Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/02/2017 Qui - Freeheld, film del 2015 diretto da Peter Sollett, è un film del tutto diverso da Carol, dal titolo completo infatti, Freeheld: Amore, giustizia, uguaglianza, risulta evidente che il film, tratto da una storia vera, parla dell'ennesima (seppur sempre importante) battaglia per la parità dei diritti dei gay, e lo fa in modo convenzionale. Ma la battaglia di Laurel Hester, un duro detective di polizia e di Dane Wells, un meccanico, è al di fuori degli schemi, anche cinematografici, perché sono due donne e il loro rapporto non ha nulla di teatrale, anzi, il lavoro di Laurel, interpretata da una ottima Julianne Moore, richiede discrezione, la polizia di un paese del New Jersey è maschilista, eterosessuale, per definizione. Ma il cancro di Laurel le chiede di uscire allo scoperto per consentire a Dane di fruire della sua pensione e, così, di pagare le rate del mutuo contratto per comprare la casa in cui vivono insieme. Ma il consiglio comunale rigetta la domanda del detective ed inizia una lunga battaglia politica in cui emergono le contraddizioni della provincia americana, solo recentemente superata definitivamente con una sentenza della Corte suprema. Freeheld è un film con un ritmo narrativo deliberatamente lento, in cui l'unica nota di colore la dà Steve Carrell che interpreta un attivista gay, che non priva comunque lo spettatore dell'interesse per la storia. Film che dà poco spazio all'aspetto sentimentale e sembra più un documentario per la sua asetticità. Non è perfetto, ovviamente, ha anche un certo sapore di tv-movie, e di sicuro non rimarrà certo nella storia del Cinema, il film ha infatti i suoi limiti, ok, ma ha anche tanti meriti, per lo meno di aver toccato con sensibilità un argomento che non andrebbe trascurato, i diritti civili pieni, con tutti i suoi risvolti, delle coppie di fatto, da quelle omosessuali fino a tutti i vari tipi che possono capitare nella vita delle persone. Pellicola in molti frangenti didascalica e non è detto che questo sia un difetto, perché solo così il regista ci porta per mano fin dentro alla 'fogna' dove non tutti hanno gli stessi diritti e ci sbatte in faccia una realtà purtroppo vera. Per merito e in conseguenza di questa storia vera, resa nota da un precedente documentario di Cynthia Wade (Premio Oscar per il Miglior cortometraggio documentario nel 2008), dopo sette anni le cose sono cambiate prima nella contea del New Jersey e poi in tutti gli States, ma tanti altri cittadini in precedenza non hanno potuto godere dei benefici derivanti da nuove e civili leggi.
Sulla falsariga di molti altri drammi e lotte per la salvaguardia della parità di trattamento dei diritti fondamentali della persona, il film di Peter Sollett, alla sua seconda regia, come detto, assume tratti convenzionalmente noti per lasciarsi caratterizzare però, più avanti, nel corso della tenace lotta (perché il cancro è davvero bastardo), da un impeto e da una forza tale che l'impatto emotivo risulta forte e fin emozionante (anche il finale in crescendo, tocca le corde più intime dell'emozione, perché la storia è davvero drammatica), ben di più di altri prodotti standard di tipo hollywoodiano come il ben più statico Still Alice (comunque eccezionale), anche se qui registicamente di bassissima qualità. Proprio Julianne Moore (davvero straordinaria, capace di manifestare rigorosità, dolcezza, con un portamento mascolino e al tempo stesso con uno sguardo e una freschezza che fanno vibrare i sentimenti) rifà per certi versi il film che gli ha valso l'Oscar (e il Saba Awards 2016), e si fa massacrare nell'aspetto, letteralmente fino all'ultimo respiro esalato tra le braccia di Stacie (Ellen Page che però non crea nessuna empatia e non sembra giusta nel ruolo), Michael Shannon altresì (molto bravo nel mostrare il dramma interiore di un uomo che dal diniego iniziale si apre poi a una vera e propria alleanza solidale con la coppia, esponendosi contro i colleghi, i quali, anche loro, dopo un iniziale diniego, seguono l'onda della rivendicazione, a parte qualche ostinato omofobo), recitando per sottrazione, tratteggia la sua figura tanto da farne il più convincente e commovente personaggio della storia. E proprio quest'ultime due prove attoriali rendono giustizia e conferma la potenza di un film che lascia nello spettatore emozioni a pelle che è difficile tenere a freno. E sui titoli di coda vedere le foto delle vere Laurel Hester e Stacie Andree fa molto impressione, soprattutto con la Laurel ormai alla fine dei suoi giorni. Che dire, funziona tutto sufficientemente bene (perché dotato di una buona interpretazione, di una discreta fotografia, musicalità e gioco agile di registri diversi), anche se manca qualcosa, ovvero la sintesi tra affetti e politica scricchiola, e per celare le sue mancanze si fa sentire a suon di slogan, sfioranti la retorica. Ma in fin dei conti è poca cosa perché il film proprio per la sua importanza socio-culturale e umanamente parlando vale tanto, ma non tantissimo. Voto: 6,5