mercoledì 6 marzo 2019

The Hateful Eight (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/02/2017 Qui - Il fattore più sorprendente del cinema di Quentin Tarantino è la sua capacità di mettere in scena, con estrema e ammirabile originalità, delle tipologie di trame sostanzialmente vecchie e ormai standardizzate in 120 anni di vita della settima arte. La vicenda che ci presenta in questo suo ottavo lungometraggio, intitolato The Hateful Eight (2015, visto in anteprima su Sky grazie ad Extra ma andrà comunque in onda stasera 6 febbraio 2017 su Sky Cinema Uno e sul canale speciale Hits dedicato a Tarantino) è difatti un retaggio e un mescolamento di strutture narrative e archetipi che già sono stati portati sul grande schermo in passato da altri registi, niente di così nuovo e sensazionale quindi se analizziamo la grammatica del film o se studiamo le strutture soggiacenti che ne plasmano la forma e danno vita ai contenuti. Ma questo suo ispirarsi a altre pellicole va oltre la citazione (e l'autocitazione) fine a se stessa, Tarantino infatti sa bene come utilizzare il cinema che più ama, sa rimescolare tra loro le varie situazioni e le singole trame, sfornando sempre un prodotto nuovo e dall'aspetto accattivante. Lo aveva fatto in passato e lo ha fatto ancora adesso in questo splendido western che va di diritto a collocarsi tra le più belle pellicole che abbia mai girato, anche se non a livello degli altri suoi capolavori. E nel giocare a mescolare tra loro i vari ingredienti, Tarantino riesce così a generare una creatura del tutto particolare, a fondare addirittura un nuovo genere, essa si traveste da Western, ma di quel preciso cinema non porta che l'estetica ed i suoni, la musica del maestro Ennio Morricone (vincitore per di un Premio Oscar più che meritato) e qualche riferimento storico piazzato accuratamente nei momenti opportuni. La storia degli 8 protagonisti è un thriller in tutto e per tutto, che prende forma sequenza dopo sequenza fino a palesarsi come tale una volta che la vicenda giunge ad una precisa maturazione e tocca le vette più alte di pathos. Il film si apre benissimo con un lungo piano sequenza accompagnato dalla superba colonna sonora di Morricone, che fa già presagire le atmosfere horror\thriller che ci aspettano. Poi si prosegue con una serie di dialoghi, forse un po' prolissi (che capisco possano stancare un po'), tra i primi quattro protagonisti, durante i quali vengono chiariti fatti e relazioni che diverranno poi essenziali per il resto del film. Finalmente si arriva al vero cuore pulsante del film, l'emporio di Minnie (probabilmente un nome "disneyano" non a caso), in cui si svolgerà tutto il resto del film, dove un cacciatore di taglie sta portando la sua prigioniera a Red Rock per consegnarla alla giustizia ma dove all'interno della locanda stessa trova degli strani individui e sente lo strano sentore che nessuno è chi dice di essere, e da qui in poi sarà paranoia e suspense costante, fino allo scoppiettante e violentissimo finale che ci ripaga della lunga attesa (per la cronaca è persino più violento di quanto prevedessi, e più "divertente", sono sicuro che Tarantino era euforico mentre lo girava).
Sono pellicole sempre dotate di un fascino grottesco ed al contempo realistico, quelle di Tarantino, un uomo che, a suo dire, si è fatto strada nella settima arte per conto proprio, non studiandola in accademia, ma vivendola sul campo ed amandola fino all'inverosimile, osservando attentamente le pellicole altrui, fino ad arrivare a mettere la firma su veri e propri capolavori che si sono fatti apprezzare dalla maggior parte dei critici e degli spettatori. Dopotutto, se è vero che nessun grande artista inventa, ma che tutti rubano un po' di qua ed un po' di là, è possibile, con poco, convincersi che Quentin sia il più abile e letale dei ladri ed il cineasta che più deve a chi l'ha plasmato fino al midollo, grazie al quale è riuscito a creare storie che, a distanza di tempo, facciamo fatica a dimenticare, vuoi per le particolari sceneggiature cariche di forza o per i dialoghi brillanti, capaci di far breccia nell'immaginario collettivo con l'ausilio di particolari espressione, o per la regia da una parte piena di brio e dall'altra ferma su quelli che sono i capisaldi della tecnica cinematografica per eccellenza. Ma Tarantino è questo e molto altro, un cocktail ben amalgamato di genio e follia, innovazione e citazione, elegante e caotico, serio e divertente, insomma, un fenomeno pop ed allo stesso tempo un archeologo di un Cinema che molti oggi hanno dimenticato o non hanno mai avuto la fortuna di vedere per innumerevoli motivi. Eppure, dietro ad una giostra complessa di personaggi incredibilmente variegati, come quelli da lui creati per The Hateful Height, che se le dicono e se le fanno di tutti i colori nelle quasi tre ore necessarie ad arrivare ai titoli di coda, mai si ha il sentore che quello a cui siamo messi davanti sia una pellicola pacchiana, stucchevole, fredda o pretenziosa. Poiché con questo suo ottavo film Tarantino esprime tutto sé stesso e la sua idea di cinema, in tutto questo poi c'è il suo tocco visivo che è specificamente e volutamente 'pulp', crudo, sanguinoso e quello letterario, con dialoghi lunghi, a tratti estranianti, forse addirittura surreali, ma graffianti e divertenti. Non manca infine una certa dose di autocompiacimento verso il finale che ci appare più prolisso del necessario e dove il regista insiste su un lessico decisamente e marcatamente cruento e folle, come a voler rimarcare la cifra stilistica che meglio lo caratterizza. Ciò che più si evince da The Hateful Eight quindi è che Tarantino si diverte come un matto a fare cinema, attinge ispirazione dalle idee altrui e le mescola con le sue, con il proprio stile, con la propria fantasia e quello che ne viene fuori è un qualcosa di così personale che può appartenere solo a lui e a quelli che hanno visto e vedranno.
E senza nessun'ombra di dubbio perciò questo film rientra tra le opere migliore di Tarantino, ottima regia, pochi ma impeccabili attori (il cast d'altronde è perfetto, come al solito con questo regista, unica pecca forse Tatum, non tanto Tarantiniano secondo me, con Samuel L. Jackson che si meritava almeno la nomination all'oscar, anche se almeno uno, la Leigh è stata, meritatamente nominata) e una sceneggiatura molto originale. Proprio la sceneggiatura è il vero cardine su cui si regge tutto, molto verbosa, ma mai gratuita, in cui tutto ha un suo perché (per l'inciso anche questa si meritava la candidatura). In The Hateful Eight abbiamo un "ritorno alle origini", quel tocco quasi magico di Tarantino che ti proietta nei panni dei personaggi nel bel mezzo della trama tralasciando gli avvenimenti precedenti, i quali vengono poi raccontati man mano che si prosegue con la visione, questo può sembrare un punto di vista superficiale, ma Tarantino riesce nel suo intento in modo deciso e sicuro rendendo la visione del film un vero e proprio piacere, nonostante l'ambientazione composta praticamente da una sola stanza, qualunque regista si sarebbe trovato in difficoltà a girare un film di circa 3 ore ambientato una capanna e rendere il prodotto finale sufficiente per la critica, ma per Tarantino no, ha studiato tutto nei minimi dettagli, come in tutte le sue opere, e ha trasformato una stanza in meraviglioso film. Nella grande stanza in cui è ambientato il film vengono usate al meglio le luci che rendendo tutto ben visibile (anche se la fotografia è cupa e volutamente spenta), la regia è ottima e la colonna sonora come al solito straordinaria (qui di più). Un soggetto semplice che racconta tutto il film, questa è difatti la grandezza di Quentin Tarantino che sviluppa su una storia che si riassume in poche righe un racconto avvincente raccontandolo con la maestria e la cura nei dettagli che gli conosciamo. Il risultato è per forza di cose un film di grande intrattenimento, intelligente e di grande qualità, ricreando in modo sapiente una storia allo stesso tempo improbabile e assolutamente convincente, compiendo in pieno quella che è la magia del cinema. Ricorre, tra gli altri, il tema razziale, il percorso della difficile integrazione tra bianchi e neri che seppure a buon punto non è del tutto completato.
In fondo di cosa parla questa storia incentrata su 8 sfortunati sconosciuti costretti a passare qualche giorno insieme in una catapecchia di montagna? E' un affresco crudele dell'America, messo in luce anche attraverso l'uso di metafore sessuali e di giochi di potere esercitati con l'opportunismo giusto, un plastico vecchio di due secoli in miniatura spietato, ove ogni componente agisce e si immedesima in una precisa realtà che, da intenti nobili e ideali degni di memoria, finisce nel trasformarsi in una civiltà che lascia sempre più se stessa alle spalle, diventando l'ombra di quello che era stata un tempo, dimenticandosi di coloro che l'hanno costruita per renderla migliore, quegli idoli che gli U.S.A. hanno celebrato per poi distruggere immediatamente dopo la loro caduta. Distante centinaia di secoli da quella sfumatura on-the-road che stava al centro di Django Unchained (per me il più bello insieme a Bastardi senza Gloria), The Hateful Eight regala allo spettatore una visione originale e straordinariamente appagante, sorretta da un ritmo sostenuto che offre continui momenti di riflessione da affiancare a (poche) sequenze ricche di azione o tensione, tutte unite da una storia che, se seguita grazie alla brillante sceneggiatura, riesce a tenere saldo l'interesse sotto ogni punto di vista per tutto il suo percorso. Siamo lontani anni luce da quelli che erano i toni del primo Kill Bill o da quella sfrenata animosità tipica di Django Unchained, mentre è facile accostare l'ultima fatica di Tarantino ad i suoi lavori un po' più intimi e elaborati, quali Kill Bill Vol. 2 o Le Iene, ove, in tal caso, molti sono i parallelismi tra le due produzioni. The Hateful Eight, è un lento processo di consapevolezza e un testamento a dir poco personale che Tarantino realizza in nome di tutto ciò che crede. E' una critica al suo paese, è un elogio alla propria terra natale, è un omaggio al cinema (riscontrabile anche grazie ad un preciso uso di telecamere e fotografia), è un atto d'amore al Western e a quelle leggende viventi che lui ha amato (non sono casuali il coinvolgimento di Morricone o i costumi che in alcuni frangenti ricordano quelli di Il Buono, il Brutto, Il Cattivo), il tutto è un vero e grande momento di Cinema che non capita, purtroppo, spesso di vedere. The Hateful Eight non sarà e non è stato, probabilmente, idolatrato quanto gli altri lavori del regista, ma resterà un film importante, di cui se ne sentirà il peso negli anni avvenire, destinato a non far divertire lo spettatore a suon di sparatorie o volgarità, ma a farlo ragionare con l'ausilio dell'intreccio del racconto di cui si fa portavoce. Un giallo intellettuale godibile, in salsa western, attuale, che parla di persone buone e dannate, uomini e donne, che vanno avanti sul patibolo della morte, laddove ogni speranza è perduta e ogni segno di civiltà dimenticato. A me è piaciuto dall'inizio alla fine, nonostante sia molto meno "commerciale" dei due precedenti e, come già detto molto più personale, lungo e bloccato. Forse è stato proprio la somma di questi aspetti che lo ha penalizzato un po' troppo in termini di godibilità al grande pubblico e quindi di incassi (anche se ampiamente in attivo visti i costi relativamente bassi). Non è assolutamente un film per tutti i gusti, anche se una visione la merita sicuramente. In ogni caso, attendo con ansia il nono, e spero non penultimo, (capo)lavoro. Voto: 8