classica. Le tematiche, come nella migliore tradizione fantascientifica, sono delle più disparate, e la pellicola (ambientata in un futuro distopico dove gli umani assiepati sotto terra sono controllati dalle macchine che hanno schiavizzato gli stessi privandoli di qualsiasi desiderio, emozione, passione, sentimento e personalità, l'unico obiettivo è l'efficienza lavorativa e la fedeltà al sistema) tratta temi moderni e complessi nonostante la breve durata e il basso budget a disposizione. Libero arbitrio, il rapporto uomo-macchina, la religione, la fedeltà al governo, l'amore e i sentimenti, l'identità personale sono alcuni argomenti presenti nel film (a dare il via alla storia sarà la ribellione di due cittadini che aprono gli occhi rinunciando alle pillole di "repressione" che erano costretti ad ingerire quotidianamente). La realizzazione tecnica è buona e la scenografia è perfetta per rappresentare il mondo asettico e spersonalizzante dove i protagonisti sono costretti a vivere, anche la fotografia fredda esalta al meglio questo concetto. Il cast regge bene e abbiamo anche grandi nomi come Donald Pleasence e Robert Duvall fra gli altri. Purtroppo il ritmo è molto lento (cosa in parte giustificabile) e l'opera nonostante (appunto) la breve durata in alcuni punti tende ad annoiare un po'. Inoltre ci sono alcune carenze nella sceneggiatura che possono rendere confusa la storia e complicata la visione allo spettatore. Mi aspettavo qualcosa di più, francamente, ma nel complesso la pellicola ha il suo valore e (fatto salvo il fattore noia) merita la visione. Non bastasse che L'uomo che fuggì dal futuro influenzerà la fantascienza successiva, rimane un film riuscito ed azzeccato per molte cose, per i protagonisti, per certe scene ancora attuali e bellissime (la corsa in macchina in primis) e soprattutto per la scena finale con Duvall sfocato e in primo piano il sole, una vera delizia per gli occhi. In conclusione consiglio questo film (poco conosciuto) a quanti amino la fantascienza anni '70 (e quella in generale) e a quanti siano interessati a scoprire di più (così come ho fatto io) del regista George Lucas precedente a Guerre Stellari. Voto: 6,5 [Qui Scheda]