Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/08/2019 Qui
Tema e genere: Film biografico basato sulla vita della famosa scrittrice francese Colette, che con la sua opera e la sua storia ha influenzato la cultura e il costume lungo tutto il XX secolo.
Trama: Nella Parigi dei primi del '900, dopo essere stata costretta a firmare i propri romanzi con il nome del marito Willy, la scrittrice e attrice teatrale Colette, emancipata e anticonformista, ottiene il successo meritato combattendo ogni forma di pregiudizio.
Recensione: Film biografico che non rinuncia a nessuna delle secche e delle regole minime del genere, Colette è un ritratto piuttosto convenzionale e stereotipato di una delle icone più trasgressive della Belle Époque, un periodo esplicitamente descritto che per questo irrita leggermente. Una provocatrice che, nella ricostruzione della sua vita firmata da Wash Westmoreland, uno dei due registi di Still Alice (del 2014), si tramuta in una figura edulcorata e ammansita, sminuita con una certa frettolosità da uno sguardo laccato e patinato, che trasmette l'immagine di un'autrice non particolarmente simpatica, piuttosto fortunata e capricciosa, con cui si fatica ad empatizzare. Prima donna nella Storia della Repubblica francese a ricevere i funerali di stato e totem culturale in grado di parlare anche al presente in modi e forme tutt'altro che banali, Colette è interpretata senza alcun nerbo e con scarsissima presa sul personaggio da Keira Knightley, ma è l'intero taglio dell'operazione, per quanto dignitosa sul piano della confezione, a destare più di una perplessità. Della Colette intellettuale ed "abile" scrittrice non c'è infatti praticamente traccia, la sua sessualità vorace e sfrenata e le sue relazioni con persone di ambo i sessi sono evocate con pudico pressappochismo e il film, di fatto, si concentra soprattutto sul rapporto di subalternità di Sidonie-Gabrielle (suo vero nome) con il cialtrone e meschino marito (sebbene si tratti di un legame forzato e scardinato ben presto nel segno della riscossa e della rivendicazione). Tale dimensione narrativa e tematica fa di Colette un prodotto banalmente appiattito su una parabola di empowerment femminile, chiaramente in linea col momento storico in cui è stato realizzato ma privo di reale spessore. Incapace, in definitiva, di stabilire una reale sintonia con la personalità della protagonista.
Regia: Nonostante il regista Wash Westmoreland si sia avvalso della collaborazione di Richard Glatzer (suo marito e coautore per vent'anni, scomparso nel 2015) non riesce a rendere l'importanza di questa donna, considerata dalla Francia una vera e propria risorsa nazionale. Eppure il regista aveva diretto magistralmente una splendida Julianne Moore in Still Alice dove si mostra la progressione spietata del morbo di Alzheimer in una donna scrittrice e docente universitario, facendole vincere anche l'Oscar nel 2015 come migliore attrice.
Sceneggiatura: Cadenzato nel suo evolversi narrativo secondo uno schema un po' troppo risaputo e per nulla innovativo, la pellicola non riesce mai veramente a dimostrarsi realmente interessante, costretto com'è a scivolare nella solita ripetizione di cliché decorativi un po' stantii, che l'ostentazione di un seno nudo o di un bacio saffico non riescono per nulla a scalfire né ad addivenire ad un rimedio narrativamente convincente.
Aspetto tecnico: L'affresco storico della Belle Époque parigina è studiato nel dettaglio e nel complesso risulta ben riuscito. Solo sufficiente il resto.
Cast: Si rileva un indubbio impegno da parte degli attori principali nel voler rendere più possibile coerente e credibile ognuno il proprio colorito e passionale, oltre che eccentrico, personaggio. Ma la pur volonterosa Keira Knightley sconta una sino ad ora insormontabile limitatezza espressiva che l'ha sempre un po' limitata nelle svariate performance, anche di gran livello, di cui è costellata la sua tutt'altro che banale carriera, dal canto suo il corpulento Dominic West appare sin troppo preso da incontrollata compulsività nel tentare di rendere appropriata e palpabile la malvagità e il doppio-giochismo bieco del suo controverso personaggio, rischiando in tal modo di trasformare la sua parte in una maschera manichea e sin troppo colorita, a rischio di caricatura.
Commento Finale: Non c'è pathos, non c'è sofferenza, sembra tutto dovuto, quasi fosse la protagonista una ragazzina viziata e non una scrittrice di enorme talento e una donna coraggiosa in cerca di autonomia e di identità (molto meglio Mary Shelley, anche la sua di biografia cinematografica). Il film è interessante, anche in senso storico e non solo culturale, ma è superficiale e banale, un film che mostra un po' la corda quando inizia a risparmiare sul ritmo e le psicologie, si concede aggiornati ammiccamenti al #MeToo e perde d'intensità proprio quando la brama di vivere della vera autrice della saga di "Claudine" (firmata dal coniuge sfruttatore e diventata a causa delle sue tirature persino un brand commerciale) si abbandona alle gioie lesbiche e raggiunge l'acme del successo artistico e mondano. Il ritratto resta dunque soltanto abbozzato, la figura di Colette ancora avvolta in una nube insondabile ci restituisce un'opera che si qualifica più come l'ennesima apologia della rivalsa femminile che come reale contributo per la decifrazione del personaggio.
Consigliato: Agli amanti del genere (biografico) non tanto (forse di quello storico), forse neanche ai fan della scrittrice, ma a tutti gli altri proprio no.
Voto: 5
Trama: Nella Parigi dei primi del '900, dopo essere stata costretta a firmare i propri romanzi con il nome del marito Willy, la scrittrice e attrice teatrale Colette, emancipata e anticonformista, ottiene il successo meritato combattendo ogni forma di pregiudizio.
Recensione: Film biografico che non rinuncia a nessuna delle secche e delle regole minime del genere, Colette è un ritratto piuttosto convenzionale e stereotipato di una delle icone più trasgressive della Belle Époque, un periodo esplicitamente descritto che per questo irrita leggermente. Una provocatrice che, nella ricostruzione della sua vita firmata da Wash Westmoreland, uno dei due registi di Still Alice (del 2014), si tramuta in una figura edulcorata e ammansita, sminuita con una certa frettolosità da uno sguardo laccato e patinato, che trasmette l'immagine di un'autrice non particolarmente simpatica, piuttosto fortunata e capricciosa, con cui si fatica ad empatizzare. Prima donna nella Storia della Repubblica francese a ricevere i funerali di stato e totem culturale in grado di parlare anche al presente in modi e forme tutt'altro che banali, Colette è interpretata senza alcun nerbo e con scarsissima presa sul personaggio da Keira Knightley, ma è l'intero taglio dell'operazione, per quanto dignitosa sul piano della confezione, a destare più di una perplessità. Della Colette intellettuale ed "abile" scrittrice non c'è infatti praticamente traccia, la sua sessualità vorace e sfrenata e le sue relazioni con persone di ambo i sessi sono evocate con pudico pressappochismo e il film, di fatto, si concentra soprattutto sul rapporto di subalternità di Sidonie-Gabrielle (suo vero nome) con il cialtrone e meschino marito (sebbene si tratti di un legame forzato e scardinato ben presto nel segno della riscossa e della rivendicazione). Tale dimensione narrativa e tematica fa di Colette un prodotto banalmente appiattito su una parabola di empowerment femminile, chiaramente in linea col momento storico in cui è stato realizzato ma privo di reale spessore. Incapace, in definitiva, di stabilire una reale sintonia con la personalità della protagonista.
Regia: Nonostante il regista Wash Westmoreland si sia avvalso della collaborazione di Richard Glatzer (suo marito e coautore per vent'anni, scomparso nel 2015) non riesce a rendere l'importanza di questa donna, considerata dalla Francia una vera e propria risorsa nazionale. Eppure il regista aveva diretto magistralmente una splendida Julianne Moore in Still Alice dove si mostra la progressione spietata del morbo di Alzheimer in una donna scrittrice e docente universitario, facendole vincere anche l'Oscar nel 2015 come migliore attrice.
Sceneggiatura: Cadenzato nel suo evolversi narrativo secondo uno schema un po' troppo risaputo e per nulla innovativo, la pellicola non riesce mai veramente a dimostrarsi realmente interessante, costretto com'è a scivolare nella solita ripetizione di cliché decorativi un po' stantii, che l'ostentazione di un seno nudo o di un bacio saffico non riescono per nulla a scalfire né ad addivenire ad un rimedio narrativamente convincente.
Aspetto tecnico: L'affresco storico della Belle Époque parigina è studiato nel dettaglio e nel complesso risulta ben riuscito. Solo sufficiente il resto.
Cast: Si rileva un indubbio impegno da parte degli attori principali nel voler rendere più possibile coerente e credibile ognuno il proprio colorito e passionale, oltre che eccentrico, personaggio. Ma la pur volonterosa Keira Knightley sconta una sino ad ora insormontabile limitatezza espressiva che l'ha sempre un po' limitata nelle svariate performance, anche di gran livello, di cui è costellata la sua tutt'altro che banale carriera, dal canto suo il corpulento Dominic West appare sin troppo preso da incontrollata compulsività nel tentare di rendere appropriata e palpabile la malvagità e il doppio-giochismo bieco del suo controverso personaggio, rischiando in tal modo di trasformare la sua parte in una maschera manichea e sin troppo colorita, a rischio di caricatura.
Commento Finale: Non c'è pathos, non c'è sofferenza, sembra tutto dovuto, quasi fosse la protagonista una ragazzina viziata e non una scrittrice di enorme talento e una donna coraggiosa in cerca di autonomia e di identità (molto meglio Mary Shelley, anche la sua di biografia cinematografica). Il film è interessante, anche in senso storico e non solo culturale, ma è superficiale e banale, un film che mostra un po' la corda quando inizia a risparmiare sul ritmo e le psicologie, si concede aggiornati ammiccamenti al #MeToo e perde d'intensità proprio quando la brama di vivere della vera autrice della saga di "Claudine" (firmata dal coniuge sfruttatore e diventata a causa delle sue tirature persino un brand commerciale) si abbandona alle gioie lesbiche e raggiunge l'acme del successo artistico e mondano. Il ritratto resta dunque soltanto abbozzato, la figura di Colette ancora avvolta in una nube insondabile ci restituisce un'opera che si qualifica più come l'ennesima apologia della rivalsa femminile che come reale contributo per la decifrazione del personaggio.
Consigliato: Agli amanti del genere (biografico) non tanto (forse di quello storico), forse neanche ai fan della scrittrice, ma a tutti gli altri proprio no.
Voto: 5
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