Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/08/2019 Qui
Tema e genere: Film corale dall'impronta decisamente pulp, un thriller drammatico di Tarantiniana memoria.
Tema e genere: Film corale dall'impronta decisamente pulp, un thriller drammatico di Tarantiniana memoria.
Trama: Sette sconosciuti, ognuno con un segreto da seppellire, si incontrano al El Royale, un fatiscente hotel dall'oscuro passato sul lago Lahoe. Nel corso di una fatidica notte, tutti avranno un'ultima occasione di redenzione prima che tutto vada all'inferno.
Recensione: All'El Royale si può scegliere di soggiornare in California o in Nevada, dato che il motel, un tempo rifugio di gente dello spettacolo, mafiosi, politici e ricconi, si trova esattamente a metà tra i due stati e una linea rossa segna il confine nel bel mezzo della hall di ingresso. È il 1969 e qui si ritrova una strana serie di personaggi, tutti con qualche segreto, come del resto il luogo che li ospita. Un venditore di aspirapolvere dalla curiosità sospetta, un prete con problemi di memoria (un memorabile Jeff Bridges), una corista di colore in cerca del successo da solista, una hippy dai modi bruschi che si trascina dietro un sacco dal contenuto poco chiaro e un fucile. Ad accoglierli solo un giovane concierge che combatte i suoi incubi in modi poco ortodossi e che di sicuro sa più di quello che dice. A loro, più avanti, si unirà il carismatico leader di una setta (Chris Hemsworth, davvero inquietante e convincente anche lontano dai suoi ruoli di supereroi). La trama del film di Drew Goddard (un amante degli esercizi di stile e delle citazioni, come aveva già dimostrato in Quella casa nel bosco) è un complesso gioco di incastri di destino tra personaggi tutti in cerca di qualcosa e disposti a tutto per ottenerlo. L'approccio metanarrativo e sofisticato del regista, del resto, sfrutta tutti gli espedienti stilistici a disposizione (voce narrante, suddivisione in capitoli, scene che si ripetono da punti di vista differenti) per mantenere un registro che appare più ironico che drammatico a dispetto della violenza e degli orrori che ben presto iniziano a susseguirsi. L'anno in cui la vicenda si svolge (a parte un breve prologo) è il 1969 e il regista sfrutta a piene mani gli spunti della cronaca: dalle sette assassine nello stile di Charles Manson, alle cospirazioni politiche, dalle tensioni razziali e tra i sessi alla criminalità organizzata. Il tutto mescolato in un crescendo di colpi di scena, rivelazioni e morti a sorpresa dal tono sempre più truculento. Raccontare nel dettaglio la storia significherebbe prima di tutto disinnescare il gioco di intelligenza che resta alla fine il maggior pregio del film, un po' latitante invece sul piano del coinvolgimento emotivo, a dispetto del gran cast che schiera e le situazioni estreme che le backstory rivelano poco alla volta. Il film ricorda a tratti (anche nel florilegio verbale) la filmografia di Quentin Tarantino, senza mai raggiungere analoga brillantezza e forza dirompente, forse perché resta sempre il sospetto che anche i temi più sociali e politici siano più che altro un pretesto. Ciò non toglie che, una volta partito il jukebox (e la colonna sonora, complice la professione di cantante di una dei protagonisti, è davvero fenomenale), non si smetta mai di ballare, fino all'escalation finale, una resa dei conti che sfiora il patetico senza affogarci dentro e regala qualche momento di emozione vera.
In definitiva però, anche se nel complesso la pellicola svolge egregiamente il proprio dovere, raccontando in maniera originale l'America ai tempi di Nixon, la carne al fuoco è tanta (a tratti anche troppa) e qualche passaggio meno incisivo, soprattutto nella parte centrale (ma anche in altri), non manca. Tanto che seppur Bad Times at the El Royale (tutto un programma il titolo italiano, alquanto ambiguo), sia un film da vedere, sia un film riuscito, lo è con riserva, nel senso che non arriva ad essere quello a cui ambiva, ed è un peccato, perché le possibilità c'erano, ma meglio di niente.
In definitiva però, anche se nel complesso la pellicola svolge egregiamente il proprio dovere, raccontando in maniera originale l'America ai tempi di Nixon, la carne al fuoco è tanta (a tratti anche troppa) e qualche passaggio meno incisivo, soprattutto nella parte centrale (ma anche in altri), non manca. Tanto che seppur Bad Times at the El Royale (tutto un programma il titolo italiano, alquanto ambiguo), sia un film da vedere, sia un film riuscito, lo è con riserva, nel senso che non arriva ad essere quello a cui ambiva, ed è un peccato, perché le possibilità c'erano, ma meglio di niente.
Regia: La smania di scimmiottare Tarantino prende la mano al buon Drew Goddard, che ho preferito alle prese con case boschive. Il problema del film è il voler risultare a tutti i costi originale e tanto, troppo tarantiniano. Se poi ci si aggiunge una sceneggiatura (scritta sempre da lui) ricca di incertezze e forzature, non si arriva a niente di particolare. Il film poi è allungato leggermente. Però discreta la sua regia, perché sa comunque intrattenere ed ha il merito di aver scelto una location (seppur superficiale e senza uno scopo preciso) davvero particolare e suggestiva.
Sceneggiatura: Incipit non nuovo ma sempre intrigante, sviluppo gradevole, peccato per l'ultima parte che, essendo eccessivamente lunga, lascia il tempo di riflettere sulle troppe inverosimilità della vicenda. Una vicenda non esattamente limpida e solida.
Aspetto tecnico: Degne di nota le musiche, ma vabbè, non è che ci voglia molto per uno come Michael Giacchino a inventarsi motivetti in stile anni '60, o a Drew Goddard selezionare jazz e blues da quel bacino sconfinato dell'epoca d'oro di quei generi. Molto buona inoltre l'atmosfera dell'ambientazione anni '60.
Cast: In un gruppo di attori in gran forma (anche se non tutti sfruttati a dovere), spiccano Jeff Bridges, Cynthia Erivo e Chris Hemsworth, con quest'ultimo nei panni del guru di una setta che rimanda esplicitamente alla Manson Family, tuttavia Cailee Spaeny, Dakota Johnson, Jon Hamm e Lewis Pullman non fanno certamente peggio. Da segnalare anche la presenza di Xavier Dolan in un piccolo ruolo nei panni di un produttore discografico.
Cast: In un gruppo di attori in gran forma (anche se non tutti sfruttati a dovere), spiccano Jeff Bridges, Cynthia Erivo e Chris Hemsworth, con quest'ultimo nei panni del guru di una setta che rimanda esplicitamente alla Manson Family, tuttavia Cailee Spaeny, Dakota Johnson, Jon Hamm e Lewis Pullman non fanno certamente peggio. Da segnalare anche la presenza di Xavier Dolan in un piccolo ruolo nei panni di un produttore discografico.
Commento Finale: Non capisco come si possa passare da Bad Times at the El Royale a 7 Sconosciuti a El Royale, dato che alcuni personaggi si conoscono tra di loro, una cosa che fa parte delle solite traduzioni italiane che non hanno senso. A parte questo, la pellicola è affascinante e ambiziosa, ma non promette tutto quello che mantiene, perché affronta tante tematiche, mettendo tanta carne al fuoco, ma non approfondendo certe cose a dovere. Come alcuni personaggi sacrificati, anche per questione di tempo immagino, dato che la durata è di due ore e venti circa, ma soprattutto lasciati a morire senza spiegazioni. Però il film intrattiene eccome, il ritmo non gli manca, il regista Drew Goddard è uno che ci sa fare, sceneggiatore esperto di cinema e tv, ha pure diretto quella perla di commedia-horror che è Quella casa nel bosco. Bad Times at the El Royale lo vedo come un omaggio al cinema pulp, o "alla Tarantino", un buon esercizio di stile, al quale manca quel qualcosa in più che lo farebbe diventare cult, è originale ma non troppo, i sussulti ci sono ma non abbastanza (secondo i miei parametri). Malgrado ciò il voto, il mio giudizio finale, resta positivo.
Consigliato: Thriller ben confezionato, sicuramente consigliato agli amanti del genere.
Voto: 6
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