lunedì 26 agosto 2019

Sukiyaki Western Django (2007)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 26/08/2019 Qui
Tema e genere: Omaggio al western all'italiana, nato dalla volontà del regista Takashi Miike di volerne girare uno.
Trama: In Nevada un piccolo villaggio è conteso fra i Bianchi, guidati da Yoshitsune, e i Rossi, capeggiati da Kiyomori. L'improvviso arrivo di un misterioso pistolero sconvolge i precari equilibri del villaggio, contribuendo a far precipitare in un bagno di sangue una situazione già tesissima.
Recensione: Il successo del Django di Sergio Corbucci del 1966 rese il personaggio del pistolero con l'ingombrante bara, una vera e propria icona del cinema. Non solo per la fama ottenuta a livello nazionale, ma anche all'estero. Molti sembrano aver apprezzato questo lungometraggio. Tarantino, con il suo Django Unchained e la sua passione non celata per i western all'italiana, è il più recente autore ad aver omaggiato la pellicola di Corbucci in un suo lavoro. E poco prima di lui, nel 2007, il noto regista Takashi Miike aveva sfornato il suo personalissimo tributo alla pellicola nostrana: Sukiyaki Western Django, appunto. Miike raccoglie lo stile e l'atmosfera del genere western e lo fonde insieme a quello dell'oriente e della tradizione nipponica. Ad una trama che ricorda immediatamente Per un pugno di dollari di Sergio Leone, si unisce un cast di personaggi assurdi, con una caratterizzazione portata all'inverosimile. Dallo sceriffo schizofrenico fino al capo rozzo col pallino per Shakespeare, tanto da farsi chiamare Enrico. Proprio come il noto sovrano decantato dall'autore inglese. Ed è doveroso menzionare il personaggio di Yoshitzune, esperto nell'uso della pistola ed allo stesso tempo della katana, simboli dei due stili che collidono in questa pellicola. A questo enorme calderone di citazioni, battaglie e sangue, si unisce la violenza tanto amata da Miike. Una pellicola che intrattiene, ben congegnata e curata. Il finale, poi (come l'inizio in cui un certo Quentin fa la sua divertita comparsa) è davvero una bella trovata.
Regia: Un film costellato di errori probabilmente voluti dallo stesso regista, che mette in gioco un simbolismo tipico giapponese mischiandolo alle tipiche atmosfere western in stile Sergio Leone, il tutto con una spruzzata di violenza in puro stile Tarantiniano, niente di originale, tutto alquanto confuso in certi frangenti, eppure come per la maggior parte dei film del regista giapponese (che fortunatamente non rinuncia alla violenza, alla sua natura), riesce ad incuriosire lo spettatore rendendolo partecipe della pellicola.

Sceneggiatura: Alcuni difetti non rendono pienamente godibile questa ludica sperimentazione, penalizzata da una storia e una sceneggiatura abbastanza confusionarie e dove si susseguono massacri a raffica (comunque belli da vedersi perché molto coreografici) rendendo a volte il tutto piuttosto ripetitivo e stancante. Ma l'ironia, a volte quasi demenziale, e le bizzarrie, in parte sopperiscono, soprattutto se ci si rende conto del suo scopo primario, divertire.
Aspetto tecnico: Affascinante sul piano visivo grazie ad una fotografia sgargiante e dai colori incisivi ed a scenografie chiaramente finte, dove il paesaggio occidentale non ha problemi ad ospitare delle pagode, dove la Katana si accompagna alla pistola e Shakespeare viene volutamente preso in giro senza freni.
Cast: Gli unici attori conosciuti personalmente sono Quentin Tarantino, che ogni tanto ci allieta con la sua presenza, e Shun Oguri, che ha impersonato Lupin III nel suo ultimissimo live action. Comunque tutti gli attori qui presenti, oltre a quelli già citati, e mi riferisco a quelli che vanno da Shingo Katori a Yoshino Kimura, da Kaori Momoi a Kōichi Satō e Hideaki Itō, svolgono il loro compito (divertito) egregiamente.
Commento Finale: Per il suo approccio al genere western, Takashi Miike pesca a piene mani dalla tradizione del cinema di samurai giapponese (Akira Kurosawa su tutti), dal western italiano (Sergio Leone e Sergio Corbucci in primis) e dalla drammaturgia di Shakespeare (già abbondantemente presente negli autori citati) miscelando un cocktail lisergico e prolisso, citazionista e divertito, fiero di esibire la propria natura bastarda in un continuo prendersi gioco di generi e registri. La presenza di Quentin Tarantino in apertura cerca così di dare una legittimazione a questo divertissement fumettistico, figlio di un cinema postmoderno e sfacciatamente pop, da non prendersi mai troppo sul serio. Divertitevi e basta.
Consigliato: Se siete fan del regista lo è certamente, poi dipende dal vostro livello di sopportazione al sangue ed alla violenza.
Voto: 6

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