sabato 2 marzo 2019

Franny (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/02/2017 Qui - Franny (The Benefactor), film indipendente del 2015 scritto e diretto da Andrew Renzi, si basa essenzialmente su un segreto inconfessabile, peccato che questo sia solo un piccolo pretesto del film, dato che così inconfessabile non è. Il film infatti racconta di un milionario filantropico, Franny (Richard Gere), sopra le righe, senza famiglia, né lavoro, che sentendosi responsabile di qualcosa che non ha fatto volontariamente (la tragica scomparsa dei suoi più cari amici avvenuta in un'incidente automobilistico) è convinto di poter alleviare il suo senso di colpa (nei confronti della figlia della coppia di amici a cui però non interessa addossare colpe che lui non ha) con i soldi e la morfina. E quando dopo cinque anni, Olivia (Dakota Fanning) ritorna nella sua vita, per non perdere anche lei, è costretto a mettere a nudo il suo dolore e le sue debolezze. E per fare ciò si immischia nella vita di lei e del suo marito, nel tentativo di rivivere il suo passato, regalandogli case e attenzioni che loro non vogliono, mentre lui dipendente dalla morfina finisce in un vortice allucinato. Franny, opera prima del regista esordiente Renzi (un cognome una garanzia..), è un'opera confusionaria, spacciata come dramma psicologico, poiché ci sono evidenti falle nella sceneggiatura, falle che diventano voragini, tante domande e nessuna risposta. Franny può quindi definirsi un film introspettivo drammatico non riuscito. Lo spettatore infatti è portato a vivere il dramma ed i sensi di colpa del protagonista ma allo stesso tempo ne resta escluso.
Il film non ne approfondisce l'essenza, non spiega perché il legame tra Franny ed i genitori di Dakota Fanning era così intenso, al punto da aver provocato un dolore così grande, ma si limita semplicemente a proiettare dei flash back di quello che era. Il resto viene lasciato ad un'immaginazione non a sufficienza stimolata. La pellicola così si limita ad essere pura narrazione ed invita a prendere atto di quello che i personaggi vivono, anziché a sentire ed a comprende nel profondo la sofferenza del protagonista. Insomma film, certamente dai buoni sentimenti, ma nulla di più, in quanto la trama risulta assai banale e quasi scontata, piena di luoghi comuni, con dialoghi privi di spessore, di flashback didascalici, di primi piani obbligati, di una conclusione assolutoria ed edificante, di una superficiale messa a fuoco del protagonista. Protagonista leggermente stantio come il film, che si fa anche vedere, ma solo e perché c'è Gere, anche se al più rimane una fugace, forzata impressione di simpatia, lo stesso si può dire di una Dakota Fanning forse volenterosa ma costretta in una parte avara di complessità e interesse, che insieme a Theo James sembrano essere capitati lì per sbaglio, spaesati e poco convincenti. Persino le musiche sanno di muffa e non perché la musica invecchi, ma perché ci voleva qualcosa di più appropriato e più guizzante. In più, personalmente, le scene che si susseguono alla ricerca della morfina perduta, le trovo assurde. Pertanto il film si presenta principalmente un poco deludente e privo di originalità in maniera tale da venire, presto dimenticato. Voto: 5