lunedì 4 marzo 2019

Le ricette della Signora Toku (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/03/2017 Qui - Tratto da un best seller giapponese, Le Ricette della Signora Toku (An), film appunto giapponese del 2015 diretto da Naomi Kawase (per me abbastanza sconosciuta), è una gradevole, delicata, intimista e piacevole pellicola, che per quanto poco originale è però molto bella e poetica. La fotografia, la sceneggiatura e gli interpreti infatti sono magici. La storia di Toku è però in fondo, nonostante anche qui la cucina fa da contorno al tema, è soprattutto una parabola del diverso, una toccante e bellissima parabola del diverso. La signora Toku è infatti una esile vecchina che vive in simbiosi con la natura e sa preparare una deliziosa marmellata di fagioli per arricchire i dorayaki, i famosi dolci giapponesi. Sentaro gestisce con poco successo una piccola bottega dove cucina quasi controvoglia dorayaki di gusto scadente e con pochi clienti. Le loro vite si incontreranno casualmente. Le mani malate della signora Toku però, (discriminate dalla malattia e da un difficile trascorso), prepareranno per Santero ottimi dolcetti e riscalderanno il suo cuore. Le Ricette della Signora Toku, per quanto possa sembrare apparentemente delicato e fragile, è in realtà duro e crudele. Se infatti all'inizio il film risulta una tradizionale mescolanza tra immagini poetiche di alberi che stormiscono e fiori candidi e la storia del film di cucina (il titolo italiano stesso è fuorviante e vorrebbe portarci in questa unica direzione), in verità ad avere la meglio è la saggezza e l'esperienza della signora, che educa il giovane principale a trovare la sua strada. Il film per questo si trasforma in un racconto sull'incontro tra tre persone, che ognuna a suo modo si trova emarginata e isolata da una società che non è affatto tenera con chi è diverso o in difficoltà. Toku infatti e in realtà vive in un sanatorio per malati di lebbra, che una legge del dopoguerra aveva costretto a vivere in quarantena, Sentaro lavora nel baracchino di dorayaki per ripagare un debito e la giovane Wakana (che spesso passa dal negozio) non riesce a comunicare con la madre, che non le presta attenzione e non la comprende, e vorrebbe insomma andarsene di casa. Toku quindi diventa la madre che Sentaro e Wakana non hanno mai avuto, riuscendo non solo a far capire come la natura è in noi stessi (tutto ciò che facciamo, ogni attività, per riuscire bene, deve infatti essere pervasa di comprensione e pazienza e di amore per quello che stiamo realizzando), ma anche a creare un bel legame, utile a i due ad andare avanti nella vita e non mollare mai.
Il negozietto è stato difatti, seppur per breve tempo, un'isola, un rifugio felice, in cui i personaggi si sono ritrovati, si sono ascoltati e hanno finalmente trovato la loro voce. Ma nonostante le tematiche esposte in questa pellicola risultano quanto mai profonde e toccanti, il valore dell'amicizia, della solidarietà e dello spirito combattivo necessario ad affrontare la propria personale esistenza, tutto purtroppo viene presentato in una maniera abbastanza scontata, senza nessun approfondimento particolare tale da estrapolare la pellicola dal "già visto" e dal prevedibile. Ciò denota difatti una regia, forse, ancora poco matura, sebbene lineare e precisa, ma che ancora, appunto, deve percorrere un po' di strada al fine di affermarsi in maniera efficace. La regista infatti non riesce del tutto a trovare il suo vero respiro, in alcuni istanti mostra delicatezza e sensibilità, in altri finisce per diventare, come la marmellata di An appunto, leggermente, forse inevitabilmente stucchevole. In più le caratterizzazioni dei personaggi sembrano solo abbozzati, Toku in effetti, è caratterizzata, forse anche il doppiaggio non aiuta, come una donna curiosa, invadente, all'inizio. I continui sospiri, il modo di parlare inframmezzato da risatine d'imbarazzo, il modo calcato in cui presta attenzione alle voci del mondo della natura, a volte risultano davvero un po' sciocchi, quasi fastidiosi. Kiki Kirin però, sa come impreziosire la sua presenza, ma la scelta della regista in certi momenti appare comunque poco azzeccata. Lunghe inquadrature indugiano sui dettagli delle stagioni, interrompendo la narrazione, rallentandola, quasi lo sguardo fosse in estasi. Non c'è musica, solo lo stormire e il frusciare degli alberi. La denuncia della grettezza e della meschinità degli uomini si perde per diventare un canto all'armonia e alla bellezza. Non sempre poi il lirismo si tramuta in sentimento ed emozione autentica. Nessuno dei protagonisti prova rabbia o risentimento per essere stato relegato ai margini. Forse Sentaro è il più credibile da questo punto di vista e qualche moto d'indignazione lo prova. Ma nonostante ciò Le Ricette della Signora Toku è una semplice ma non banale pellicola, che si complica un po' dopo la metà ma recupera abbastanza agilmente. Infine dolce e toccante è il rito della preparazione della marmellata An. Deludente e fragile invece la seconda parte, protagonista per lo più Santaro e le sue problematiche esistenziali. In definitiva però film non così "piccolo", nel miglior senso del termine, come promette la prima parte ma decisamente gradevole e bello da vedere. Voto: 7