martedì 7 maggio 2019

Monolith (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/02/2018 Qui - Trasposizione dell'omonimo fumetto di Roberto Recchioni e Mauro Uzzeo (anche se in realtà film e fumetto sono stati ideati in contemporanea), Monolith, film thriller del 2017 diretto da Ivan Silvestrini e interpretato da Katrina BowdenDamon Dayoub e Brandon Jones, ripropone in una veste inedita il conflitto uomo/macchina, scansionato stavolta, ma soprattutto, dall'angolazione ipertecnologica. Il film infatti, breve, realizzato negli Usa con (pochi) attori americani, ma che dal punto di vista produttivo e creativo è completamente italiano, un po' come il buonissimo Mine di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, dato che qui, come anche lì c'era e c'è per lunghi tratti un solo personaggio/attore sulla scena, che combatte con pericoli naturali e non, altresì assalito da allucinazioni varie, ci parla di una donna e il suo bambino, dentro un'avveniristica auto super accessoriata, blindata e a prova di ogni pericolo, che si ritrovano (e in mezzo a una strada deserta) impensabilmente in una situazione di grave pericolo, il bambino difatti rimane intrappolato all'interno di essa e toccherà alla sua mamma, e con tutte le sue forze e possibilità (e vicissitudini di varia natura), liberarlo, ma non sarà per niente semplice. Ma mentre in Mine c'era tanta carne al fuoco, che miscelata in modo abbastanza perfetto produsse un buon mix, in questo Monolith non tutto funziona a dovere. Le differenze difatti sono molte, anche perché il film, si riduce al concept dell'auto del futuro pericolosa e del bambino che ne è prigioniero, uno spunto molto "stiracchiato" che a tratti fa parere lungo un film che non raggiunge l'ora e mezza. Inoltre la riflessione sul dominio della macchina sull'uomo, aggiunge poco a quanto già raccontato dal cinema.
Giacché Monolith, che all'inizio sembra una variazione del multiverso di Black Mirror, con mamma e figlio a dialogare con Lilith, l'assistente vocale di guida, un misto tra Siri e Kitt di Supercar, con cui è intuibile profetizzare dei sviluppi interessanti, che purtroppo non ci saranno, che tratta di una materia decisamente accattivante e attualissima, considerata l'ampia profusione di dispositivi elettronici (dai sistemi di guida assistita a quella autonoma) divenuti ormai gadget indispensabili sulle auto di serie di qualsiasi segmento, che indirettamente (poiché in questo caso il pargolo non è stato dimenticato nel veicolo) si ricollega ad alcuni tragici eventi di cronaca piuttosto recenti dove incauti genitori si sono scordati il figlio nell'auto chiusa sotto il sole di un'estate infuocata, che nonostante il soggetto del film, abbastanza originale nel panorama dei car-thriller, anche se diversamente e non eccellentemente successe con tante famose macchine infernali e diaboliche di cui il cinema è quasi pieno, tra gli ultimi la macchina a sangue del grottesco e sorprendente Blood Drive, anche avendo a disposizione tutti gli ingredienti giusti, non convince fino in fondo, e il risultato finale può quindi non essere all'altezza delle previsioni. Tuttavia il film, seppur con qualche pecca nella sceneggiatura (soprattutto nel forzato finale), risulta nel suo insieme godibile e ben girato. La pellicola infatti, malgrado i suoi difetti, nel complesso è efficace e godibile, e riesce a coinvolgere. Certo però non credibile fino in fondo, palesandosi così come un'occasione mancata.
L'idea di fondo difatti, seppur innovativa sotto certi punti di vista, non viene sfruttata a dovere. Dovrebbe essere un thriller drammatico, ma del genere (se non l'intensa drammaticità di alcuni momenti) si vede ben poco. Infatti si tende a dare poco spazio alle scene più salienti, quelle che dovrebbero incutere paura e mettere tensione, privilegiando invece il lato umano del racconto, una madre disperata per la molto probabile perdita di suo figlio. Cosa che comunque in verità viene affrontata adeguatamente dal regista, il quale fa grande uso di primi piani incisivi e campi completi per rendere al meglio l'intensità del momento e lo stato d'animo di Sandra, la protagonista, ma quello che non viene affrontato discretamente è invece l'altro tema di fondo, la tecnologia e i suoi pericoli (argomento in ogni caso solo "richiamato" e mai approfondito), che vengono però esageratamente messe in scena dal regista, che non sempre riesce (e in un modo non sempre incisivo, appassionante o interessante) a far riflettere lo spettatore. Spettatore che di fronte si ritrova altresì ad alcune dinamiche alquanto discutibili, seppur questo è comunque il classico film in cui le forzature e le assurdità della sceneggiatura fanno gioco al proseguimento della pellicola, che altrimenti andrebbe in stallo dopo 10 minuti, e quindi mi sembra alquanto sciocco farle notare, dato che è proprio il genere di questi film che le richiede.
Tuttavia, e allo stesso tempo, e come detto, il film è in grado di coinvolgere emotivamente chi guarda. Il film infatti, grazie anche al ritmo, decisamente lento all'inizio, ma che diventa (man mano che la storia prende vita) sempre più incalzante, grazie ad uno dei veri protagonisti del film, ovvero il paesaggio mozzafiato ottimamente fotografato, e grazie ad una suggestiva (ma non eccezionale) colonna sonora, non solo per la sua capacità di esprimere indirettamente le emozioni provate dalla protagonista, ma anche per il modo in cui la viene usata, poiché si assiste ad un crescendo del volume, tanto da mettere in secondo piano tutti gli altri aspetti della trama (compresi gli attori), ed anche nei momenti più problematici, si fa apprezzare lo stesso per il coraggio dell'impresa, che si inserisce in un filone di recenti produzioni italiane che tentano di rinnovare il nostro cinema giocando sui "generi" (qui siamo dalle parti del thriller/action futuribile) e con storie internazionali, anche con onesti B movie, come questo potrebbe essere archiviato con benevolenza. Perché anche se il film ha troppe inverosimiglianze, e i soliloqui di Sandra, o i suoi rari dialoghi al telefono o con il figlio (che non la capisce e che piange in continuazione, risultando addirittura a volte fastidioso) non hanno mai spessore, lo stesso l'attenzione riesce in qualche modo a tenerla ugualmente.
Non certo grazie alla sceneggiatura poco solida e alcune inefficaci scelte registiche di Ivan Silvestrini (il flashback "futuro" per esempio), anche perché seppur da una parte Katrina Bowden, l'unica cosa davvero b(u)ona del pessimo horror Nurse (su cui forse è meglio sorvolare), da grande prova di sé nelle scene di forte impatto emotivo, riuscendo a convivere il pubblico e a permettergli di mettersi nei suoi panni, dall'altra l'attrice è risultata, proprio per i motivi prima citati, meno credibile nelle parti dove sono presenti appunto dei dialoghi (pochi). Lei infatti, nonostante le sue indubbie qualità recitative, è "esagerata" in alcune situazioni e talvolta appare addirittura finta. Per il resto invece (e come detto), il film è girato bene e risulta più che vedibile, essendo inoltre abbastanza originale. Purtroppo però scarseggia un po' come idee, soprattutto nel finale piuttosto imbarazzante, con l'uso esagerato degli effetti speciali. Senza dimenticare un doppiaggio abbastanza scadente, soprattutto del bambino (che in verità sono due gemelli) e la recitazione debole di tutti gli altri protagonisti. Ed è un peccato, perché anche se salvo questo film dalla bocciatura (merito soprattutto dei paesaggi e protagonista mozzafiato, asserviti ad un survival sufficiente ed onesto, con tanto di morale e monito sul rapporto tra uomo e, a volte inutile ed esasperata, tecnologia), spero che il regista abbia a disposizione storie e sceneggiature più robuste in futuro, dopo questo tentativo più intrigante per l'idea di partenza che per il suo esito complessivo. Voto: 6+