domenica 24 febbraio 2019

The Pills: Sempre meglio che lavorare (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/02/2017 Qui - The Pills: Sempre meglio che lavorare, è un film del 2016 scritto, diretto e interpretato dal trio romano The Pills (che al massimo due volte ho visto un loro video su Youtube), composto da Matteo Corradini, Luigi Di Capua e Luca Vecchi, al loro esordio sul grande schermo. Un esordio abbastanza anonimo, se non fosse che il trio, nonostante la poca esperienza riescono nell'impresa di passare da Youtube al grande schermo in modo davvero discreto, con un film dall'assunto originale e dalla trama scorrevole e divertente. Il film infatti fa fare molte risate, franche e rumorose. L'ironia è intelligente, la comicità mai banale, e già il primo fotogramma ci mostra un'idea originale. Quella di tre bambini, Luca, Luigi e Matteo che da piccoli hanno giurato solennemente di non lavorare, mai. A quasi trent'anni i tre mantengono fede alla promessa fatta, condividendo un appartamento di Roma Sud senza svolgere alcuna attività produttiva, bevendo litri di caffè e cazzeggiando intorno al tavolo della cucina. Ma Luigi viene colto da una "crisi di mezza età" e cerca di tornare ai tempi delle occupazioni liceali, Matteo scopre che il padre posta foto su Instagram per dare una svolta creativa alla sua vita di idraulico, e Luca si innamora di una ragazza che trova eccitante che lui lavori. Nella prova d'esordio del collettivo The Pills ci sono tante cose, troppe probabilmente, i consueti e divertenti sketch, le continue parodie e citazioni cinematografiche, le scene dei Pills bambini (ripetute però fino alla noia), le musiche insistenti e pervasive a riempire buchi e sfilacciature di sceneggiatura.
Perché anche se tuttavia ho riso, ho riso di gusto e allo stesso tempo ho trovato una grande pulizia nel trasmettere le sensazioni e, perché no, anche le paure che contraddistinguono i trentenni di oggi, costretti a trovare una nuova strada tra i modelli trasmessi dalle famiglie e una realtà che non permette di realizzarli in alcun modo, quello che manca davvero è proprio il film. E non perché la trama su cui si legano i tanti sketch non sia sufficientemente forte, poiché ci sono esempi di film riusciti dove la trama è solo un pretesto, vedi tra tutti il primo Woody Allen, ma perché manca una mano registica sicura e decisa. Perché la regia non è solo fare belle inquadrature o arditi movimenti di macchina. Regia è anche creare e mantenere omogeneità di ritmo e di direzione attraverso un montaggio consapevole e non indulgente. Invece si assiste continuamente a cali di ritmo e allungature di brodo che portano il lungometraggio nelle pericolose secche della noia, nonostante la breve durata. Si ride, ci sono delle trovate geniali quello si, ma non è abbastanza per fare un film. Un film dove troviamo anche Giancarlo Esposito e Francesca Reggiani ma in ruoli decisamente pessimi. Eppure i tre attori al loro esordio se la cavano pure bene (meglio di altri) e l'idea di fondo alla base del film, la decisione di non crescere mai, e gli assunti che ne derivano, il lavoro come droga da cui bisogna tenersi lontani, sono divertenti e persino condivisibili. E i tre amici sono davvero amabili, ognuno col suo personale percorso di resistenza alla integrazione, mentre il sorriso dolce e seducente di Margherita Vicario aggiunge grazia e sensualità. Ma non basta, perché nonostante il film è piacevole e gradevole non tutto funziona, non tutto diverte, non tutto coinvolge e addirittura quasi irrita, anche se trattandosi di esordio ci può stare, perché in ogni caso è sempre meglio vedere un film come questo che un cinepanettone. Voto: 5,5

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