Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2016 Qui - Di questi tempi fare un film sul pugilato significa, ormai, accettare di cadere inevitabilmente nel "già visto", tanto più nello script di pura fiction, troppo iconiche e indimenticabili restano ancor oggi le gesta dei vari Rocky, Toro Scatenato, Alì, Cinderella Man e l'ultimo Creed, ect, che risulta davvero difficile riuscire a scrivere una pagina veramente nuova di questa tipologia di film. Ma l'abilità di partenza di Southpaw: L'ultima sfida (Southpaw), film del 2015 diretto e prodotto da Antoine Fuqua, con protagonista Jake Gyllenhaal, se vogliamo, è proprio la scelta di non cercare alcun tipo di confronto con questi cult, mantenendo una costante umiltà di fondo che lo direziona sì verso caratteri prevedibili e masticati (a tratti pure semplicistici) ma nel contempo lo dimensiona a prodotto di genere più che commestibile, testosteronico e drammatico, emozionante e scorrevole, per un risultato non eccezionale ma più che dignitoso. Perché senza cadere nella presunzione di voler scrivere qualcosa di nuovo, Southpaw tiene fede ai caratteri che hanno fatto la fortuna del boxe-movie, regalando due ore di buon cinema, il cui scopo primario resta l'intrattenimento, coniugato però ad una valida dose di profondità, conferita dalla qualità dei suoi interpreti. La storia non brilla per originalità, certo (poiché già di per sé il progetto di un film sulla boxe e sul riscatto di un pugile dalle stalle alle stelle si presenta irto di difficoltà sul fronte originalità), ma quali sono i grandi film che possono davvero definirsi completamente originali? Il gladiatore, Braveheart, 300? la verità è che la differenza la fanno molto spesso gli attori e la sceneggiatura, che in questo caso funzionano alla grande. La sceneggiatura infatti, nonostante non sono come la regia da Oscar, riesce a far viaggiare le emozioni sui volti di tutti i protagonisti, e dallo schermo agli spettatori, in modo genuinamente emozionante proprio grazie alla storia semplice, che anche se già raccontata più volte al cinema (che è pieno di pugili famosi) con altri copioni identici, riesce sia a rendersi efficace, che ad intrattenermi fino alla fine facendomi affezionare ai personaggi, cosa che solo pochi film riescono a fare.
In ogni caso, la trama, che come ovvio non è del tutto originale come già ampliamente ripetuto, parla di questo pugile professionista, Billy 'The Great' Hope (Jake Gyllenhaal), campione imbattuto dei pesi massimi, che al suo massimo della fortuna sportiva, familiare ed economica deve far fronte ad un tragico incidente, un incidente che gli uccide la sua bellissima moglie (la meravigliosa Rachel McAdams) e rovina per sempre i suoi giorni, costringendolo a una vita dominata dall'abuso di alcol e farmaci (e ci credo, se fosse successo a me avrei spaccato tutto, perdere una moglie, e che moglie, in quel modo assurdo poi avrebbe depresso chiunque). Deciso a rispettare le volontà di lei che ha provato a convincerlo fino all'ultimo che tutto quello che lui faceva non era fatto per durare e che doveva abbandonare la boxe, cerca di abbandonare la scena, ma con il rischio concreto di perdere sua figlia (affidata temporaneamente ai servizi sociali, cosa che da orfano non gli va giù) sceglie di ripartire da zero (affrontando a testa alta i propri demoni personali e capire che il suo più temibile avversario è se stesso) con l'obiettivo (anche grazie all'incontro con Tick, Forest Whitaker, ex pugile che decide di prenderlo sotto la sua ala protettiva e di riportarlo nei giri che contano per permettergli di riottenere indietro la custodia della figlia e la fulgida carriera) di tornare sul ring e sfidare il pugile colombiano Escobar (Miguel Gomez, il 'Gus' di The Strain), colui che ha provocato la rissa che è costata la vita alla sua dolce metà. E anche se il finale sarà più o meno scontato questo è proprio un gran film, nulla di meno. Un film davvero ottimo che commuove ed emoziona sin dall'inizio della pellicola anche grazie al regista Fuqua, che ci regala un film comunque assolutamente lineare e che non sorprende nemmeno un po' lo spettatore in tutto il suo svolgimento, ma reso molto più realistico di quanto si possa pensare, anche se lontano ugualmente dall'essere verosimile (ma questo fa parte del genere), però pienamente aderente alla dimensione cinematografica, poiché il regista, abituato all'action/thriller crudo e sporco, e qui in effetti non cambia (più di tanto) registro, dato che mostra una boxe violenta e spettacolare, riesce a farsi apprezzare, d'altronde i suoi film non sono certamente il massimo, ma discretamente interessanti, a partire da The Equalizer: Il vendicatore con Denzel Washington, senza dimenticare gli altri, Attacco al potere: Olympus Has Fallen, Brooklyn's Finest, Shooter, King Arthur, pellicole buone e ottimamente sceneggiate.
Ma le vere frecce all'arco della pellicola sono due, la prima è rappresentata senza dubbio dalle ottime riprese specialmente durante il tanto sospirato match finale, la seconda, le strepitose interpretazioni degli attori. Southpaw infatti è soprattutto film di interpretazioni, film trascinato dalla furia immatura prima e dalla fame di riscatto poi del protagonista Billy Hope, interpretato da un ottimo Jake Gyllenhaal muscolarmente trasformato, autore di una performance tanto fisica quanto psichica, coadiuvato dalla classe saggistica di Forest Whitaker, la cui prestazione ha un peso tutt'altro che trascurabile ai fini del risultato (decisamente meglio che in Taken 3), senza dimenticare il contributo (e che contributo) femminile di Rachel McAdams. I due difatti, con le loro strazianti performance, fanno funzionare la pellicola che trova un Gyllenhal in forma strepitosa e perfetto nel calarsi nel ruolo del pugile così come lo è Whitaker a calarsi in quello dell'allenatore-filosofo in stile Million Dollar Baby. Il buon Jake infatti è davvero un grandissimo attore, attore specializzato in cult, da Donnie Darko a The Day After Tomorrow: L'alba del giorno dopo, da Prince of Persia: Le sabbie del tempo (che a me è piaciuto tantissimo dato che al gioco ho giocato spesso e a tutti i capitoli) a Lo sciacallo: Nightcrawler, ultimo suo film visto, e che film, bello e intrigante nonché eccezionale. Comunque forse si potevano caratterizzare meglio alcuni personaggi, come la figlia Oona Laurence (Leila Hope) che non mi ha convito (eccessivamente lunatica senza spiegarne i motivi, inizialmente) anche se meritevole e in parte, e quello di 50 cent, ridotto al cliché di manager senza scrupoli. Infine nonostante un po' di sentimentalismo di troppo (comunque commovente ed emozionante) e una buona (buonissima e azzeccata) colonna sonora rap insieme a un quarto d'ora di buona (e bella) McAdams (ma anche straordinariamente brava in True Detective prima e La Spia: A most wanted man dopo), che insieme sicuramente non danno come risultato il miglior film di boxe mai visto, è però un'opera che senza timore di essere smentito posso definire onesta. Un'opera che ricalcando le orme di Rocky (diversi gli omaggi/citazioni più o meno voluti), riesce a farsi apprezzare per performance e spettacolo, confermando la rinata vitalità del genere. Un genere a cui si aggiunge questo film, allo stesso modo di altri, bello, interessante nonché intenso e potente. Voto: 7