Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 00/07/2020 Qui - Denis Villeneuve è come il vino, migliora col tempo. Ha raggiunto la piena maturità con Blade Runner 2049 dopo un percorso che partito a parer mio non benissimo e in sordina (con un film sconosciuto ai più, quasi introvabile, che venne presentato alla cinquantunesima edizione del Festival di Cannes, nella categoria Un Certain Regard) si è poi rivelato di rilevante fattura, visto che questa sua prima opera, seppur già valente del suo talento, non rimane particolarmente impressa (strana, semplice e allo stesso tempo complessa, non un'opera di facile comprensione ma nemmeno di esagerata difficoltà interpretativa, eppure che non riesce personalmente a convincere). E tuttavia il trampolino perfetto per mettersi in mostra, ecco infatti poi arrivare il buon Maelstrom (simile ma diverso, intensamente bello) e Polytechnique, raggiungere grandi vette con La donna che canta, scendere un pochino, con Prisoners, rimanere all'altezza con Enemy, risalire con Sicario ed Arrival, infine arrivare sino al quasi capolavoro (a questo punto dal prossimo Dune è auspicabile aspettarsi qualcosa di grandioso). Il gran regista canadese esordisce nel lungo con questo bizzarro ma suggestivo lungometraggio, a volte buffo, a volte inquietante, dove la data improbabile del 32 agosto segna quasi una vita parallela della protagonista, che percorre nuove sensazioni e nuove consapevolezze grazie ad un incidente salvifico in grado di restituirle l'umanità perduta dall'arrivismo e dalla rincorsa cinica verso traguardi ingannevoli e di cui solo da quel momento riesce a percepirne l'inutilità, o almeno a comprenderne la natura superflua. Il film ha una regia accurata che si sofferma con classe e stile su particolari fotogenici e suggestivi, siano essi dettagli relativi alla bellezza delicata della fulva protagonista, siano invece inerenti alla suggestione prorompente e variegata del paesaggio naturale, che spazia con abilità e disinvoltura dalla purezza florida della campagna canadese, al cemento geometrico della metropoli quasi asettica, al paradiso incontaminato e quasi lunare di Salt Lake City. La pellicola si avvale inoltre di una validissima ed intensa interprete, Pascale Bussieres, anche molto seducente e di una bellezza delicata, raffinata, quasi artistica, in linea con l'eleganza schietta ma anche ricercata che fa da sfondo alla vicenda. Peccato che Un 32 août sur terre (titolo internazionale August 32nd on Earth), nonostante il suo giustificabile carattere onirico-fantastico, sia inesplicabile nei contenuti. Ha sì il pregio di non annoiare, però arriva in fondo e dici: "e quindi?". Il regista prende un po' di qua e di la, ci mette del suo, mescola il tutto e ci restituisce una commedia ricercata (e non affatto da sottovalutare) che però non piglia. Un azzardo definirlo il suo lungometraggio meno riuscito, ma personalmente è così. Voto: 5,5
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