sabato 2 marzo 2019

Mon roi: Il mio re (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/02/2017 Qui - Mon roi: Il mio re (Mon roi), film del 2015 diretto dalla me sconosciuta regista Maïwenn, è un film inquietante sull'amore, sui rapporti di coppia, sulle dipendenze e sull'impossibilità di essere 'normali'. I due protagonisti del film infatti, vivono una specie di amore criminale, amore giocato molto sulle dinamiche di tortura psicologica interne alla coppia e sul rapporto vittima-carnefice in una sorta di sindrome di Stoccolma, tale è infatti la forza del rapporto di lei vittima con il suo uomo-carnefice, da quando il 'Don Giovanni' Georgio (impersonato magnificamente da Vincent Cassel in quanto il suo personaggio gli calza a pennello, bugiardo, affabulatore, pieno di contraddizioni, lunatico, imbroglione) decide di darsi una "calmata" e sposare una ragazza 'normale' (Tony, avvocato con problemi autodistruttivi, la vincitrice ex-aequo nel 2015 per la migliore interpretazione femminile a Cannes Emanuelle Bercot, altrettanta sconosciuta da me) dopo una vita affettiva e personale sregolata e tormentata fra feste e festini, amanti di una notte, con problemi con il fisco e con la droga, avrà un bambino da lei, ma niente cambia anzi ritorna su sé stesso, fra tradimenti e tutto il resto in  un modo ossessivo, con lei vittima predestinata anche dopo aver avuto la forza di ottenere il divorzio. Mon roi già dal titolo segnala sottomissione e comunque una devozione o arrendevolezza che sono il frutto di un lavaggio del cervello che il brillante uomo riesce a provocare nella consorte. Il film infatti è un film che opprime e che usa un interessante punto di vista regressivo nel montaggio alternato con lei che rievoca la sua vita sentimentale tormentata con colui che doveva essere l'uomo della sua vita da una clinica di riabilitazione dopo una caduta sugli sci ed essersi frantumata un ginocchio, un intenso simbolismo, quello di una persona, di una donna soprattutto con il suo coraggio, che impara di nuovo a camminare, a vivere, fino al finale quando anche lui, l'aguzzino sembra finalmente aver trovato il modo di vivere, amare e soprattutto mollare la sua preda,  anche se lo sguardo di lei proprio nel finale si posa sul bellissimo volto del suo lui quasi a dirgli 'né con te né senza di te'. Il dilemma quindi rimane aperto, nella finzione del film e nella vita di tante coppie.
Georgio difatti è un Moloch, divora la vita e le persone, ma lei perché non riesce a liberarsi di lui né tantomeno a distaccarsene? Perché da lui maledettamente è attratta e poiché una volta entrati nella tela del ragno, non si sa più come uscirne e districarcisi. Si capisce subito che il loro rapporto all'inizio sarà molto intenso, un vero innamoramento, man mano però si trasformerà in una forte conflittualità. che ovviamente bene non finirà. Tale opera insomma ancora una volta fa capire che l'amore passione, fascinoso e prorompente, da solo non basta ad incontrarsi veramente se i due non sono pronti ad accettarsi. Il film tuttavia gioca troppo furbamente sulle emozioni a pelle dello spettatore facendosi bello di battute e situazioni brillanti a cui si alternano, in un continuo flashback cadenzato a ritmi sostenuti, scene madri di crisi di coppia e litigi furenti alternati ad intimità o momenti di cura ospedalieri, un po' troppo edulcorati e costruiti, sguaiati e compiaciuti per non lasciarci qualche dubbio sulla genuinità delle intenzioni della pur valida regista. Nonostante questo, è un film che si lascia vedere, ma leggermente troppo lungo, un po' noioso, paradossale in certi strambi comportamenti e scelte dei due innamorati (forse). Ma quello che comunque insegna il film è che non è possibile cambiare un uomo e che esso va accettato com'è o lasciato dov'è. Voto: 5,5