Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - E' la storia di un batterista metal alle prese con un'improvvisa sordità che gli cambierà la vita. Uno strano piccolo film, scarno e coinvolgente. Una piacevole sorpresa. Scritto da Derek Cianfrance e diretto dall'esordiente Darius Marder, Sound of Metal è una parabola esistenzialista interamente arpeggiata sui chiaroscuri degli stati d'animo del protagonista. A qualche eccesso di dilatazione temporale fa da contrappeso un impeccabile lavoro sul suono, che restituisce pienamente la condizione di disagio di Ruben. Interessante e riuscito è infatti il tentativo di conciliare sensazioni soggettive con l'esigenza di renderle condivisibili al pubblico attraverso tecniche sonore di distorsione e sovrapposizione, un "incubo" anche per noi. Lontano da sentimentalismi, colpisce per la sua veridicità. Il regista dirige difatti un'opera prima scevra da cliché ma ricca di amore per un racconto trattato con una delicatezza unica. La presa di coscienza non è un percorso semplice e così non deve sembrare. Il dramma del protagonista, un ex tossicodipendente di buon cuore, viene analizzato senza sconti e senza patetismi, frugando fra le sue paturnie e le sue speranze di riscatto. Alla fine, a trionfare, sarà una più serena accettazione della vita con le sue svolte e i suoi cambiamenti. Il tutto narrato in modo scarno, diretto e coinvolgente. E' candidato ai Premi Oscar 2021 in sei categorie (un po' troppo parrebbero), tra cui Miglior Film, Migliore Sceneggiatura, Miglior Sonoro (l'unico che meriterebbe indubbiamente) e Miglior Attore, il protagonista Riz Ahmed in effetti è bravissimo e regge sulle sue spalle gran parte della riuscita del film (ma non sono da meno gli altri attori coinvolti in prima persona), un film forse superficiale ma bello. Voto: 7+
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mercoledì 14 aprile 2021
venerdì 17 luglio 2020
La vita in un attimo (2018)
Titolo Originale: Life Itself
Anno e Nazione: USA 2018
Genere: Drammatico, Sentimentale
Produttore: Marty Bowen, Wyck Godfrey, Aaron Ryder, Dan Fogelman
Regia: Dan Fogelman
Sceneggiatura: Dan Fogelman
Cast: Oscar Isaac, Olivia Wilde, Mandy Patinkin, Jean Smart, Olivia Cooke
Sergio Peris-Mencheta, Laia Costa, Àlex Monner, Isabel Durant
Lorenza Izzo, Annette Bening, Antonio Banderas, Samuel L. Jackson
Sergio Peris-Mencheta, Laia Costa, Àlex Monner, Isabel Durant
Lorenza Izzo, Annette Bening, Antonio Banderas, Samuel L. Jackson
Durata: 115 minuti
Oscar Isaac e Olivia Wilde in un film sul destino e l'amore.
Il quarantenne Will ricostruisce la sua travolgente love story con la moglie Abby fino al giorno della separazione.
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Sergio Peris-Mencheta
martedì 30 luglio 2019
Amiche di sangue (2017)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/07/2019 Qui
Tema e genere: Thriller psicologico che si sviluppa in quattro capitoli interpretato principalmente da Anya Taylor-Joy e Olivia Cooke.
Trama: Due adolescenti con disturbi psicologici si riavvicinano dopo anni di lontananza e assieme pianificano l'omicidio del patrigno di una delle due.
Recensione: È un film strano, Amiche di sangue, non del tutto riuscito e che non sembra aver chiaro dove andare a parare, se nella commedia nera, nella satira sociale o nel thriller, anche perché in realtà al contrario di una commedia nera qualsiasi si prende anche troppo sul serio, oltretutto il film si muove su un meccanismo già visto mille volte, che cerca di nobilitarsi con una rappresentazione asettica e un finale (relativamente) non conciliante. Però bisogna dire che l'esordiente Cory Finley sa dove piazzare la macchia da presa ed è molto preparato tecnicamente, soprattutto grazie allo stile, questa è un'opera che si guarda con grande interesse. Purtroppo tuttavia, Amiche di sangue sembra mancare di profondità nel raccontare le sue due protagoniste, personaggi per cui è molto difficile provare un minimo sindacale di simpatia, e non per la loro condizione di assoluto privilegio (sono ricche e viziate), ma perché non sono definite da altro se non i loro aspetti più evidenti e superficiali: Amanda è sociopatica e Lily è capricciosa. La colpa non è delle due attrici: la Taylor-Joy di The Witch ormai non è più né una promessa né una sorpresa, data la sua costante presenza come nuova musa del cinema indipendente e la Cooke, al contrario, rivela delle qualità recitative insospettabili, soprattutto in un ruolo per lei non consueto. Il problema è di scrittura perché, nonostante Finley sia bravissimo, nei primi minuti, a impostare un'atmosfera di aridità emotiva sotto la patina degli ambienti di lusso splendidamente fotografati in cui si muovono e tramano le due ragazze, non vuole o non può spingersi fino alle più estreme conseguenze e, così facendo, lascia che siano le due attrici a riempire i vuoti lasciati da una caratterizzazione molto, troppo leggera. Il vuoto emotivo va bene, è voluto e anche ricercato da un punto di vista stilistico, con un approccio gelido e sempre distante dai personaggi, ma al di là del cinismo, Amiche di sangue non riesce ad andare e, alla lunga, perde anche qualche colpo nel ritmo, sempre abbastanza seduto, a dire la verità, e non è necessariamente un difetto: l'impressione generale è che la storia narrata andasse bene per un corto e non avesse abbastanza forza per reggere la durata di un lungometraggio. Per esempio: tutta la vicenda legata al personaggio di Anton Yelchin non va da nessuna parte e, a parte il piacere di vederlo in un film e un paio di dialoghi azzeccati tra lui e Amanda, non ha una vera e propria ragione d'essere, se non allungare il minutaggio. Si tratta comunque di un esordio interessante e di un regista da tenere d'occhio in futuro, sperando che la prossima pellicola abbia dalla sua una sceneggiatura (scritta da lui o meno) di migliore fattura e che il tutto riesca ad avere una valenza maggiore di questa occasione invece leggermente persa.
domenica 21 luglio 2019
Ready Player One (2018)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/07/2019 Qui
Tema e genere: Film di fantascienza distopico diretto da Steven Spielberg, adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 2010 scritto da Ernest Cline.
Tema e genere: Film di fantascienza distopico diretto da Steven Spielberg, adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 2010 scritto da Ernest Cline.
Trama: In un futuro prossimo, un giovane emarginato di nome Wade Watts fugge dalla sue fatiche quotidiane accedendo a un gioco per computer chiamato Oasis. Morendo, il fondatore milionario del gioco lascia la sua fortuna come premio di una caccia al tesoro all'interno dell'Oasis. Watts prende parte così alla competizione dove si ritroverà a doversi confrontare (realmente e virtualmente) con nemici disposti a tutto pur di mettere le mani sulla fortuna.
Recensione: Avete mai sognato di salire sulla DeLorean di Ritorno al futuro, sfidare la Batmobile, il GMC dell'A-Team, fare a sportellate con Christine, la macchina infernale, sfrecciare davanti alle autovetture di "Speed Racer" e "Mad Max", mentre si è inseguiti dal T-Rex e da King Kong? In Oasis tutto è possibile. L'ultima fatica del papà di E.T. Steven Spielberg è l'adattamento cinematografico di un famoso romanzo di Ernest Cline. L'eterno Willy Wonka della pellicola made in U.S.A. ci regala un meraviglioso, immenso omaggio alla Cultura Pop che egli stesso ha contribuito a creare. Gli anni '80, i videogiochi, gli anime giapponesi, i manga, i fumetti Marvel e DC, i robottoni, i giochi di ruolo, il cinema cult e i sottogeneri sci-fi, la fantascienza, il fantasy, gli horror, i telefilm…tutto questo e molto altro ancora, dà vita a Ready Player One. Non una semplice operazione di nostalgia però, non è soltanto una caccia all'easter egg (come si chiamano in gergo tutte quelle piccole sorprese che spesso vengono disseminati in film e videogiochi), ogni elemento estraneo è infatti inserito con estrema cognizione di causa e mai lasciato al caso, per tutti e 140 i minuti del film, questo è un film vero e proprio, con una trama appassionante, sequenze esaltanti e dei personaggi che catturano sin da subito l'attenzione dello spettatore. Un film che parte con un piccolo spiegone (è anche giusto così), ma non abbiate paura, sono pochi minuti di intrattenimento prima del tripudio di luci e colori. Parte infatti Jump dei Van Halen e si dissipano i dubbi, si sta per assistere a qualcosa di epico. Si intuisce difatti subito quanto Ready Player One metterà alla prova i nostri battiti cardiaci e la nostra capacità di resistere alla potenza di uno tsunami di citazioni e riferimenti che spaziano dagli anni '70 ai '90 con un battito di ciglia o giusto il tempo di caricare un "hadoken". In tal senso Ready Player One, film diretto dal maestro Steven Spielberg, è un'opera che rappresenta nel miglior modo possibile il concetto di intrattenimento nel mondo del cinema. Il cineasta americano confeziona infatti un prodotto il cui unico scopo è far divertire lo spettatore attraverso un vero e proprio inno al citazionismo di tutto quello che era svago e divertimento nei mitici anni '80 e '90. L'opera è costruita senza critica a chi vede in Oasis l'unico modo in cui stare bene, non c'è giudizio nei confronti di chi ritiene che quello che succede nella realtà virtuale sia più importante di quello che accade nella vita reale. Anzi, la struttura narrativa è creata per comprendere questi bisogni di evasione, di leggerezza e di magia, a volte soffocati da una vita troppo dura e frenetica per permetterci di essere veramente liberi e felici (c'è infatti un umana comprensione per chi evade da una realtà priva di speranze, dove sognare è impossibile). L'impianto cinematografico è costruito per far godere lo spettatore. I protagonisti principali sono gli effetti visivi, affascinanti e suggestivi, che lasciano il pubblico in più di un'occasione con il fiato sospeso. Regia e montaggio lavorano di supporto e sono costruiti per regalare un ritmo sempre incalzante e coinvolgente: tutta la sequenza costruita nell'albergo di Shining è veramente interessante. Spielberg mantiene il lavoro su livelli costanti ed il film non subisce mai momenti di stanca, nonostante la sua importante durata (sono circa 140 minuti di proiezione). Ovviamente qualche difetto il film ce l'ha ed i principali stanno tutti nella sceneggiatura, che, forse per lasciare completamente spazio allo svago ed all'intrattenimento, tende ad essere un po' superficiale, senza approfondire mai nemmeno uno dei temi che tocca di volta in volta. Probabilmente però la scelta di creare un film che altro non è che un mega contenitore di immagini, il cui scopo è quello di affascinare lo spettatore, richiedeva questo tipo di approccio e sinceramente a chi scrive la cosa non è dispiaciuta per niente.
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martedì 19 marzo 2019
Ouija (2014)
Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2017 Qui - Ouija (Horror, Usa 2014): Banale, insulso e similmente già visto è questo horror con Olivia Cooke (Quel fantastico peggior anno della mia vita), la tavoletta Ouija è infatti spesso apparsa in molti film horror seppur senza mai essere protagonista. Per imbastirci un film sopra bisogna perciò avere molte buone idee, non è questo il caso purtroppo. Perché è sempre la solita storia (alquanto trascurabile e scialba con attori non alla grande) di fantasmi vendicativi che se la prendono con il gruppo di teenager del momento. Manca soprattutto la tensione, nei primi 30 minuti non succede praticamente nulla e negli altri molto poco. Un po' meglio quando entra in scena la sorella "pazza" (quella rompiscatole di Lin Shaye), ma tutto risulta comunque prevedibile e scialbo nonché scontato. Certo, qualche idea discreta c'è, ma la realizzazione (seppur ben confezionata e curata, ma con uno script confuso) è davvero insufficiente. Infine la recitazione (men che mediocre) e brividi (latitanti) son decisamente rivedibili per un film insulso (per tanti motivi già espressi) come questo in cui non vi è un briciolo di tensione. Pellicola (che incredibilmente ha già un sequel) da scartare quindi per l'assenza di idee e la banalità. Voto: 4,5
lunedì 18 marzo 2019
Quel fantastico peggior anno della mia vita (2015)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/07/2017 Qui - E' risaputo oramai che fare e produrre un film sulla malattia non è mai facile, solo in rare eccezioni escono buoni film, addirittura peggio è quando alla suddetta viene quasi "appiccicato" il classico dramma romantico di formazione che fa scendere di livello, soprattutto se non ottimamente argomentato, la pellicola. Non è il caso di Quel fantastico peggior anno della mia vita (Me & Earl & the Dying Girl), film del 2015 diretto da Alfonso Gomez-Rejon e basato sull'omonimo romanzo di Jesse Andrews (che ha curato anche la sceneggiatura), poiché nonostante essa va comunque ad allungare la lista di quei film appartenenti a quel filone narrativo che prende il nome di "teenager cancer movie", in cui il tema principale è appunto la malattia terminale giovanile, ormai diventata punto saldo di formazione adolescenziale in ambito letterario oltre che cinematografico, che va quindi ad aggiungersi a titoli 50 e 50 e Colpa delle stelle, lo fa però in modo intelligente e per niente banale, così da farsi posto tra questi "classici" del genere. La pellicola infatti, vincitrice del premio del pubblico e del gran premio della giuria al Sundance Film Festival 2015 (creato oltre trent'anni fa da Robert Redford e vera istituzione del cinema indipendente o "arthouse", l'unico festival personalmente interessante), grazie ad un curioso mix di commedia per teenager, con un inizio quasi demenziale, e "cancer movie", ed evitando altresì una serie di trappole, dai toni melodrammatici alla facile strada della storia d'amore, in cui invece il dramma si stempera sempre in un'ironia che blocca sul nascere la retorica, riesce a districarsi bene e a risultare convincente.
sabato 5 gennaio 2019
The Signal (2014)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/06/2016 Qui - The Signal è un fantascientifico ed enigmatico thriller statunitense del 2014 diretto da William Eubank, con protagonisti Brenton Thwaites e Laurence Fishburne. Nic, Jonah ed Haley sono tre giovanissimi hackers. Quando ricevono un messaggio da Nomad, hacker rivale che in passato ha creato loro qualche problema, decidono di seguire il segnale che egli invia loro per sfidarlo direttamente. Finiscono con il trovarsi dinanzi a una catapecchia abbandonata la cui esplorazione conduce Nic e Jonah a finire all'interno di una misteriosa base in cui viene portata anche Haley in stato di coma. I ragazzi vengono separati e Nic viene sottoposto ad uno strano interrogatorio da parte di un uomo che, come tutti gli altri nella base, è protetto da una tuta simile a quella degli astronauti. Costui dice a Nic che ciò che sta facendo è finalizzato a proteggerlo, scopriranno invece che dietro apparenti attacchi informatici si nascondo realtà ben più incomprensibili, con tanto di alieni al seguito. The Signal però, tratta di alieni in modo assai diverso e molto più raffinato della controparte commerciale. Questo è infatti un ottimo esempio di thriller fantascientifico realizzato con un budget ridotto ma perfettamente funzionante (testimonianza di come poche idee ma ben organizzate possano dar vita ad una trama imprevedibile, colpi di scena non pilotati e tanta, tanta suspense). Si tratta infatti di una pellicola che riesce veramente ad intrigare lo spettatore tenendolo attaccato alla sedia fino alla fine, riesce a sorprenderlo, risultando così molto più originale di quanto possa suggerire inizialmente. Si tratta, dunque di una pellicola originale, minimale come ambientazioni e sequenze, che provoca nello spettatore, man mano che la trama si schiude, un mix di sentimenti e sensazioni (che non lo abbandonano fino alla fine) tra la claustrofobia di un luogo dal quale è impossibile scappare e l'impotenza umana davanti alla supremazia aliena. Comunque non vi sono le solite tipologie di alieno, i "grigi" , rettiliani o gli ominidi verdi che invadono la Terra nel film di Eubank. La stessa tematica delle abduction aliene è appena accennata anche se serve da filo conduttore che unisce ogni singolo tassello della trama, trama in cui ci sono varie incongruenze nella storia che forzano l'evoluzione degli eventi verso la direzione voluta dal copione, ciò soprattutto nella parte iniziale, meno fantascientifica. In ogni caso si tratta di un thriller curato nei minimi particolari, che echeggia importanti pellicole del passato ma che riesce a distaccarsi notevolmente sia per la tematica proposta che per scelta narrativa, ovvero il modo in cui la trama è architettata e diretta.
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