domenica 10 febbraio 2019

Le belve (2012)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/11/2016 Qui - A metà tra il thriller appassionato e il western contemporaneo, Le belve (Savages), film del 2012 diretto da Oliver Stone, basato sull'omonimo romanzo di Don Winslow, risulta un coinvolgente e piacevole spettacolo d'intrattenimento, ma nel complesso una pellicola troppo banale e pasticciata. Il 'ritorno' del regista coincide con un film dai toni più 'spensierati' e con storie di narcotrafficanti, agenti corrotti, sparatorie, sangue e belle donne, non proprio il massimo. Ma anche se non tutto è convincente e perfettamente riuscito, si può comunque apprezzare (almeno sufficientemente) il suo lato adrenalinico, avvincente e godibile. L'opera infatti, è ineccepibile, montaggio dinamico e vivace, fotografia accaldata e iperrealista, dialoghi surreali, ritratto di tanti personaggi diversi tra loro (molto sfaccettati, seppur poco credibili), estetica patinata e attenta ai dettagli, cast molto efficace. Tuttavia, i pregi vengono presto offuscati dai rilevanti difetti. Partendo da l'improbabile plot, dove troviamo a Laguna Beach, nel sud della California, due amici, un imprenditore buddista (Aaron Taylor-Johnson, discreto attore, quest'anno al suo terzo 'incontro' dopo Godzilla e Avengers: Age of Ultron) e un ex marine (Taylor Kitsch, anch'esso visto e piaciuto nella seconda stagione di True Detective e in Lone Survivor), che mettono in piedi la più grande piantagione di marijuana degli Stati Uniti. Ma oltre all'attività, i due condividono anche l'interesse e l'amore per la bella (anzi bellissima e sensuale) Ophelia (Blake Lively) e hanno il sostegno di un poliziotto corrotto (John Travolta, decisamente più in parte che ne Io sono vendetta) ma l'impresa è presto messa in discussione dall'interesse dei narcotrafficanti messicani, con a capo la spietata Elena (Salma Hayek), inseparabile dal suo braccio destro Lado (Benicio Del Toro). Faranno perciò di tutto per salvare il salvabile, ma soprattutto la fanciulla che verrà 'inspiegabilmente' rapita.
Come detto in precedenza Le belve, è pieno di difetti, ma è un'opera trascinante, che incatena l'attenzione dello spettatore. Iniziamo dai difetti, dagli squilibri. Prima di tutto, tutta la narrazione pecca di inverosimiglianza, infatti stonano sia per una certa incoerenza di fondo quando retorica e moralismo vanno a cozzare col cinismo del racconto, sia per la forzatura pretenziosa di certi argomenti riguardanti l'attualità. Non giova nemmeno l'aver esagerato troppo in ironie, sequenze d'azione e violenza, a tratti mal sposati tra loro, che in più punti hanno fatto scadere l'opera nella farsa più efferata ed insipida. Anche il rapporto "a tre" tra i due protagonisti con O (che costituisce il motore di tutta la vicenda) appare fortemente improbabile anche se funzionale. Infine, il doppio finale, che tra l'altro fuorvia lo spettatore in modo subdolo e scorretto (la pecca maggiore del film), proposto (entrambe le soluzioni mi sono apparse di maniera e poco efficaci) è un escamotage che non aggiunge nulla alla narrazione, anzi la rende più pasticciata e poco onesta nei confronti dello spettatore. Tuttavia, nonostante questi limiti pesanti, che incidono sulla carne viva del film, ho trovato la pellicola avvincente e molto intensa. Le belve è un film a tratti insolito, viaggia su due diversi piani, quello dell'opera d'autore e quello del film che si può considerare come il compitino fatto bene di un regista la cui capacità tecnica è indubbia. E' ovviamente e sfacciatamente il cinema delle provocazioni e delle tinte forti, colorito ed enfatico, ridondante e dallo stile concitato, quello dai nobili e sinceri intenti civili. Tutto questo è riproposto abbastanza efficacemente in questa pellicola, soltanto non al suo solito livello. L'estetica della violenza (che "Le Belve" profonde a piene mani, recuperando un approccio che pare mutuato dai film di Tarantino) pare funzionale a questa tesi, peccato che questa tesi, oltre ad essere moralmente ambigua, sia sostanzialmente falsa e 'scotomizzi' i rapporti di forza reali, oltre alla coesistenza conflittuale delle pulsioni aggressive e oblative dentro ciascuno di noi. Comunque, anche in una pellicola 'disimpegnata' e di genere come questa, Stone non tralascia di toccare i suoi abituali temi socio-politici, fatto che si apprezza ma non tantissimo. In sostanza siamo di fronte ad un thriller ben fatto, in cui l'impronta di Stone è evidente, sia nelle ambientazioni e nella violenza di certe situazione che nell'aspetto tecnico in cui domina soprattutto il classico montaggio frenetico dei film del regista, ma la pretesa iniziale, unita ad un doppio finale gestito sicuramente non nel migliore dei modi e appesantito da una voce-off a tratti fastidiosa (che torna spesso anche durante tutto il film) rende il tutto un po' meno fluido e godibile di quanto ci si aspetterebbe. Diciamo che Oliver Stone aveva la possibilità di creare qualcosa di veramente autoriale, ma si è accontentato di realizzare il classico compitino ben fatto. Un compitino che grazie all'incredibile cast, tutti discreti ed efficaci, è comunque da vedere, anche solo per ammirare la meravigliosa Blake Lively, qui bomba sexy (sempre di più anche se prima di Adaline: l'eterna giovinezza), al pari dell'esuberante Salma Hayek (meglio che ne Il fidanzato di mia sorella). Senza dimenticare un fantastico Benicio del Toro (ugualmente eccezionale come in Sicario), Travolta e tutti gli altri, tra cui alcuni attori messicani molto attivi cinematograficamente parlando, abbastanza bravi. In definitiva film intrigante e interessante, bello ma non eccezionale, e soprattutto non così violento e neanche tanto imperdibile. Voto: 6,5