sabato 2 marzo 2019

La canzone della vita: Danny Collins (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/01/2017 Qui - La prima cosa che balza all'occhio in La canzone della vita: Danny Collins, film drammatico-musicale del 2015, è la presenza nel cast del mitico Al Pacino, ed è per questo che mi sono avvicinato a questa opera d'esordio del regista Dan Fogelman. Film che, così come dicono i titoli di coda, è ispirato ad una storia vera (del cantante folk Steve Tilston), quella di un anziano cantante (Pacino), dedito all'uso di droga ed alcol, con una compagna molto più giovane di lui, che scopre fortuitamente che John Lennon in tempi ormai andati gli aveva inviato una lettera di riconoscimento ed allerta al successo sfrenato. Lettera di poche parole che servono però al protagonista per mettere in discussione la propria vita, dandogli il coraggio di cercare il proprio figlio abbandonato quando era piccolo ma oggi gravemente malato. Denny trova la forza quindi di assistere il figlio, di aiutare nuora e nipotina, e si rimette a scrivere canzoni (cosa che non ha potuto fare più per esigenze dello showbiz, sotto indicazioni del suo manager, un bravissimo Christopher Plummer), ma sarà davvero in grado di vivere a pieno la seconda occasione che la vita sembra regalargli? Forse sì, forse no, comunque la pellicola parte molto bene, è ben diretta ed il regista esordiente almeno nell'ambito tecnico da una buona prova, funziona e gira benone per tutto il tempo in cui Al Pacino esegue il numero della 'vecchia rockstar piena di rimorsi' adagiata nel lusso ed infelice. Poi però man mano che si va avanti i piccoli cliché che nelle prime battute erano anche gradevoli diventano enormi, e il film naviga a ritmo ma senza picchi. La seconda parte per esempio dove classicamente il protagonista dovrà trovare la pace interiore è guardabile ad occhi chiusi ed è incernierata in passaggi forzati usati in questa tipologia di film.
Ciò non toglie una buona prova attoriale nel totale (nel cast troviamo anche Annette Bening, Jennifer Garner e Bobby Cannavale, senza dimenticare Melissa Benoist ovvero Supergirl), una giusta gestione dei tempi che non annoia ed un buon uso, come già detto, del carisma del vecchio Al Pacino. Il tutto in ogni caso poteva anche essere gestito meglio per ottenere un effetto più peculiare ma alla fine si riduce ad un inno classico alla famiglia, anche se al contrario di altri ha una storia dalla sua non propriamente facile e rassicurante. Insomma un film sicuramente e musicalmente interessante, ma certamente non innovativo, un genitore inesistente per molto tempo che in preda a sensi di colpa e ad una certa ispirazione decide di conoscere il figlio nato per caso molti anni prima. Abbastanza strano dato che è una storia vera, ma tant'è funziona ugualmente. Comunque ho avuto l'impressione che gli attori e su tutti, proprio l'immenso Pacino, erano troppo bravi per un film con una sceneggiatura, che oserei dire non del tutto forte, ma leggermente debole. In definitiva bel film, anche se con un cast di tale imponenza conseguire un risultato appena sufficiente come questo è stato davvero un peccato. Per esempio, avrei puntato di più sulla storia della lettera ricevuta in ritardo, anche se in ogni caso è pur sempre un film che emoziona, diverte e intrattiene. Voto: 6