lunedì 18 febbraio 2019

Janis (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/12/2016 Qui - Dopo quello su Amy WinehouseAmy, ecco un altro film che racconta la biografia di una famosa ed eccellente cantante, anch'ella purtroppo morta per overdose. Janis, infatti, parla e presenta il ritratto di Janis Joplin, cantante blues estremamente dotata ed affermatasi più o meno nel decennio degli anni '60 fino al 1970 che costituisce l'anno della sua morte, anche se la regista Amy Berg e il produttore Alex Gibney guardano oltre la Janis del rock 'n roll, svelando dietro la leggenda una donna gentile, sensibile e al contempo potente, che con la sua breve, turbolenta ed epica esistenza ha contribuito all'evoluzione del mondo della musica rock. La regista difatti, in questo ritratto appassionato, dolce ed emozionante, assai delicatamente e con un profondo atteggiamento psicologico, rifacendosi alle interviste di vari personaggi che la conobbero ed interagirono con lei e soprattutto alle lettere reali (nella versione italiana lette dalla cantante Gianna Nannini, non proprio una scelta saggia) che la cantante nel corso della sua carriera e negli anni immediatamente prima scriveva ai propri genitori, non entra nei particolari tecnici dei dischi, non indaga troppo sulle sue influenze musicali, e ci permette, in maniera splendida e implacabile, di cadere nel vortice di vita e dolore che ha accompagnato la cantante texana nella sua breve esistenza. Dagli accenni alla nascita a Port Arthur, da una famiglia borghese (il padre ingegnere, la madre insegnante), primogenita dal carattere ribelle, incerta sulle sue aspirazioni, ma sorridente e amabile nelle molte foto esibite, nonostante oggetto di bullismo dai compagni di scuola, per la sua scarsa avvenenza rispetto ai canoni dell'epoca, si passa attraverso la high school, dove predilige il disegno, all'Università di Austin dove interrompe gli studi per completarli in Scienze Sociali, con ottimi voti, presso l'università di Houston/Lamark. Ma invece di fare l'insegnante, secondo il desiderio dai genitori, si sente attratta dalla musica, scopre di avere una bella voce e comincia cimentarsi nel Blues e nel Folk con alcuni amici, è da lì tutto comincerà e finirà. Un racconto forte, dove si evince la figura di una donna estremamente dotata dal punto di vista artistico, più precisamente del canto, ma assai insicura, bisognosa d'affetto e molto sofferente per svariati problemi, legati anche al suo aspetto fisico presenti in lei sin dall'adolescenza, che credeva di riuscire a superare con l'uso smodato e frequente di sostanze alcoliche e droghe di ogni tipo.
Il suo bisogno di affetto e conferme poi non si esaurì mai come il contatto epistolare con la famiglia. E le numerose interviste con i fratelli, amici e colleghi, compresi i componenti della sua prima band, non fanno che confermare questi bisogni dovuti alla sua fragilità emotiva, ma parlano anche della sua determinazione ad ottenere successo e fama, per pura ambizione che le rendeva giustizia degli insulti patiti da piccola. Il film infine non tralascia il minimo dettaglio sulle band, gli spostamenti, i problemi comportamentali e il veleno della droga che purtroppo la invase presto. Ma tralasciando ciò la regista è brava a non soffermarsi troppo e lascia che sia la fisicità della Joplin a raccontarne la parabola, i suoi occhi, la sua voce, le sue movenze. Ci lascia, a tutti gli effetti, in sua compagnia, è Janis infatti il motore di quest'opera, in tutto e per tutto, e pur essendoci interviste ai protagonisti di quell'epoca, queste non interrompono il fluire d'ansia vitale che traspare in tutti questi cento minuti. Comunque, questo film-documentario consegna un ritratto quanto mai vero, anche concernente la sfera privata, della Joplin, riproponendo anche brani musicali tratti dai suoi concerti, compreso quello famoso di tre giorni ad Woodstock dove peraltro ella apparve sul palco in condizioni fisiche quanto mai critiche in seguito all'uso smodato di droghe ed alcool che aveva fatto. Lei, morta difatti in seguito ad una dose eccessiva di alcool unito, probabilmente, ad un mix di varie droghe, anche se in ogni caso, a quei tempi si trattò, come per altri numerosi e simili artisti, una fine quasi annunciata, viste le pesanti e continue sregolatezze, ma ciò non toglie che questa figura femminile rimanga nella musica di quegli anni un'icona dall'indiscusso valore artistico. E la sapiente e delicata regia della Berg, fa rivivere ancora una volta questa famosissima cantante emozionando lo spettatore che ne assapora piacevolmente la grandezza ed i bei momenti, e provocando anche un poco di nostalgia per coloro che soprattutto vissero e seguirono all'epoca quei momenti. Ci si commuove anche, ma il documentario non è mai ricattatorio, nulla è messo lì apposta, ci si emoziona perché Janis pare uscire dallo schermo, da tanto appare viva, affamata, sincera. Eppure tutto è perduto da quasi cinquant'anni, quel periodo sembra preistoria, i sogni scomparsi, ma la Berg ricattura quella magia e la nostalgia trabocca, anche per quelli, come me, che all'epoca non erano ancora nati. Un lavoro bellissimo, un vero atto d'amore, caldo, coinvolgente, blues, per un opera fatta con cura e con realistico amore che non risparmia niente e nessuno eppure fa risaltare l'arte e il personaggio nei suoi lati positivi e nel suo lato umano più dolente e fragile. Le melodie del blues, le roche e azzardate escursioni della voce nel rock ci restano dentro e potremo goderne sempre, accompagnate dalla vitalità dei movimenti che galvanizzavano gli spettatori. Voto: 7