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venerdì 31 luglio 2020

Confessions (2010)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Scritto e diretto da un regista (Tetsuya Nakashima) famoso per i suoi film pop e coloratissimi (questo è tuttavia il suo primo che vedo), Confessions è un film agghiacciante e allucinante, un film che procede a colpi di ralenti (fin troppo ostentati, talvolta), inquadrature geometriche e vertiginose e colori desaturati. E' un film cupo e violento (sicuramente memore della lezione del coreano Chan-wook Park e della sua trilogia della vendetta), un thriller angoscioso e inquietante, che non manca mai di far riflettere lo spettatore. Molteplici sono, infatti, i temi affrontati: dall'incapacità di comunicazione tra due generazioni (sia tra studenti e professori che tra genitori e figli), all'analisi lucida e spietata del mondo degli adolescenti, guastato da smanie di protagonismo e da fenomeni di bullismo (che, comunque, sono frutto dell'inattenzione degli educatori), alla questione della difficoltà dei legami familiari o, meglio in questo caso, della loro assenza, alle problematiche legate alla scuola, una istituzione in sfacelo, che incita alla competizione e al carrierismo più spietati, di fatto restituendo un'immagine desolante della società nipponica odierna (tema, questo, affrontato da molto cinema giapponese contemporaneo), ma forse anche di quella occidentale. Confessions (tratto da un romanzo) è tutto questo e molto altro ancora: un thriller ricco di colpi di scena (fin dallo scioccante prologo), visivamente eccezionale (anche se spesso estetizzante), un film dallo sviluppo narrativo interessante e incalzante, anche se piuttosto lontano dalla consuetudini della cinematografia occidentale. Buona la colonna sonora (che passa con disinvoltura da Bach ai Radiohead) e le interpretazioni degli attori (tra questi Yoshino Kimura di Sukiyaki Western DjangoTakako Matsu, interprete vocale di Let It Go di Frozen, per questo si è pure esibita alla cerimonia degli Oscar 2020, e Mana Ashida, "Mako Mori" da bambina in Pacific Rim). Terribile e spiazzante, ma visivamente notevole, il finale. Voto: 7

martedì 27 agosto 2019

Sukiyaki Western Django (2007)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 26/08/2019 Qui
Tema e genere: Omaggio al western all'italiana, nato dalla volontà del regista Takashi Miike di volerne girare uno.
Trama: In Nevada un piccolo villaggio è conteso fra i Bianchi, guidati da Yoshitsune, e i Rossi, capeggiati da Kiyomori. L'improvviso arrivo di un misterioso pistolero sconvolge i precari equilibri del villaggio, contribuendo a far precipitare in un bagno di sangue una situazione già tesissima.
Recensione: Il successo del Django di Sergio Corbucci del 1966 rese il personaggio del pistolero con l'ingombrante bara, una vera e propria icona del cinema. Non solo per la fama ottenuta a livello nazionale, ma anche all'estero. Molti sembrano aver apprezzato questo lungometraggio. Tarantino, con il suo Django Unchained e la sua passione non celata per i western all'italiana, è il più recente autore ad aver omaggiato la pellicola di Corbucci in un suo lavoro. E poco prima di lui, nel 2007, il noto regista Takashi Miike aveva sfornato il suo personalissimo tributo alla pellicola nostrana: Sukiyaki Western Django, appunto. Miike raccoglie lo stile e l'atmosfera del genere western e lo fonde insieme a quello dell'oriente e della tradizione nipponica. Ad una trama che ricorda immediatamente Per un pugno di dollari di Sergio Leone, si unisce un cast di personaggi assurdi, con una caratterizzazione portata all'inverosimile. Dallo sceriffo schizofrenico fino al capo rozzo col pallino per Shakespeare, tanto da farsi chiamare Enrico. Proprio come il noto sovrano decantato dall'autore inglese. Ed è doveroso menzionare il personaggio di Yoshitzune, esperto nell'uso della pistola ed allo stesso tempo della katana, simboli dei due stili che collidono in questa pellicola. A questo enorme calderone di citazioni, battaglie e sangue, si unisce la violenza tanto amata da Miike. Una pellicola che intrattiene, ben congegnata e curata. Il finale, poi (come l'inizio in cui un certo Quentin fa la sua divertita comparsa) è davvero una bella trovata.
Regia: Un film costellato di errori probabilmente voluti dallo stesso regista, che mette in gioco un simbolismo tipico giapponese mischiandolo alle tipiche atmosfere western in stile Sergio Leone, il tutto con una spruzzata di violenza in puro stile Tarantiniano, niente di originale, tutto alquanto confuso in certi frangenti, eppure come per la maggior parte dei film del regista giapponese (che fortunatamente non rinuncia alla violenza, alla sua natura), riesce ad incuriosire lo spettatore rendendolo partecipe della pellicola.