Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/02/2018 Qui - Guy Ritchie è un regista che fa sempre discutere e riesce a dividere il pubblico, dai suoi esordi e fino all'ultimo Operazione U.N.C.L.E. (che a me piacque parecchio), e anche questo suo nuovo adattamento della leggenda di Re Artù ha ricevuto abbastanza critiche, da alcuni accusato addirittura di essere al limite del trash, o, più semplicemente, un polpettone. Di certo gli incassi al botteghino in perdita non gli sono stati d'aiuto, ma King Arthur: Il potere della spada (King Arthur: Legend of the Sword), avventura action del 2017, diverte e si fa molto apprezzare, anche perché lo zampino di Ritchie è evidente, tanto nei dialoghi quanto in certe zampillanti scelte registiche. Infatti il regista britannico grazie alla sua rutilante cifra stilistica fatta di un montaggio serratissimo con linee temporali sovrapposte ed intersecate tra loro, riesce a rendere la storia (tutto sommato piuttosto semplice e scontata) un intrattenimento valido, in cui la noia non fa mai capolino. Certo, questo adattamento cinematografico è molto lontano dalla storia originale, ma avvalendosi di una sceneggiatura avvincente, ricca di dettagli e dialoghi molto curati sia nel linguaggio (tipico delle storie di genere), sia nella loro forza emotiva (spesso, infatti, le battute sono dirette e accattivanti, mentre raramente sentiamo qualche banalità), il regista fa centro. Ovviamente è necessario stare al gioco, pronti a sorbirsi dialoghi ridondanti, accelerazioni furiose in contrasto con ralenti bellici in cui Ritchie si specchia, ma capito il trucchetto il divertimento è assicurato. Il regista difatti, pur affrontando un tema inflazionato e più volte rivisitato, riesce abilmente a non snaturare il proprio stile e a marchiare il prodotto con la sua indistinguibile impronta ottenendo un risultato che, seppur non entusiasmante, si può definire soddisfacente.
Giacché le invenzioni visive del regista, senza dimenticare il notevole budget, che permette svariate escursioni fantasy e un utilizzo della CGI mirata alla realizzazione di creature e scenari adatti al genere, riescono ad evitare l'effetto minestra riscaldata. Dopotutto se in agguato c'è appunto un certo Guy Ritchie le sorprese potrebbero non mancare, perché anche se sulla carta la storia aveva ben poco da dire, considerate le innumerevoli versioni raccontate nel corso degli anni, la suddetta, che seppur appare in principio un po' confusionaria, si dipana via via e ti prende, non c'è che dire, grazie non solo ad un ritmo accattivante, ma anche alla verve di un ottimo Jude Law. Certo, in alcuni passaggi non si riscontra alcuna congruenza con il mondo arturiano, d'altronde ciò che lascia l'amaro in bocca è proprio accorgersi che di per sé la storia raccontata dal regista non ha nulla a che fare con quella originale, se non qualche piccolo rimando legato a personaggi e un paio di situazioni che verranno a crearsi. Molti personaggi poi rivestono ruoli modificati e i futuri cavalieri della tavola rotonda (che qui per colpa del politically correct sono di varia razza) sono tutto fuorché paladini dai modi raffinati. Durante la visione, inoltre, lo spettatore sarà portato a chiedersi il motivo di certe scelte. Non è da intendere a livello di regia, perché lo stile del regista è davvero impeccabile e nel suo ultimo lavoro si ritrovano tutti gli elementi che lo contraddistinguono da altri registi.
Il problema è soprattutto l'assenza di alcuni personaggi fondamentali che chiunque si aspetterebbe di trovare in una pellicola dedicata a Re Artù. Alcuni di questi vengono solo citati, altri sostituiti da figure sconosciute, mentre altri ancora è come se non fossero mai esistiti. Solo la storia legata al personaggio di Arthur è l'unica costruita nei minimi particolari ed è sicuramente quella affrontata meglio in termini di regia nel lungometraggio. Sono diversi i momenti in cui Ritchie mette in luce il passato del protagonista. Questo permette di far comprendere allo spettatore tutto ciò che si cela dietro alla sua condizione e al forte legame con la spada di Excalibur e le difficoltà che una persona può incontrare nel momento in cui non ha il coraggio di scoprire cosa è accaduto nel suo passato. Stiamo parlando di un uomo che è stato abbandonato da piccolo e, quindi, è sempre stato abituato a cavarsela da solo. Il regista quindi affascina lo spettatore utilizzando tecniche registiche di grande impatto. Si lascia aiutare dall'inserimento di sogni e visioni per rendere consapevole Arthur del suo destino. Allo stesso tempo, però, la vicenda legata al suo ruolo nel mondo non è affatto banale e ha senso nel contesto, nonostante di tratti di un film di genere fantasy, soprattutto man mano che la narrazione prosegue.
La vicenda infatti, ispirata a La morte di Artù di Thomas Malory, è incentrata sul giovane Arthur (Charlie Hunnam) che vive nei vicoli di Londonium con la sua gang, all'oscuro della vita a cui è destinato fino a quando si impadronisce appunto della spada di Excalibur ed insieme a lei del suo futuro. Sfidato dal potere di Excalibur, Arthur deve compiere scelte difficili. Coinvolto nella resistenza (da Djimon Hounsou e Aidan Gillen tra gli altri) e affiancato da una misteriosa donna (una maga impersonata dalla bella Àstrid Bergès-Frisbey), deve imparare a gestire la spada, affrontare i propri demoni e unire il popolo contro il tiranno Vortigern (Jude Law), che si è impadronito della sua corona ed ha assassinato i suoi genitori, tra cui ovviamente l'Uther Pendragon impersonato da Eric Bana. Difatti in quest'ennesima versione della quale forse non si sentiva probabilmente il bisogno, il tocco leggero e molto ironico del regista e la spettacolarizzazione della storia (nonostante una certa leggerezza/superficialità della sceneggiatura stessa, che però non annoia) secondo i canoni cinematografici moderni ne fanno un prodotto gradevole. Anche perché il regista (che non rinuncia a flashback e gran ritmo) usa il meccanismo del salto temporale (ovvero torna indietro nel tempo per spiegare come sono accaduti alcuni fatti del presente e mostra in anticipo le mosse che dovrà compiere la gang per realizzare il loro scopo nel futuro) per rendere la pellicola più coinvolgente e ci riesce alla perfezione.
Dopotutto in questo caso risulta evidente che si è di fronte ad un'opera che vuole solo intrattenere, riuscendoci per buona parte, e non indurre a riflessione. Il film infatti oscilla continuamente tra racconto semi storico e mitico, con l'aspetto magico che assume un ruolo importante soltanto per materializzare gli animi dei personaggi, che però, soprattutto quelli di contorno (tra cui la bella Annabelle Wallis del buonissimo Mine), non sono tutti ben caratterizzati e risultano anche un po' piatti. Tra l'altro c'è una certa differenza tra la prima parte, ricca di scene con dialoghi a volte inutili colmati però dal serrato montaggio, ma anche di molte sequenze spassose (da ricordare quella in cui dichiara ironicamente di non avere intenzione di combattere), e la seconda, che riesce a intrattenere di più (con il pregio di non annoiare né calare di ritmo) e presenta molti momenti d'azione ben fatti (rese molto bene grazie a un uso ponderato degli ottimi effetti speciali e a una fotografia nitida), tra frecce e improvvisi scatti d'ira della spada, resi epici dalla buonissima, graffiante soundtrack di Daniel Pemberton (già ammirato anche nella precedente collaborazione con il regista). Anche per questo la pellicola è imprevedibile su molti punti di vista, seppur il finale (forse probabilmente perché nel corso della storia ci vengono rivelati troppi dettagli) scada nel banale.
Tuttavia al di là di certe esagerazioni, di certi effetti troppo fumettosi e videoludici, che comunque mi son piaciuti, essa si rivela comunque un'esperienza piacevole tenuta su da un ritmo incalzante e dalle caratteristiche tipiche del cinema "Ritchiano", con sempre efficaci e funzionali nonché bellissimi/e scenografie, ambientazioni e costumi. Di certo la qualità del film (che non è un capolavoro ma un buon film) è incrementata dagli attori (tra cui un azzeccato Eric Bana). Se è risultato molto credibile ed espressivo Charlie Hunnam (Arthur), così come tutti i personaggi secondari (nonostante molte riserve per non esser riuscito a creare un legame emotivo tra essi e il pubblico) della pellicola, piuttosto riuscito (seppur comunque non caratterizzato in maniera decisa) è invece l'odioso villain Vortigern interpretato discretamente da Jude Law. Ma non per questo in ogni caso, King Arthur: Il potere della spada, che non è tra le migliori opere del regista britannico, anche perché il film è soprattutto consigliato agli amanti dei film d'avventura, d'azione e fantasy, che apprezzeranno la concitazione della seconda parte e il fragile equilibrio tra lo speciale e il normale, può piacere a tutti. D'altronde se se il vostro desiderio è quello di essere spettatori di un film epico estremamente preciso nei dettagli e nella storia, mi sento di sconsigliarvelo, ma, se avete voglia di film dinamico, moderno e "sveglio" sono sicuro che passerete due ore molto piacevoli. Voto: 7+
La vicenda infatti, ispirata a La morte di Artù di Thomas Malory, è incentrata sul giovane Arthur (Charlie Hunnam) che vive nei vicoli di Londonium con la sua gang, all'oscuro della vita a cui è destinato fino a quando si impadronisce appunto della spada di Excalibur ed insieme a lei del suo futuro. Sfidato dal potere di Excalibur, Arthur deve compiere scelte difficili. Coinvolto nella resistenza (da Djimon Hounsou e Aidan Gillen tra gli altri) e affiancato da una misteriosa donna (una maga impersonata dalla bella Àstrid Bergès-Frisbey), deve imparare a gestire la spada, affrontare i propri demoni e unire il popolo contro il tiranno Vortigern (Jude Law), che si è impadronito della sua corona ed ha assassinato i suoi genitori, tra cui ovviamente l'Uther Pendragon impersonato da Eric Bana. Difatti in quest'ennesima versione della quale forse non si sentiva probabilmente il bisogno, il tocco leggero e molto ironico del regista e la spettacolarizzazione della storia (nonostante una certa leggerezza/superficialità della sceneggiatura stessa, che però non annoia) secondo i canoni cinematografici moderni ne fanno un prodotto gradevole. Anche perché il regista (che non rinuncia a flashback e gran ritmo) usa il meccanismo del salto temporale (ovvero torna indietro nel tempo per spiegare come sono accaduti alcuni fatti del presente e mostra in anticipo le mosse che dovrà compiere la gang per realizzare il loro scopo nel futuro) per rendere la pellicola più coinvolgente e ci riesce alla perfezione.
Dopotutto in questo caso risulta evidente che si è di fronte ad un'opera che vuole solo intrattenere, riuscendoci per buona parte, e non indurre a riflessione. Il film infatti oscilla continuamente tra racconto semi storico e mitico, con l'aspetto magico che assume un ruolo importante soltanto per materializzare gli animi dei personaggi, che però, soprattutto quelli di contorno (tra cui la bella Annabelle Wallis del buonissimo Mine), non sono tutti ben caratterizzati e risultano anche un po' piatti. Tra l'altro c'è una certa differenza tra la prima parte, ricca di scene con dialoghi a volte inutili colmati però dal serrato montaggio, ma anche di molte sequenze spassose (da ricordare quella in cui dichiara ironicamente di non avere intenzione di combattere), e la seconda, che riesce a intrattenere di più (con il pregio di non annoiare né calare di ritmo) e presenta molti momenti d'azione ben fatti (rese molto bene grazie a un uso ponderato degli ottimi effetti speciali e a una fotografia nitida), tra frecce e improvvisi scatti d'ira della spada, resi epici dalla buonissima, graffiante soundtrack di Daniel Pemberton (già ammirato anche nella precedente collaborazione con il regista). Anche per questo la pellicola è imprevedibile su molti punti di vista, seppur il finale (forse probabilmente perché nel corso della storia ci vengono rivelati troppi dettagli) scada nel banale.
Tuttavia al di là di certe esagerazioni, di certi effetti troppo fumettosi e videoludici, che comunque mi son piaciuti, essa si rivela comunque un'esperienza piacevole tenuta su da un ritmo incalzante e dalle caratteristiche tipiche del cinema "Ritchiano", con sempre efficaci e funzionali nonché bellissimi/e scenografie, ambientazioni e costumi. Di certo la qualità del film (che non è un capolavoro ma un buon film) è incrementata dagli attori (tra cui un azzeccato Eric Bana). Se è risultato molto credibile ed espressivo Charlie Hunnam (Arthur), così come tutti i personaggi secondari (nonostante molte riserve per non esser riuscito a creare un legame emotivo tra essi e il pubblico) della pellicola, piuttosto riuscito (seppur comunque non caratterizzato in maniera decisa) è invece l'odioso villain Vortigern interpretato discretamente da Jude Law. Ma non per questo in ogni caso, King Arthur: Il potere della spada, che non è tra le migliori opere del regista britannico, anche perché il film è soprattutto consigliato agli amanti dei film d'avventura, d'azione e fantasy, che apprezzeranno la concitazione della seconda parte e il fragile equilibrio tra lo speciale e il normale, può piacere a tutti. D'altronde se se il vostro desiderio è quello di essere spettatori di un film epico estremamente preciso nei dettagli e nella storia, mi sento di sconsigliarvelo, ma, se avete voglia di film dinamico, moderno e "sveglio" sono sicuro che passerete due ore molto piacevoli. Voto: 7+